Oggi Dario presenta il suo programma

La ferraresità di Franceschini, perfetto segretario per il tempo della crisi

Annalena Benini

Il segretario per il tempo della crisi è di Ferrara, quindi è perfetto: silenzioso, di basso profilo, magro, volto non espressivo perché un ferrarese non mette in mostra emozioni (né ricchezze), parsimonioso, maniacalmente abitudinario, poco mondano, diffidente, malinconico, molto convinto di essere colto. Dario Franceschini è un ferrarese vero, di città, anzi del centro della città, dentro le mura: significa avere un complesso di superiorità che si estende a tutta l'Emilia-Romagna.
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    Il segretario per il tempo della crisi è di Ferrara, quindi è perfetto: silenzioso, di basso profilo, magro, volto non espressivo perché un ferrarese non mette in mostra emozioni (né ricchezze), parsimonioso, maniacalmente abitudinario, poco mondano, diffidente, malinconico, molto convinto di essere colto. Dario Franceschini è un ferrarese vero, di città, anzi del centro della città, dentro le mura: significa avere un complesso di superiorità che si estende a tutta l'Emilia-Romagna, Bologna compresa (Romano Prodi e Pier Luigi Bersani sembrano ormai bolognesi, ma non lo sono affatto: Prodi è nato in provincia di Reggio Emilia, Bersani in provincia di Piacenza, per un ferrarese snob gente così non è frequentabile, per un ferrarese Piacenza e Reggio Emilia non esistono). E' una superiorità che ci si porta dentro e che al massimo si esprime con un sorrisetto, una specie di ghigno che storce la bocca, mai a parole: Franceschini non parla molto (meglio, perché quell'accento terribile, con le elle che slittano e le esse infinite è il massimo dramma interiore di ogni ferrarese che aspiri alla riconoscibilità nel mondo esterno), e durante l'incoronazione cittadina il reggente della crisi del Pd ha chiesto “scusa a mamma e papà per l'emozione che gli ho dato”.

    Le emozioni a Ferrara sono considerate un po' volgari, così come lo sfoggio di denaro, vacanze e gioielli: si vive in case bellissime con giardini nascosti e soffitti affrescati, si va poco al ristorante perché si sta meglio a casa, sui pavimenti di cotto, si accumula molto ma con il divieto estetico di apparire. Le toppe sui gomiti non sono vezzi, sono accortezze. Franceschini è così, famoso in città per la tirchieria e per la bella moglie (è il primo punto d'orgoglio della ferraresità, sposare la più bella), avvocato figlio di avvocato e nipote di avvocato: a Ferrara sono ormai tutti avvocati e le nuove leve hanno perso l'eleganza dimessa, indossano in tribunale camicie con colli enormi e il sabato pomeriggio pantaloni rossi, unico motivo per cui il vero ferrarese, cioè Franceschini, potrebbe suicidarsi o rifiutarsi di giurare sui valori antifascisti. Un ferrarese indossa il loden del verde giusto, pantaloni con le pinces, scarpe inglesi, non sbaglia cravatte come i bolognesi (come Gianfranco Fini), va sempre nello stesso negozio oppure dal sarto. Non ha le iniziali sulla camicia, dettaglio troppo vistoso e non indosserà mai un paio di Hogan con sotto quei dieci centimetri di gomma, nemmeno in casa.

    Porta fuori il cane sempre alla stessa ora, con la neve o con la pioggia (Franceschini lo fa anche adesso a Roma, a Piazza Barberini). Attraversa la città in bicicletta: meglio se è la Bianchi nera ereditata dal nonno, anche se a Franceschini, come a chiunque in città, ne hanno già rubate almeno tre, ed è questo piccolo furto l'unico affronto che un ferrarese può sopportare. Per tutto il resto è pronto al massacro nebbioso e silenzioso: si dice che noi di Ferrara abbiamo il fegato più grosso di tutti, per sopportare il clima peggiore del mondo e per digerire la salama da sugo, e con quel fegato siamo capaci, segretamente, di qualunque cosa, quindi attenzione al mite Franceschini e al suo pallore gentile, apparentemente non battagliero. Un ferrarese non è generoso, non sa corteggiare ma riesce sempre, pigramente, nella conquista, non si fida di nessuno e fa lunghe radiografie, con occhiate di sbieco, alle persone cui sta per rivolgere la parola: a Ferrara possono passare decenni prima che ci si saluti, anche se ci si incrocia ogni giorno allo stesso caffè. Naturalmente il bar Europa, cioè il massimo della mondanità, assieme alla messa in Duomo, che Franceschini si concede.

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    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.