Caritas in mercato

Marco Burini

Il mercato è più ampio del capitalismo, storicamente è esistita un'economia civile su cui la “Caritas in veritate” punta per superare la crisi del mercato. Stefano Zamagni, economista dell'Università di Bologna, uno dei principali collaboratori di Benedetto XVI nella stesura dell'enciclica, replica con forza a Paolo Prodi che ieri sul Foglio l'ha criticata per la scarsa comprensione storica del mercato.

    Il mercato è più ampio del capitalismo, storicamente è esistita un'economia civile su cui la “Caritas in veritate” punta per superare la crisi del mercato. Stefano Zamagni, economista dell'Università di Bologna, uno dei principali collaboratori di Benedetto XVI nella stesura dell'enciclica, replica con forza a Paolo Prodi che ieri sul Foglio l'ha criticata per la scarsa comprensione storica del mercato. “Ci sono due concezioni del mercato – obietta Zamagni – La prima identifica il mercato con il sistema capitalistico. Se uno sposa questa tesi è evidente che metterà il principio del dono fuori dal mercato, nelle attività di volontariato, filantropiche. L'altra concezione, l'economia civile, è stata dominante fino a tutto il Settecento, poi è finito nell'ombra e solo negli ultimi anni si riaffaccia.

    Secondo questa tradizione di pensiero il mercato è il genere, il capitalismo la specie: dunque il mercato per funzionare bene deve incorporare il principio del dono. Uno è libero di scegliere la prima tesi o la seconda, basta non mischiarle. Nel secondo libro del ‘Capitale' Marx dice che il mercato, che per lui equivale al capitale, mercifica le relazioni interpersonali; siccome il suo intento è liberare l'uomo dall'alienazione e dallo sfruttamento, il mercato va eliminato. E' una tradizione teorica legittima ma non è quella della dottrina sociale della chiesa che riprende una linea di pensiero antichissima iniziata nell'Undicesimo secolo e portata avanti dai cistercensi e dai francescani: se il mercato è opera dell'uomo che vive in società non si vede perché l'uomo quando entra nel mercato debba abbandonare la virtù, il dono. Benedetto Cotrugli, un imprenditore del Quattrocento, o Albertano da Brescia, dicevano la stessa cosa”. Prodi sostiene che il mercato è sempre una dialettica di interessi, un conflitto drammatico cui nessuno può sottrarsi, nemmeno le organizzazioni non profit. “Proprio perché lui identifica il mercato con il capitalismo. Farebbe meglio a precisarlo. Certo, se il mercato è il luogo in cui ciascuno cura i propri interessi, non c'è spazio per altro”. Lei invece sostiene che l'altro approccio non è utopico ma storicamente documentato. “Certo. E' un filone di cui l'ultimo grande teorico è l'abate Antonio Genovesi, il primo titolare di una cattedra di Economia, all'Università di Napoli, nel Settecento. Bisogna scegliere tra Marx e Genovesi, ma l'uno non esclude l'altro”.

    Secondo lei ci sono affinità tra l'economia civile e il movimento antiutilitarista francese che qualcuno ha accostato allo spirito dell'enciclica? “Ce ne sono, anche se i francesi non conoscono l'economia civile; me l'ha confessato Alain Caillé, uno dei fondatori del Mauss (Mouvement anti-utilitariste dans les sciences sociales, ndr). Niente di nuovo, i francesi non ci hanno mai letto… Il Mauss è recente e ha finalità diverse, ma scopre le stesse cose dell'economia civile. Faccio un altro esempio, l'economia di comunione dei focolarini. Oppure il commercio equo e solidale: sono imprese a tutti gli effetti – comprano e vendono, pagano le tasse – ma non possiamo chiamarle imprese capitalistiche. Dobbiamo per questo estrometterle dal mercato? La linea che difende Paolo Prodi è perdente, lo dimostrano i fatti degli ultimi decenni. Certo, come presidente dell'Agenzia nazionale del Terzo settore so bene che ci sono molte false imprese equosolidali, ogni mese dobbiamo espellerne dal registro. Ma qui parliamo dei concetti di fondo”. Lei insomma difende la praticabilità di un'economia non capitalistica. “Perché esiste. L'economia di comunione di Chiara Lubich è nata nel 1991, ora nel mercato ci sono un migliaio di imprese del genere. E il 19 febbraio di quest'anno il Parlamento europeo ha approvato ad ampia maggioranza una risoluzione sull'economia sociale in cui si dice che il mercato deve tornare a essere pluralista e democratico. Il mercato è un contenitore in cui possono operare diversi tipi di impresa”.

    Anche un intellettuale conservatore come George Weigel è critico. In una recensione, apparsa sul sito on line della National Rewiew, parla di un'enciclica “ornitorinco”: un mostriciattolo, un “ibrido” in cui le parti “chiaramente benedettine”, ad esempio quelle a difesa della vita e più in generale sul nesso teologico carità-verità, sono le uniche accettabili. “Mai poi ci sono i passaggi che devono essere segnati in rosso”, attacca Weigel, quelli voluti a tutti costi dal cardinale Martino come “vendetta” per la “Centesimus annus” di Giovanni Paolo II che, scartando l'idea di una terza via tra capitalismo e socialismo, era stata “la Waterloo del pontificio consiglio Giustizia e pace”. In particolare, Weigel è scettico sulle forme di attività economica segnate da quote di gratuità e di comunione. “E' praticamente impossibile sapere cosa significa” la lunga digressione sul dono, scrive Weigel, sembra “un confuso sentimento precisamente dello stesso tipo di quelli che l'enciclica deplora come staccati dalla verità nella carità”.
    Zamagni non si scompone: “Il bello della chiesa è che c'è spazio per tutti. Ci vorranno anni per capire questa enciclica che usa categorie innovative. Weigel è un americano che non conosce la storia prima del Settecento; basterebbe chiedergli se sa chi è Antonino da Firenze. Eppure lo stesso Schumpeter lo definì il più grande economista prima di Adam Smith”. Un altro noto conservatore americano, Michael Novak, sostiene che nella “Caritas in veritate” non c'è mai la parola capitalismo perché “ormai l'economia di mercato si identifica con l'etica cattolica”. Zamagni ride di gusto: “Non sapevo che Gesù Cristo fosse un esperto di capitalismo! La verità è che i teocon hanno fatto il loro tempo. Il Papa non fa dell'ideologia, guarda all'essenza delle cose. In questo caso ha ascoltato tante voci, ma poi la sintesi l'ha fatta lui. Gli americani avevano scommesso su un'enciclica che sconfessasse la ‘Populorum progressio' e sono rimasti spiazzati. Le polemiche sul dono sono un pretesto”.