Perché l'accordo sul clima del G8 in realtà non è un accordo

Piero Vietti

“Sul clima abbiamo la responsabilità delle generazioni future. Per questo i paesi più grandi devono dare l'esempio. Oggi abbiamo raggiunto un consenso storico, ma da qui alla Conferenza di Copenaghen verranno negoziati obiettivi concreti”. Se lo lascia sfuggire a un certo punto, Barack Obama, durante la conferenza stampa di ieri, quel “obiettivi concreti” che freudianamente rivela come gli accordi di L'Aquila di concreto abbiano poco.

    “Sul clima abbiamo la responsabilità delle generazioni future. Per questo i paesi più grandi devono dare l'esempio. Oggi abbiamo raggiunto un consenso storico, ma da qui alla Conferenza di Copenaghen verranno negoziati obiettivi concreti”. Se lo lascia sfuggire a un certo punto, Barack Obama, durante la conferenza stampa di ieri, quel “obiettivi concreti” che freudianamente rivela come gli accordi di L'Aquila di concreto abbiano poco. Indicative le parole di Ban Ki-moon: il segretario generale dell'Onu ha commentato parlando di “progressi insufficienti”. Questo perché, di fatto, non c'è stato alcun accordo sul clima, e il “consenso storico” è un generico impegno a non superare i due gradi di aumento della temperatura globale rispetto all'era preindustriale e la creazione di un Istituto globale per la cattura e il sequestro di carbone, ospitato dall'Australia.  L'accordo di ridurre le emissioni di CO2 dell'80 per cento entro il 2050 è stato castrato dalla freddezza dei paesi in via di sviluppo prima e dalle esplicite dichiarazioni della Cina poi. In poche parole, Pechino non si sente “vincolata dagli obiettivi indicati nella dichiarazione finale del G8”, come ha fatto sapere il portavoce del governo di Hu Jintao: “Pechino è impegnata ad affrontare il grave problema dei cambiamenti climatici – ha detto il portavoce – ma ha ancora una lunga strada da percorrere sulla via dell'industrializzazione, urbanizzazione e modernizzazione”.

    Parafrasando: “Belle idee, ma noi non ci stiamo”. In questo modo assume contorni ancora più grotteschi l'impegno a ridurre la temperatura preso dai Grandi, nemmeno si trattasse di spegnere un interruttore o regolare il termostato: senza l'azione di uno dei più grandi produttori di CO2 del mondo, la Cina appunto, la temperatura difficilmente scenderà.
    Tutto ciò partendo dal presupposto che sia la produzione di biossido di carbonio da parte dell'uomo la causa dei cambiamenti climatici, e non che questi siano invece il frutto di naturali cicli del nostro pianeta. L'unico documento approvato al G8 infatti, parla di “riconoscimento dell'opinione scientifica secondo cui la crescita della temperatura al di sopra dei livelli preindustriali non dovrebbe superare i due gradi”. Che questo sia possibile con un'azione diretta dell'uomo è tutto da dimostrare, come sempre più scienziati al mondo sostengono.
    Curioso che proprio nel giorno dell'accordo che salverà il clima il settimanale inglese Spectator titolasse: “Rilassatevi, il riscaldamento globale è solo un mito”. All'interno, una lunga intervista con Ian Plimer, il geologo australiano che è arrivato al settimo libro sull'argomento e la cui opera è stata decisiva per orientare le ultime decisioni del governo australiano in campo ambientale. Nei giorni in cui Al Gore paragona la lotta ai cambiamenti climatici alla lotta contro i nazisti e il Principe Carlo d'Inghilterra torna alla ribalta dicendo che se non faremo presto qualcosa la Terra diventerà “un inferno vivente”, Plimer conquista fette di opinione pubblica (e non è il solo) portando dati empirici e diversi studi che contraddicono il vangelo verde in voga oggi.

    L'uomo non ha colpe, dice Plimer, e quella dei cambiamenti climatici è “una truffa colossale”. Molto costosa, per giunta. Che le politiche di riduzione dell'anidride carbonica siano dispendiose (e rischiose in tempo di crisi) lo dicono anche i sostenitori della battaglia ambientale: ieri l'Aie, l'Agenzia internazionale per l'energia, ha apprezzato le volontà emerse dal G8 ma ha sottolineato come il raggiungimento degli obiettivi prefissati necessiterà di almeno 400 miliardi di dollari di investimenti supplementari nei prossimi vent'anni. Certo sarebbe un peccato se poi si venisse a scoprire che l'uomo non influenza il clima, e ci si rendesse conto che con quegli stessi soldi si sarebbero potute approntare misure di adattamento al clima che cambia. “Per questo – ha detto il direttore dell'Aie, Nobuo Tanaka – il G8 ha anche riconosciuto la necessità di operare maggiori investimenti sull'energia anche per rilanciare l'occupazione e sostenere la crescita economica”.
    Crinale scivoloso, quello dei posti di lavoro “verdi”. L'esperienza spagnola dimostra che non sempre investire nell'ambiente vuol dire creare posti di lavoro, anzi. Uno studio appena uscito e diretto dal professor Gabriel Calzada Alvarez, della Universidad Rey Juan Carlos di Madrid spiega che per ogni “posto di lavoro verde” creato in Spagna negli ultimi otto anni grazie al finanziamento pubblico, sono stati distrutti  2,2 posti di lavoro in altri settori. E soltanto uno su dieci dei nuovi posti di lavoro creati è diventato lavoro permanente. Ognuno di questi posti di lavoro è costato 571.138 euro. In totale, in otto anni le fonti rinnovabili hanno ottenuto sussidi che sfiorano i 30 miliardi di euro.

    La cosa paradossale è che per coprire questo buco lo stato a breve aumenterà le bollette dell'energia almeno del 31 per cento.
    Il G8 è riuscito a produrre soltanto una dichiarazione d'intenti, letta però con ottimismo dai suoi promotori: tutti sottolineavano come questo accordo fosse “un primo passo” verso la soluzione del problema, confidando nella conferenza di Copenaghen di fine anno, dedicata al clima. Suona strano però a questo punto il doppio spartito che viene suonato sull'ambiente: da una parte si grida alla catastrofe imminente, al “non c'è un minuto da perdere” e dall'altra si procede a passi impercettibili verso accordi su obiettivi così lontani che quando ci sarà da pagare il conto nessuno degli attuali leader sarà più interpellabile, rimandando. In realtà, è probabile che l'impegno assunto ieri a L'Aquila sia effettivamente raggiunto, ma non per meriti di questi accordi. La temperatura globale non sta aumentando da qualche anno, e c'è più di uno scienziato pronto a dimostrare che ha già cominciato a diminuire.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.