La mezzaluna sulla City

Nel Londonistan le corti islamiche sono triplicate E' già “apartheid legale”

Giulio Meotti

Ne esistono più di ottanta in tutto il Regno Unito. Operano a porte chiuse, senza accesso a osservatori esterni indipendenti. Contemplano, tra l'altro, poligamia e mutilazione genitale, ripudio della moglie (noto come “talaq”) e prevenzione dei matrimoni misti. Oggi in Inghilterra è in funzione un sistema legale parallelo alla Common Law.

    Ne esistono più di ottanta in tutto il Regno Unito. Operano a porte chiuse, senza accesso a osservatori esterni indipendenti. Contemplano, tra l'altro, poligamia e mutilazione genitale, ripudio della moglie (noto come “talaq”) e prevenzione dei matrimoni misti. Oggi in Inghilterra è in funzione un sistema legale parallelo alla Common Law. Giudici e corti, formati all'interno di moschee, centri islamici e scuole coraniche, hanno già emesso decine di migliaia di sentenze relative allo stato civile e familiare dei musulmani inglesi, principalmente in materia di matrimonio e divorzio, eredità e contese patrimoniali. E ieri sul Times si parlava di richieste per il taglio delle mani.

    Il manifesto di questo sistema legale islamico è lo statuto del primo tribunale sorto nel 1982 a est di Londra: “La sharia deve essere rispettata come superiore alla legge civile e alla democrazia”. Nella Corte di Dewsbury, nel West Yorkshire, poco lontano da dove abitava Mohammed Siddique Khan, che prese parte al commando suicida responsabile degli attacchi del 7 luglio 2005 a Londra, siede un avvocato inglese che deve assicurare che i verdetti non siano in contraddizione con la legge britannica. 
    Il quotidiano conservatore Daily Telegraph al prossimo governo chiede già di dichiarare guerra a tutte le corti della sharia perché minano lo stato di diritto, mentre il parlamentare conservatore Lord Tebbit ha appena scatenato un putiferio per aver paragonato gli imam delle corti ai “gangster”. L'evoluzione di questo sistema giudiziario è stata possibile grazie a un comma del British Arbitration Act, che classifica le corti della  sharia come “tribunali arbitrali”. Nel rigido e glorioso sistema di Common Law britannico è possibile che le parti decidano di affidare la soluzione di una controversia a un terzo, detto “arbitro”. Ma i tribunali islamici si fondano sul rifiuto del principio di inviolabilità dei diritti umani, dei valori di libertà e di uguaglianza che sono alla base della democrazia inglese. Le corti stanno capovolgendo l'architettura democratica anglosassone. E' di ieri la notizia che un numero sempre più cospicuo di non musulmani si rivolge alle corti. Il Times parla di una “triplicazione” delle corti programmata per la fine dell'anno. I principali tribunali si trovano a Londra, Birmingham, Bradford, Manchester e Nuneaton. Altre, nuove, importanti sedi verranno aperte a Leeds, Luton, Blackburn, Stoke e Glasgow. Il massimo esponente delle corti è Suhaib Hasan, dirigente del Consiglio europeo per le ricerche e la fatwa (Cerf), l'organismo presieduto dall'apologeta del terrorismo islamico Youssef Qaradawi, leader dei Fratelli musulmani in Europa, cui in passato la Gran Bretagna ha negato il visto per la sua predicazione islamista. Nel suo statuto, il Cerf sancisce che “la sharia non può essere emendata per conformarsi all'evoluzione dei valori e dei comportamenti umani”.

    Il cedimento degli anglicani
    . A Nuneaton, recentemente, l'eredità di un padre non è stata divisa equamente tra le tre figlie femmine e i due maschi, in nome della sharia. In ben sei casi di violenza domestica, nei quali le donne denunciavano maltrattamenti da parte dei mariti, i giudici si sono espressi in termini estremamente miti, condannando gli uomini a seguire corsi per la “gestione della rabbia”. In ciascuno di questi casi, le donne hanno ritirato le denunce presso la polizia e quest'ultima ha cessato di indagare sugli episodi.
    I due principali esponenti dell'establishment religioso e giuridico britannico hanno già “benedetto” le corti. Si tratta di Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury e capo della chiesa anglicana, e il presidente della Corte Suprema, Lord Phillips. Una proposta “disastrosa per la nazione” l'ha definita invece George Carey, ex arcivescovo di Canterbury. Di “apartheid legale” parla la baronessa di fede islamica Sayeeda Warsi, ministro ombra conservatore per gli Affari sociali. Il decano delle corti Suhaib Hasan lancia una previsione: “La sharia viene applicata ampiamente in Gran Bretagna tutti i giorni. Nessuno deve sorprendersi se si dovessero introdurre parti della sharia nell'ordinamento giuridico britannico”. Le corti vorranno applicare anche le punizioni corporali, come avviene a Teheran e Riad. “Anche se il taglio delle mani e dei piedi, o la fustigazione degli ubriachi e dei fornicatori, sembrano orribili, una volta che sono applicate diventano un deterrente efficace per l'intera società. State certi che se per una volta sola un'adultera fosse lapidata, dopo più nessuno commetterebbe questo delitto. Per questo il tasso di criminalità in Arabia Saudita è estremamente basso”, conclude Hasan.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.