Mica le frattocchie, ma neanche più la convention

I cammelli del Pd hanno l'aria di sognare il Gran Restauratore, Bersani

Stefano Di Michele

Alla luce di San Gregorio Magno, “studiato per capire come riuscire ad impiantare un'organizzazione come la chiesa”, e al ritmo di Vasco Rossi, “quando decisi di candidarmi molta gente mi diceva che in questo partito non ci si ritrovava e io gli rispondevo che invece un senso ce l'ha”, Pier Luigi Bersani – l'unico politico con un residuato di chioma non in grado d'impensierire neanche il barbiere di paese – prova a rimettere ordine.

    Alla luce di San Gregorio Magno, “studiato per capire come riuscire ad impiantare un'organizzazione come la chiesa”, e al ritmo di Vasco Rossi, “quando decisi di candidarmi molta gente mi diceva che in questo partito non ci si ritrovava e io gli rispondevo che invece un senso ce l'ha”, Pier Luigi Bersani – l'unico politico con un residuato di chioma non in grado d'impensierire neanche il barbiere di paese – prova a rimettere ordine. La restaurazione, dicono gli avversari – e il pugno dalemiano giurano d'intravedere dietro lo stritolamento del democratico cicaleccio. “Un partito serio”, preferisce lui. “Un partito vero”, sospirano i sostenitori. Perché nello sterminato asilo Mariuccia in cui si è mutato il Pd – comici, candidati (e comici), veline (di carta, quell'altre stanno di là), discussioni di quelle che la testa scoppia e neanche la vedi, tale e quale la coda, costituenti e primarie, innovatori e spensieratini, serracchianismo vociante e grillismo all'assalto –  alla fine il primo che suona lo stop della ricreazione rischia di fare il colpaccio. Fin dagli anni passati di Occhetto e di D'Alema (e nel caso, pure quelli presenti), nei primi dei Novanta, è sempre spuntata, a un certo punto, la questione se essere vagante Carovana (Achille, temerariamente, due anni fa la ripropose pure a Veltroni e Fassino: col terzo manco ci provò) o piuttosto dogmatica Caserma.

    Quel primo scontro andò come andò – “A quanto pare la Carovana è rientrata in caserma”, commentò il più anziano e autorevole tra gli editorialisti dell'Unità) – questo secondo promette di finire allo stesso modo. Mica tanto per il richiamo alle radici del socialismo, e neanche per un assoluto desiderio di ordine e legge, solo di due o tre pallide norme sensate e una situazione quantomeno comprensibile di caos. E là dove s'innalzava il baffo arcigno ora si nota la cordiale pelata; là dove veleggiava l'Ikarus ora c'è la quasi certezza che al più potrebbe comparire un fresco cocomero da affettare. Sarà l'ordine bersaniano quasi sicuramente a trionfare sul vagabondaggio degli ultimi anni, la cordiale restaurazione, il fraterno allineamento. Così che ultimamente, debitamente lodato San Gregorio e incessantemente esaltato Vasco, Bersani ha pure cominciato a prendere ad esempio Papa Giovanni, che zitto zitto che “fece il primo cardinale nero e il Concilio”. Ci sono cose che né a Bettola (il suo paese natio, tanto che un giorno in tivvù la Bignardi meravigliata voleva sapere: “Ma Bettola come bettola?”) né nel resto del vasto paese Bersani si sforza neanche più di provare a farsi piacere. Anche cose all'apparenza minori, ma che fanno intendere l'approdo finale. Per esempio: “Non possiamo spendere tutti i soldi in comunicazione”, va ripetendo a destra e a manca. Tutta una mania e una scuola e un abuso. Ecco, le scuole di partito, per esempio. A Bersani questo fatto che invece di insegnare modestamente a fare leggi, a scrivere una delibera, a comprendere un decreto si risolvano sempre in belle chiacchierate, per dire con il pur utilissimo Rifkin o altri, “gente che ci costa un sacco di soldi”, estetica dell'intervento e tutti a casa senza pensiero, piace poco. “Se vince – raccontano dal sottotetto di Santi Apostoli, dove i suoi si sono accasati, bella sede evocativa e caldo torrido – è una delle prime cose che cambierà”.

    Mica le Frattocchie, ma neanche più le convention. Un paio di settimane fa, alla  festa del Pd a San Giuliano Terme, Bersani la sua idea di partito l'ha spiegata come più chiaro non si potrebbe: “Abbiamo lasciato procedere un po' troppo l'idea che fare un partito moderno significasse confonderlo con la società così com'è: una sorta d'idrovora in cui si tira su tutto ciò che c'è. Un partito è invece un'associazione che ha una missione fuori di sé: il nostro scopo è rendere questa società più decente… Nel momento in cui ti metti in associazione con altri, ti dai delle idee e operi delle scelte. Lo ripeto: noi non siamo uno spazio dove ognuno cerca di affermarsi, ma siamo un soggetto”. E allora, ecco ciò che dopo un'ascesa bersaniana non si potrà più essere, per esempio “il partito del weekend”, né autobus né taxi, anzi dolersi di aver “liquidato troppo in fretta l'ideologia”. E perciò, girando girando, Web o non Web, nel furore del nuovismo, va in giro usando parole tipo “fabbrica”, “chi suda”, “deboli”, “quartieri”, persino “un nuovo civismo” ha invocato, e la sognante “bocciofila” catapultata nell'irreale di Facebook. E quegli iscritti e quegli elettori messi gli uni di fronte agli altri, così scappano gli uni e scappano gli altri – sospiro. E, convincente o meno, alla fine la Carovana magari accetterà di fermarsi: stanchi i cammelli, stufi gli elettori, stanchissimi i militanti…