L'eredità artistica dello scrittore spiegata da un suo racconto

McCourt insegna che l'unico modo di ridere sulle proprie disgrazie è scriverle

Mariarosa Mancuso

I genitori di Frank McCourt si erano incontrati a Brooklyn, e lì avevano cominciato a sfornare bambini. Tornarono in Irlanda nel 1934, con il passaggio in nave premurosamente pagato dalla nonna. L'infanzia già abbastanza infelice di Frank, che aveva quattro anni, si trasformò in un'infanzia infelice irlandese e cattolica: la peggiore di tutte, garantisce l'interessato.

    Sta in cima alla lista dei più disgraziati rientri in patria. Battuto soltanto dalla tragedia della famiglia Polanski, che viveva a Parigi e decise di rientrare a Cracovia nel 1937: Roman riuscì a fuggire dal ghetto, e da allora non ha pronunciato una sola parola sulla sua vita randagia; la madre morì nel campo di Auschwitz. I genitori di Frank McCourt si erano incontrati a Brooklyn, e lì avevano cominciato a sfornare bambini. Tornarono in Irlanda nel 1934, con il passaggio in nave premurosamente pagato dalla nonna.

    L'infanzia già abbastanza infelice di Frank (nella foto, la copertina inglese del libro 'Le ceneri di Angela"), che aveva quattro anni, si trasformò in un'infanzia infelice irlandese e cattolica: la peggiore di tutte, garantisce l'interessato. Nella cittadina di Limerick, il tugurio a pianterreno era allagato un giorno sì e un giorno no da un fiumiciattolo pestilenziale, le foglie di tè venivano riciclate, i tramezzi servivano per accendere il fuoco, il cesso era unico per tutta la strada. Per placare la fame nera, una leccata al foglio di giornale unto di pesce e patatine.

    Frank McCourt sopravvive al tifo, vede morire tre fratelli, si prende cura degli altri quando il padre ubriacone Malachy abbandona la madre Angela. A diciannove anni torna negli Stati Uniti, si laurea, comincia a fare l'insegnante. Raggiunta l'età della pensione, scrive “Le ceneri di Angela” (Adelphi), da far leggere con la forza a chi racconta la propria vita da precario al call center con toni da tragedia. Un milione e mezzo di copie vendute per passaparola soltanto negli Stati Uniti, prima del grande successo mondiale e del film diretto da Alan Parker: difficile resistere a un ragazzino che non si piange mai addosso, e per forza di cose cresce più smaliziato del conterraneo Jonathan Swift. Di notte, il padre lo svegliava per fargli giurare che sarebbe morto per l'Irlanda. Di giorno, a scuola, gli facevano promettere che sarebbe morto per la fede. Commento: “Io mi domando se qualcuno ci vuole vivi”.

    Fanno da consolazione le vite dei santi (“perché vergini e martiri devono sempre impuntarsi?”), le storie dell'eroe celtico Cuchulain, le canzoni popolari e patriottiche, qualche raro film. Finché il ragazzino, tra un attacco di tifo e un'infezione agli occhi, scopre Shakespeare, non trovando altro sublime paragone che con il purè di patate: dell'uno e dell'altro non ce n'è mai abbastanza. Quando gli danno un tema su Gesù, ecco lo svolgimento: “Meno male che Gesù ha deciso di nascere ebreo in un paese caldo. Se nasceva in Irlanda si prendeva la tisi e dopo mese moriva”. Invidia il figlio di Dio che gira per le strade avvolto in un lenzuolo, immagina che nell'antica terra di Israele ci siano prosciutto e pancetta gratis per tutti. I boccali di birra, basta sfiorarli con un dito e si riempiono da soli.

    Saper ridere delle proprie disgrazie, anche dopo tanti anni, è un dono raro e prezioso. Frank McCourt non porta rancore, non ha rivendicazioni contro nessuno, riesce a essere scanzonato anche quando racconta un'infanzia che farebbe piangere anche i più incalliti lettori di Dickens. Ma lo scrittore aveva fatto ben fruttare i pochi giorni trascorsi da ragazzino operaio in una fabbrica di lucido da scarpe. Frank finisce a scrivere lettere minatorie per conto di un'usuraia, con partecipazione agli utili: se i debitori pagavano, il compenso era doppio. Soldino dopo soldino, riprende la nave per la terra dei suoi sogni, che lo farà diventare ricco e famoso fuori tempo massimo. Come spesso capita, scriverà altri due libri – “Che paese l'America”, “Ehi, Prof” – e la favola “Angela e Gesù Bambino”. Senza ritrovare la grazia di “Le ceneri di Angela”. E siamo sicuri che anche lui lo sapeva.