L'afa e l'omega

Piero Vietti

Che a metà luglio “arrivi il caldo” è qualcosa che di per sé dovrebbe rientrare nella grande categoria delle cose ovvie, come che in America tutti guidano auto grandi (in attesa di quelle elettriche volute da Obama) o che di sera fa buio. Eppure ieri la notizia era sulla prima pagina del Corriere della Sera (e ha occupato per buona parte della mattinata l'apertura del sito Internet del giornale di via Solferino): “Ora arriva il caldo, fino a 40 gradi”.

    Che a metà luglio “arrivi il caldo” è qualcosa che di per sé dovrebbe rientrare nella grande categoria delle cose ovvie, come che in America tutti guidano auto grandi (in attesa di quelle elettriche volute da Obama) o che di sera fa buio. Eppure ieri la notizia era sulla prima pagina del Corriere della Sera (e ha occupato per buona parte della mattinata l'apertura del sito Internet del giornale di via Solferino): “Ora arriva il caldo, fino a 40 gradi”. Che un'ovvietà diventi notizia da prima pagina è certamente curioso, e negli ultimi tempi non più spiegabile solo con la carenza di notizie durante i mesi estivi o col fatto che la gente parla volentieri del tempo che fa quando deve intrattenere un conoscente.

    Restando nel paradosso si potrebbe dire che se il caldo a luglio fa notizia è perché il molto paventato riscaldamento globale non si sente poi così tanto, ma è vero che, come spiega al Foglio Carlo Stagnaro dell'Istituto Bruno Leoni, “parlare di caldo vuol dire ormai parlare di politica”. Senza disseppellire torbide dietrologie è facilmente osservabile che parlare del clima fa scattare in chi ascolta una serie di tic che conducono il pensiero all'ambientalismo tanto di moda: leggendo che “arriva l'afa” il primo pensiero non è più il ventilatore da comprare al più presto, ma tutta quell'anidride carbonica che dovremmo smettere di produrre.

    Anche il giornalista collettivo (perché quello del Corriere di ieri è solo un esempio di un esercizio sempre più praticato dai media di tutto il mondo) è colpito dalla sindrome catastrofista, soprattutto da quando non ci è più dato di leggere la parola “clima” senza accanto la parola “allarme”. Secondo Riccardo Cascioli, giornalista e presidente del Centro europeo di studi su popolazione, ambiente e sviluppo, “è il clima culturale che fa scattare questi meccanismi; viviamo in un'isteria collettiva per cui se d'inverno fa freddo bisogna subito interpellare l'esperto che ci spieghi perché, e lo stesso vale per quando fa caldo a luglio o agosto”.

    Dopo avere passato i giorni del G8 a scrivere che Obama e gli altri grandi “abbasseranno” la temperatura del globo bisogna pur dare forza alla notizia, e sulla carta stampata ripetere le cose dà la forte sensazione che queste siano vere. Certamente non è per caso che le notizie dei ghiacciai che si sciolgono escano tutti gli anni ad agosto: se durante una delle intense nevicate dello scorso inverno avessimo letto sui quotidiani che c'era il problema del riscaldamento globale non saremmo rimasti particolarmente scossi. Leggerlo a luglio fa invece guardare con occhi pieni di speranza alla conferenza sui cambiamenti climatici di Copenaghen di fine anno in cui il mondo sarà salvato e finalmente in estate la smetterà di fare caldo.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.