Dalla Puglia al Lazio

D'Alema si muove già da ras del Pd e impone i suoi uomini a Bersani

Claudio Cerasa

E' ormai qualcosa di più di uno sponsor, di un sostenitore o di un semplice protettore: i segnali che Massimo D'Alema si stia trasformando nel regista unico della candidatura di Pier Luigi Bersani alla segreteria del Pd sono sempre di più e basta osservare con attenzione che cosa succede in regioni come la Puglia, la Campania e soprattutto il Lazio per capire come l'ex ministro degli Esteri sia ormai diventato l'indiscutibile e solitaria guida della così detta “mozione Bersani”.

    E' ormai qualcosa di più di uno sponsor, di un sostenitore o di un semplice protettore: i segnali che Massimo D'Alema si stia trasformando nel regista unico della candidatura di Pier Luigi Bersani alla segreteria del Pd sono sempre di più e basta osservare con attenzione che cosa succede in regioni come la Puglia, la Campania e soprattutto il Lazio per capire come l'ex ministro degli Esteri sia ormai diventato l'indiscutibile e solitaria guida della così detta “mozione Bersani”. Nelle ultime due settimane, i tre uomini pronti a contendersi nei prossimi mesi la leadership del Pd (Bersani, Franceschini e Marino) dovevano scegliere i nomi da proporre per tentare di conquistare la segreteria del partito in ciascuna regione d'Italia. Per quanto riguarda la mozione Bersani, in Puglia non ci sono state storie per appoggiare il sindaco dalemiano di Bari (il magistrato Michele Emiliano), in Campania non ci sono state polemiche per lanciare alla segreteria regionale il numero uno della fondazione ItalianiEuropei campana (Enzo Amendola). Ma quando i “bersaniani” hanno dovuto studiare il candidato da proporre per il Lazio si sono ritrovati coinvolti in un piccolo giallo politico. In una riunione a porte chiuse, convocata due settimane fa nel quartier generale di Bersani, di fronte a tutti i più importanti membri della mozione (Rosy Bindi, Enrico Letta, Filippo Penati, Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema) è successo quanto segue. In accordo con il presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti, Bersani aveva proposto di candidare alla segreteria del Pd laziale uno dei suoi più stretti collaboratori: Stefano Fassina (direttore dell'associazione “Nens” fondata da Bersani nell'estate di otto anni fa). Erano tutti d'accordo: D'Alema aveva dato la sua parola, Penati non aveva nulla in contrario, Bindi e Letta avevano dato il proprio appoggio, ma alla fine l'accordo è saltato.

    Massimo D'Alema ha pensato che per riuscire ad affondare gli artigli in una realtà delicata come quella del Lazio (che per la sinistra dopo l'addio della coppia Veltroni-Bettini è sostanzialmente una regione senza uomini al comando) occorreva un volto più pesante su cui poter investire anche per il futuro e il volto giusto D'Alema lo aveva individuato in quello che in molti considerano il Matteo Renzi di Max: Alessandro Mazzoli, 37 anni, presidente della provincia di Viterbo. Il blitz dei dalemiani ha messo in imbarazzo quegli ex veltroniani che avevano scelto di appoggiare Bersani abbandonando sia il candidato sponsorizzato da Veltroni (Dario Franceschini) sia quello appoggiato da Bettini (Ignazio Marino). “I dalemiani – racconta chi ha partecipato in questi giorni alle riunioni della mozione Bersani – ci hanno detto così: se non accettate il nostro uomo noi, per la segreteria del Lazio, presenteremo in autonomia un nostro candidato”. Il 31 luglio, in effetti, alla guida del partito nella regione Lazio la mozione Bersani non ha scelto Fassina ma ha presentato proprio il candidato voluto da Max: Mazzoli. “Pensavamo che la candidatura di Bersani rappresentasse qualcosa di nuovo – dice al Foglio il tesoriere del Pd in provincia di Roma, Marco Palumbo, uomo di fiducia di Zingaretti – Invece a quanto pare Bersani prende ordini dai dalemiani, e se le cose stanno così, pur facendo parte della mozione Bersani, nel Lazio possiamo annunciare che noi il candidato proposto dalla coppia Bersani-D'Alema semplicemente non lo voteremo mai”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.