Il regime di Ahmadinejad ritira fuori il Gran Torturatore
Si fa chiamare di volta in volta Abbasi, Kanguri, Kangevari, Amoli e Azadeh. Di certo, forse, c'è soltanto il nome, Javad. Ma la sua flessibilità si ferma alla scelta delle generalità. Mano sicura e ideali granitici, Javad è un torturatore tutto d'un pezzo di quelli che non conoscono cedimenti né improvvide empatie. In questa burrascosa estate iraniana il suo nome viaggia come un presagio funereo sulle bocche dei prigionieri.
Si fa chiamare di volta in volta Abbasi, Kanguri, Kangevari, Amoli e Azadeh. Di certo, forse, c'è soltanto il nome, Javad. Ma la sua flessibilità si ferma alla scelta delle generalità. Mano sicura e ideali granitici, Javad è un torturatore tutto d'un pezzo di quelli che non conoscono cedimenti né improvvide empatie. In questa burrascosa estate iraniana il suo nome viaggia come un presagio funereo sulle bocche dei prigionieri. Il metodo Javad non conosce fallimenti. Mohammed Khatami l'ha descritto come “un sistema di tortura medievale”. Lui preferisce ricordare il suo motto: “Prima o poi la verità emerge” e armato di questa convinzione ha trionfato dove i suoi predecessori hanno fallito. Tra le sue mani, “prima o poi” sono crollati 007, mullah e ribelli. Nessun temperamento, neanche il più coriaceo, sembra in grado di resistergli.
Le confessioni si moltiplicano e la stella di Javad brilla nel Pantheon degli esempi di fedeltà rivoluzionaria. Questa è la sua seconda grande occasione e il torturatore modello non ha alcuna intenzione di giocare male le sue carte. Il suo primo grande exploit risale a dieci anni fa. Nel 1998 l'Iran fu scosso da una serie di omicidi seriali che colpirono artisti, giornalisti e intellettuali, “contro-rivoluzionari di velluto” agli occhi del regime. La brutalità degli assassinii costrinse il regime a una farsesca caccia ai colpevoli. Said Emami (anche noto come Eslami) fu il capro espiatorio. Ingegnere aerospaziale laureato all'università dell'Oklahoma, nei primi anni Ottanta diventò un agente della Repubblica islamica. Al ministero dell'Intelligence occupò la poltrona di direttore del dipartimento Usa-Europa, fu analista di controspionaggio e negli anni di Khatami consigliere per la Sicurezza nazionale. Per fargli ammettere di essere la mente dietro gli omicidi serviva un uomo capace di piegarlo, qualcuno che conoscesse i suoi tic e le sue paure, uno come lui, più forte di lui. Javad non ebbe dubbi a prestarsi all'impresa. Emami e quattro suoi colleghi ammisero tutti gli addebiti, i legami con i nemici esterni e le pratiche sessuali deviate. Khamenei ne fu molto soddisfatto. Con l'eliminazione delle mele marce il buon nome del ministero e del regime poteva essere recuperato. Nel frattempo Emami morì in carcere. Suicidio si disse. “Nonostante i nostri sforzi per garantire la sua sicurezza ha ingerito una bottiglia di disinfettante nel bagno” spiegò un inquirente. Lo 007 cattivo se ne era andato insieme ai suoi segreti. Ma piuttosto che contentarsi dei suoi successi, Javad fu sopraffatto dal furore giustizialista. Per avvalorare le sue indagini prelevò da casa la moglie di Emami, Fahimeh Dori Noghoorani e la sottopose al metodo Javad. I reni della signora collassarono e fu ricoverata all'ospedale di Baghiolah. Dal centro di detenzione del ministero dell'Intelligence fuoriuscì un video molto crudo che documentava le fasi principali dell'interrogatorio della moglie di Emami. Copie della cassetta furono inviate al Parlamento e alle altre agenzie di sicurezza iraniane. Il responsabile della diffusione del video si difese dall'accusa di avere manipolato le immagini: il filmato era cruento, ma le torture di Javad potevano essere ancora più spinte, nessuna eccezione per le indiziate di sesso femminile. Fu la pietra dello scandalo. Gli amici di Emami al ministero si mobilitarono, i riformisti lo condannarono, i conservatori lo abbandonarono.
Nel bel mezzo della tempesta Javad pubblicò un documento lungo 80 pagine in cui descriveva le pratiche con cui aveva estorto le confessioni. Khatami insorse e persino l'Ayatollah Shahroudi certamente non un uomo dalla commozione facile, pretese la testa di Javad. Sembrava la fine di una carriera perfetta. Poi è arrivata l'era Ahmadinejad e il destino è tornato a sorridere al teorico della “tortura illimitata”. Uscito da un grigio purgatorio al ministero del Commercio, sotto l'ala protettiva di Ahmad Salek, rappresentante di Khamenei all'Ufficio per la sicurezza e le informazioni dei pasdaran (e membro del “comitato indipendente” scelto dal Consiglio dei guardiani per il riconteggio parziale dei voti), Javad è tornato a fare quel che gli riesce meglio.
Mentre i suoi ex colleghi navigavano tra mezze verità e timidi farfugliamenti, Javad ha ottenuto dichiarazioni inequivocabili. E' stato lui ad assicurare al regime le “rivelazioni” di Mostafa Tajzadeh, Behzad Nabavi, Feizollah Arabsorkhi, Mohsen Aminzadeh e Abdollah Ramezan. Parole su parole che appesantiscono i faldoni dell'accusa documentano “la natura esterna della macchinazione responsabile dei disordini post elettorali”. Un trionfo che lo ripaga dalla lunga pausa nelle retrovie e lo rilancia tra i più affidabili difensori dell'ortodossia rivoluzionaria. Del resto quando, a sua volta inquisito gli fu chiesto di giustificare la sua metodologia, lui rispose: “Quando il leader dice che questi assassinii sono certamente opera di agenti stranieri, è evidente che il mio dovere religioso è dimostrare la verità già svelata dal rahbar, persuadere i colpevoli ad ammettere i loro crimini con qualsiasi mezzo”. E ammise candidamente: “ Sì picchiammo duro quando servì, non ci saremmo fermati prima di ottenere un'ammissione, non avremmo mai potuto ottenere una confessione contraria all'intuizione della Guida Suprema”. Tanta devozione inorgoglisce Khamenei, ma preoccupa non pochi conservatori. Javad ha molti nemici dai giorni dell'interrogatorio a Said Emami. Al ministero, la seconda ascesa di Javad è vissuta con profondo fastidio se non addirittura con inquietudine.
L'entusiasmo con cui ha determinato la fine del collega ha sconvolto molti falchi. C'è chi considera Emami un “martire”e medita vendetta contro il traditore. Alcuni insider dicono al Foglio che il fatto che la presenza di Javad nella stanza della tortura “squalifica le confessioni, apparirà tutto ridicolo e questo è un danno per il sistema ”. Ma i conservatori non sono mai stati più divisi. Finché Javad continuerà a interpretare i sogni di Khamenei il suo futuro sarà al sicuro.
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