Gli uni nel ruolo degli antidoti agli altri
La drammaturgia americana ha bisogno dei Cheneys e degli Obamas
Con tutta la loro insanabile diversità, i Cheneys e gli Obamas (e verrebbe da dire i cheneystas e gli obamistas) sono entrambi indispensabili all'America e non smettono di lavorare splendidamente, gli uni nel ruolo dell'antidoto agli altri. E' questione di temperatura psichica nazionale, di bisogni che assumono periodicamente il sopravvento.
Con tutta la loro insanabile diversità, i Cheneys e gli Obamas (e verrebbe da dire i cheneystas e gli obamistas) sono entrambi indispensabili all'America e non smettono di lavorare splendidamente, gli uni nel ruolo dell'antidoto agli altri. E' questione di temperatura psichica nazionale, di bisogni che assumono periodicamente il sopravvento: o le garanzie di sicurezza coordinate da un rognoso difensore dei confini (e delle regole in vigore al loro interno) come Dick, che assume il controllo della situazione sopra e sotto i livelli di visibilità, sempre a nome della collettività (volente o nolente). Oppure, quando la stanchezza affiora, quando l'America vuole tirare il fiato, ripensarsi, riconnettersi con la vastità delle proprie speranze, ecco l'avvento di un leader ispirazionale come Barack, pura incarnazione del “nuovo inizio” invocato come motore ideologico del progetto americano.
Sono due modelli talmente diversi, riconoscibili, eppure incastonabili nel medesimo quadro, che il confronto non pretende sopraffazione ma piuttosto tolleranza, alternanza, empatia e complementarietà. Senza un Obama che prenda casa a fianco a quella abitata da anni dalla famiglia Cheney, verrebbe a mancare la principale drammaturgia americana: la scoperta delle nuove possibilità attraverso l'esperimento, la conoscenza e il cambiamento. E' questo uno dei più amati stereotipi della narratività americana: dal momento che il paese è il prodotto di varietà umane diverse e combinate, cos'è più divertente che stare a vedere come va a finire, quando un certo tipo di americano deve relazionarsi con l'altro, che è il suo principio opponibile, la sua nemesi? I grassi casinari contro i segaligni permalosi, gli ispanici rumorosi contro i battisti osservanti, i rockettari contro gli yuppies. Soprattutto i conservatori bianchi e tutti d'un pezzo, contro i neri energetici e in piena escalation socioculturale. C'è un cinema, una letteratura e soprattutto una tv a sostegno di quest'inevitabile esperienza americana (dai conflitti coniugali de “La Guerra dei Roses”, agli sfrenati dispetti dei “Vicini di Casa” di Belushi e Aykroyd, passando per la miriade di serial “familiari”, Bradys, Robinsons, Bradford, Jeffersons).
E adesso che George W. mantiene la parola di ritenere conclusa la sua vita politica attiva e s'è rinchiuso nel ranch, lasciando ai posteri tutte le sentenze che vogliono, a Cheney è toccato il compito più ostinato: alzare i bastioni a difesa dell'Amministrazione di cui era il pensatore, difenderne le scelte e la qualità operativa, anche nelle occasioni più difficili (la gestione del dopo 11/9) e nelle più tremende (architettare dignitose motivazioni a pratiche indifendibili e a strategie dettate dalla fede pragmatica nella ragion di stato americana: in due parole, l'underground mediorientale).
Cheney adesso fa ciò che ha sempre detestato: spiegare. Di fronte ai dubbi, alle elucubrazioni etiche, alle valutazioni comparative e al rispetto della maturità del cittadino esposti da Obama, Cheney usa argomenti rocciosi ma espliciti, per come risuonano di esperienza e buona volontà nell'intenzione di salvare la pelle al paese e ai suoi figli. John Wayne contro Will Smith. Non andranno a pranzo insieme, ma troveranno il modo di convivere. Sono due americanità possibili, due metà, due approcci sovrapponibili al senso americano. Lo stesso vale per le rispettive signore: Michelle che riscrive una tollerabile versione del politicamente corretto per il XXI secolo. E Lynne, di sangue mormone e sofisticata formazione conservatrice, guardiana austera d'una purezza americana nei costumi e nelle arti che somiglia alla difesa di una lingua in estinzione, surclassata eppure dotata d'intrinseca bellezza. Perfino le generazioni future abitano pianeti diversi: il conclamato spirito contemporaneo di Sasha e Malia, figlie del mondo se mai ce ne sono state due, davanti alle quali il futuro torna a sembrare una favola.
E le due femmine di casa Cheney: Mary, la lesbica sofferta, che provoca un epocale terremoto in famiglia, le cui vicende meriterebbero la penna di Tennessee Williams. E Liz, l'asso nella manica della goegrafia di casa Cheney, mina anti Obama, per come ha ereditato lo spirito introverso e guerriero del padre, la disponibilità a battersi, il gusto della realtà sbugiardando quelle che chiama le panzane di president Obama, secondo lei un narcisista, e quel che è peggio, un americano da barzelletta, per come sta indebolendo la fortezza-America. In un articolo pubblicato dal Wall Street Journal, Cheney sostiene che nel discorso di Mosca, Obama è stato troppo tenero con la Russia: “Ci sono due differenti versioni della storia della fine della Guerra fredda: quella russa e la verità. E Obama a Mosca ha avvalorato la versione russa”. Liz dice di sentirsi pronta a entrare in politica, dopo che avrà aiutato papà a completare le sue memorie.
In fondo è un interessante segno dei tempi che quell'incolmabile differenza che renderà avversarie anche le prossime generazioni dei Cheneys e degli Obamas (Right America vs. Light America) sia instradata tutta al femminile. Come traslocare “Sfida Infernale” nei vialetti fioriti delle “Casalinghe Disperate”. E sancire che i conflitti del post moderno siano fuori tempo massimo. Che i veri fronteggiamenti del futuro siano tra lo stare e l'andare, il difendere e il mescolare, la riservatezza e la curiosità. L'America dovrà scegliere chi trovare, la sera, al ritorno a casa: il tagliaerbe e il barbecue, oppure la prenotazione in un ristorantino etnico. Senza dimenticare che, col passare del tempo, questo sarà sempre meno un paese per vecchi. Sempre meno tenero coi bianchi americani, nostalgici e sospettosi.
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