Mica le frattocchie, ma neanche più la convention
I cammelli del Pd hanno l'aria di sognare il Gran Restauratore, Bersani
Alla luce di San Gregorio Magno, “studiato per capire come riuscire ad impiantare un'organizzazione come la chiesa”, e al ritmo di Vasco Rossi, “quando decisi di candidarmi molta gente mi diceva che in questo partito non ci si ritrovava e io gli rispondevo che invece un senso ce l'ha”, Pier Luigi Bersani – l'unico politico con un residuato di chioma non in grado d'impensierire neanche il barbiere di paese – prova a rimettere ordine.
Alla luce di San Gregorio Magno, “studiato per capire come riuscire ad impiantare un'organizzazione come la chiesa”, e al ritmo di Vasco Rossi, “quando decisi di candidarmi molta gente mi diceva che in questo partito non ci si ritrovava e io gli rispondevo che invece un senso ce l'ha”, Pier Luigi Bersani – l'unico politico con un residuato di chioma non in grado d'impensierire neanche il barbiere di paese – prova a rimettere ordine. La restaurazione, dicono gli avversari – e il pugno dalemiano giurano d'intravedere dietro lo stritolamento del democratico cicaleccio. “Un partito serio”, preferisce lui. “Un partito vero”, sospirano i sostenitori. Perché nello sterminato asilo Mariuccia in cui si è mutato il Pd – comici, candidati (e comici), veline (di carta, quell'altre stanno di là), discussioni di quelle che la testa scoppia e neanche la vedi, tale e quale la coda, costituenti e primarie, innovatori e spensieratini, serracchianismo vociante e grillismo all'assalto – alla fine il primo che suona lo stop della ricreazione rischia di fare il colpaccio. Fin dagli anni passati di Occhetto e di D'Alema (e nel caso, pure quelli presenti), nei primi dei Novanta, è sempre spuntata, a un certo punto, la questione se essere vagante Carovana (Achille, temerariamente, due anni fa la ripropose pure a Veltroni e Fassino: col terzo manco ci provò) o piuttosto dogmatica Caserma.
Quel primo scontro andò come andò – “A quanto pare la Carovana è rientrata in caserma”, commentò il più anziano e autorevole tra gli editorialisti dell'Unità) – questo secondo promette di finire allo stesso modo. Mica tanto per il richiamo alle radici del socialismo, e neanche per un assoluto desiderio di ordine e legge, solo di due o tre pallide norme sensate e una situazione quantomeno comprensibile di caos. E là dove s'innalzava il baffo arcigno ora si nota la cordiale pelata; là dove veleggiava l'Ikarus ora c'è la quasi certezza che al più potrebbe comparire un fresco cocomero da affettare. Sarà l'ordine bersaniano quasi sicuramente a trionfare sul vagabondaggio degli ultimi anni, la cordiale restaurazione, il fraterno allineamento. Così che ultimamente, debitamente lodato San Gregorio e incessantemente esaltato Vasco, Bersani ha pure cominciato a prendere ad esempio Papa Giovanni, che zitto zitto che “fece il primo cardinale nero e il Concilio”. Ci sono cose che né a Bettola (il suo paese natio, tanto che un giorno in tivvù la Bignardi meravigliata voleva sapere: “Ma Bettola come bettola?”) né nel resto del vasto paese Bersani si sforza neanche più di provare a farsi piacere. Anche cose all'apparenza minori, ma che fanno intendere l'approdo finale. Per esempio: “Non possiamo spendere tutti i soldi in comunicazione”, va ripetendo a destra e a manca. Tutta una mania e una scuola e un abuso. Ecco, le scuole di partito, per esempio. A Bersani questo fatto che invece di insegnare modestamente a fare leggi, a scrivere una delibera, a comprendere un decreto si risolvano sempre in belle chiacchierate, per dire con il pur utilissimo Rifkin o altri, “gente che ci costa un sacco di soldi”, estetica dell'intervento e tutti a casa senza pensiero, piace poco. “Se vince – raccontano dal sottotetto di Santi Apostoli, dove i suoi si sono accasati, bella sede evocativa e caldo torrido – è una delle prime cose che cambierà”.
Mica le Frattocchie, ma neanche più le convention. Un paio di settimane fa, alla festa del Pd a San Giuliano Terme, Bersani la sua idea di partito l'ha spiegata come più chiaro non si potrebbe: “Abbiamo lasciato procedere un po' troppo l'idea che fare un partito moderno significasse confonderlo con la società così com'è: una sorta d'idrovora in cui si tira su tutto ciò che c'è. Un partito è invece un'associazione che ha una missione fuori di sé: il nostro scopo è rendere questa società più decente… Nel momento in cui ti metti in associazione con altri, ti dai delle idee e operi delle scelte. Lo ripeto: noi non siamo uno spazio dove ognuno cerca di affermarsi, ma siamo un soggetto”. E allora, ecco ciò che dopo un'ascesa bersaniana non si potrà più essere, per esempio “il partito del weekend”, né autobus né taxi, anzi dolersi di aver “liquidato troppo in fretta l'ideologia”. E perciò, girando girando, Web o non Web, nel furore del nuovismo, va in giro usando parole tipo “fabbrica”, “chi suda”, “deboli”, “quartieri”, persino “un nuovo civismo” ha invocato, e la sognante “bocciofila” catapultata nell'irreale di Facebook. E quegli iscritti e quegli elettori messi gli uni di fronte agli altri, così scappano gli uni e scappano gli altri – sospiro. E, convincente o meno, alla fine la Carovana magari accetterà di fermarsi: stanchi i cammelli, stufi gli elettori, stanchissimi i militanti…
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