Buone ragioni per chiamare “tutti dentro il Pd”, tranne Grillo

Salvatore Merlo

Europa ieri ha compilato un numero quasi monografico per lanciare un messaggio al Pd: fatti rispettare. Il direttore Stefano Menichini sintetizza parlando con il Foglio: “Questo partito dovrebbe adesso recuperare onore e rispetto di se stesso costruendo ‘una barriera politica' contro Beppe Grillo. Insomma, all'arrembaggio del comico il Pd non deve porre – come invece sta facendo – ostacoli formali e burocratici.

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    Europa ieri ha compilato un numero quasi monografico per lanciare un messaggio al Pd: fatti rispettare. Il direttore Stefano Menichini sintetizza parlando con il Foglio: “Questo partito dovrebbe adesso recuperare onore e rispetto di se stesso costruendo ‘una barriera politica' contro Beppe Grillo. Insomma, all'arrembaggio del comico il Pd non deve porre – come invece sta facendo – ostacoli formali e burocratici. Bensì dovrebbe spiegare ai cittadini e agli elettori le ragioni politiche per le quali Grillo non può stare nel Pd. Il partito dovrebbe dire che Grillo rappresenta una deriva autoritaria della sinistra che non gli appartiene e che anzi i democratici vorrebbero vedere cancellata una volta per sempre”.

    L'autocandidatura più o meno provocatoria di Beppe Grillo alla segreteria del Partito democratico pone in queste ore i dirigenti di fronte a un problema sostanziale che riguarda la tanto evocata vocazione maggioritaria. Esclusa la corrente ascrivibile all'ex presidente del Consiglio Massimo D'Alema, il resto del partito ha negli ultimi mesi in più occasioni e più o meno omogeneamente declinato l'idea di fare del Pd “il partito dell'Unione” secondo una formula che, rivolta ai dispersi della sinistra radicale e dei rivoli socialisti, è in talune occasioni suonata come lo slogan “tutti dentro il Pd”. Ma per chi come l'ex presidente del Senato Franco Marini o come lo stesso segretario Dario Franceschini o come il sindaco torinese Sergio Chiamparino ha sostenuto la necessità di rifondare “un partito aperto” capace di allargarsi – come ha detto anche Sergio D'Antoni pochi giorni fa sul Foglio– “a tutti i riformismi italiani”, le ragioni dell'esclusione di Beppe Grillo non possono ritrovarsi in un banale escamotage burocratico come pare stia facendo l'organizzazione del partito riunita ancora ieri per decidere sul caso.

    E' necessario al contrario trovare ragioni politiche per le quali Grillo si è già escluso da sé dal Pd. Come ha scritto ieri anche il quotidiano della Cei, Avvenire: gli attacchi continui al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sono per esempio una buona ragione. O come ha detto Pier Luigi Bersani, che tuttavia di vocazione maggioritaria pare non voglia proprio sentire parlare, “Grillo non può stare nel Pd perché ci attacca in continuazione, ha costituito delle liste contro di noi e non ha mai parteggiato perché il nostro partito funzionasse e vincesse”. Ragioni politiche, dunque, che tuttavia il Pd non trova anche perché – secondo molti osservatori – persino i fautori più convinti della vocazione maggioritaria non riescono a trovarsi d'accordo e sembrano non parlare la stessa lingua. Difatti Dario Franceschini – come ha anticipato il Foglio – teorizza un partito allargato in una visione che pure, paradossalmente, non sembra collimare con quanto sostiene, ad esempio, Sergio Chiamparino (“il Pd deve sciogliersi per allargarsi”, ma non come sostiene Franceschini).

    L'idea del “partito contenitore dei riformismi” che attraversa gran parte dell'ex nucleo veltroniano, la corrente dei popolari e taluni settori del così detto Pd del nord di cui Chiamparino è stato tra i maggiori animatori, non è precipitata mai in un comune progetto esplicitamente enunciato. “Ed è la maggiore pecca di questo congresso”, dice Menichini. “Se l'idea di ‘tutti dentro il Pd' fosse diventata un'opzione chiara – spiega il direttore di Europa – non solo avrebbe coinvolto i dispersi della sinistra ma avrebbe anche marcato una profonda differenza tra i programmi di Franceschini e Bersani. Purtroppo così non è stato e quanto risulta è che le due piattaforme politiche sembrano sostanzialmente sovrapponibili con l'effetto di avere fatto degenerare i toni della contesa”. Intanto Grillo risponde burocraticamente al niet della burocrazia democratica: “Non mi vogliono tesserare in Sardegna? Allora farò richiesta in Liguria”.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.