I napoleonidi/2 – Una serie dell'altro mondo
30 settembre 1800, un grande ballo festeggia la fine delle ostilità tra Francia e Stati Uniti.
Il 30 settembre 1800 un grande ballo con milleduecento invitati e la presenza di numerose giovani donne tra le quali Paolina Bonaparte in Leclerc, ventenne, e Carolina Bonaparte in Murat, diciottenne, festeggiò la fine della convenzione tenuta alla Mortefontaine nel castello da poco acquistato da Giuseppe Bonaparte, a trentasette chilometri a nord di Parigi.
Il 30 settembre 1800 un grande ballo con milleduecento invitati e la presenza di numerose giovani donne tra le quali Paolina Bonaparte in Leclerc, ventenne, e Carolina Bonaparte in Murat, diciottenne, festeggiò la fine della convenzione tenuta alla Mortefontaine nel castello da poco acquistato da Giuseppe Bonaparte, a trentasette chilometri a nord di Parigi. La convenzione metteva fine ai dissapori tra Francia e Stati Uniti culminati nella cosiddetta quasi guerra, intesa ad attaccare da entrambe le parti le navi commerciali. Il primo console e Josephine si ritirarono all'una di notte. Il primo ottobre con il terzo trattato di San Ildefonso la Spagna rese la Louisiana alla Francia. Gli Stati Uniti non erano stati avvertiti delle trattative in corso.
Al toponimo Luisiana si accoppia fino al 1803, anno del Louisiana Purchase, l'aggettivo francese. In realtà negli ultimi trent'anni la proprietà dell'immenso territorio è cambiata due volte. Verso la fine della Guerra dei sette anni (1757-1762), considerata da Winston Churchill la prima guerra mondiale e conosciuta negli Stati Uniti come guerra franco-indiana, la Francia, che già aveva perduto il Canada, prima della pace di Parigi cedette i suoi immensi possedimenti americani che, a ovest dei possedimenti inglesi, correvano dai Grandi laghi fino al Golfo del Messico. Della guerra fecero le spese i francesi residenti in Canada, conosciuti come acadians, che furono trasferiti alla Nouvelle Orleans senza essere avvertiti che non era più una colonia francese. Il nome di acadians si trasformò con il tempo in cajoun, che indica ancora oggi una vivace e appartata minoranza francofona della foce del Mississippi e dintorni. Fin dall'inizio gli acadians costituirono una fascia povera della popolazione della Nouvelle Orleans, rispetto ai creoli discendenti dai primi coloni francesi.
Il bel libro di Ines Murat “Napoleon et le rêve américain” (Parigi 1976) inizia con una scenata familiare. E' uno degli ultimi giorni di aprile del 1803. Napoleone, console a vita, attende nella vasca da bagno, che poggia su piedi leonini secondo lo stile retour d'Egypte, la visita dei fratelli Luciano e Giuseppe. Arriva per primo Luciano, il politico di famiglia. Parla un po' di tutto, prima di affrontare l'argomento che gli sta a cuore. E' vero che Napoleone sta vendendo senza neppure consultare il Senato la Louisiana agli americani? E' una domanda retorica. La notizia è trapelata. Per quindici milioni di dollari che non incasserà, Napoleone ha venduto metà di un continente. Luciano infuriato pronuncia la famosa frase: “Se non fossi vostro fratello, sarei vostro nemico”. Napoleone irato scaglia a terra l'ancora più famosa tabacchiera d'oro con doppio coperchio e doppio ritratto di Josephine di mano del grande Isabey. Per fortuna della storia dell'arte l'urto è attutito da un tappeto di Aubusson. Nonostante l'affare colossale (gli inviati erano disposti a pagare dieci milioni solo per Nouvelle Orleans e dintorni) le polemiche sul Louisiana Purchase non risparmiarono neppure gli Stati Uniti (era o non era legittimo che una Repubblica democratica acquistasse con denaro un territorio da un altro stato?). Napoleone aveva più di un motivo per commettere quello che da qualcuno sarà giudicato il più grande errore della sua carriera. Non si può dire che non avesse un'idea globale dei rapporti di forza tra le potenze. L'aveva dimostrato all'inizio della sua carriera, quando si era imbarcato nella campagna d'Egitto per tentare di riaprire in India quella partita che era stata chiusa dagli inglesi di Lord Clive proprio all'esordio della Guerra dei sette anni. Ma allora non era consapevole della debolezza sui mari della Francia, che risaliva alla miope politica dinastica e territoriale di Luigi XIV. Vendere la Louisiana, che non avrebbe potuto difendere da un attacco inglese, significava conservare l'amicizia preziosa degli americani e impedire che la Gran Bretagna si espandesse in America ai danni della Francia. L'energico Napoleone sapeva che in America non avrebbe potuto fare militarmente molto meglio del debole Luigi XV.
Sentendosi giocato dal Trattato di San Ildefonso, il presidente Thomas Jefferson aveva mandato immediatamente un suo inviato a Parigi con un messaggio molto chiaro e laconico: “Se gli Stati Uniti avevano un nemico al mondo, era colui che possedeva la Nouvelle Orleans”. Dalla città passava il trenta per cento dei prodotti americani, che scendevano lungo il grande fiume, il Mississippi, e l'Ohio e il Tennessee che vi confluivano. Quando la Louisiana era spagnola, vigeva un diritto di deposito, per cui gli americani potevano stoccare a tempo indefinito le loro merci in città, in attesa che venissero spedite. L'ambasciatore scelto da Jefferson, il quale dal 1784 al 1789 aveva esperienza diretta della diplomazia francese, fu Robert R. Livingston, sostenuto in un secondo tempo da James M. Monroe, il futuro presidente. “Abbiamo vissuto una lunga vita, ma questo è il lavoro più nobile di tutta la nostra esistenza. Gli Stati Uniti prendono posto in questo giorno tra le prime potenze del mondo”, avrebbe dichiarato Livingston a proposito del Louisiana Purchase. Quale esattamente sia quel giorno non è dato di sapere, poiché per paura che il ministro degli Esteri francese Charles de Talleyrand, tutt'altro che sprovveduto, ci ripensasse, gli americani vollero che il contratto dell'incredibile affare fosse datato 30 aprile 1803, anche se non fu firmato che il 3 maggio.
Figlio primogenito del giudice Robert Livingston, discendente di un Livingston che era arrivato nel New England nel 1673, Robert R. Livingston era la quintessenza dell'aristocrazia newyorchese. Aveva studiato legge al King's college, poi Columbia University, era stato uno dei cinque firmatari della Carta di indipendenza, aveva sposato la discendente di una delle famiglie storiche della città, aveva costruito Belvedere, una casa imponente sull'Hudson. Gli inglesi gliel'avevano data alle fiamme, insieme a Clarence, la residenza di suo padre. Le aveva ricostruite.
Aveva condotto la delegazione americana alla Pace di Parigi, che aveva sancito la nascita degli Stati Uniti. Come primo cancelliere di New York (sarà per tutta la vita e per la storia il cancelliere per antonomasia) aveva accolto sulla sua Bibbia personale il giuramento di George Washington che si insediava come primo presidente degli Stati Uniti. Era stato gran maestro della loggia massonica di New York (che ancora conserva la sua Bibbia e la presta in occasione del giuramento ai presenti che la richiedono) eccetera. A Parigi aveva conosciuto Robert Fulton, aveva assistito al suo primo esperimento fallimentare di navigazione a vapore. Diversamente da Napoleone e dagli inglesi ne aveva colto l'importanza. Fulton l'aveva seguito in America, aveva sposato sua nipote, insieme avevano finanziato la costruzione del primo battello a vapore in grado di percorrere trecento miglia in sessantaquattro ore. Tra i vantaggi offerti ai passeggeri del primo viaggio New York-Albany, tre pasti molto curati oltre a un armadietto accanto alla cuccetta per depositare i vestiti, c'era la sosta proprio davanti a Clarence, la celebre proprietà dei Livingston sull'Hudson. In quella occasione Livingston avrà pregustato lo splendido futuro che l'impresa sua e di Fulton avrebbe avuto sul grande fiume, il cui corso era riuscito ad assicurare per un pezzo di pane alla nazione. La missione a Parigi era stata fruttuosa in tutti i sensi. Ne avrebbe approfittato soprattutto Edward, il più giovane dei suoi fratelli, che per necessità si sarebbe ridotto ad esercitare la professione di famiglia, l'avvocatura, in Louisiana. Anche se New Orleans non era esattamente la città che una madre dell'aristocrazia puritana avrebbe scelto per un suo rampollo.
“Nella prima decade dell'attuale secolo, quando il nuovo governo americano era la cosa più odiata in Louisiana – mentre i creoli stavano ancora scalciando contro pessime innovazioni come il giudizio con la giuria, le danze americane, le leggi contro il contrabbando, e la stampa in inglese dei proclami del governatore – quando la marea anglo-americana già sul punto di spezzare gli argini e trasformarsi in inondazione era ancora nel Delta un'infiltrazione che rendeva scivolosa la terra sotto i piedi dei creoli – c'era a poca distanza di quella che è ora Canal Street, e considerevolmente alle spalle della linea delle ville che costeggiavano l'argine del fiume sulla Tchoupitoulas Road, una vecchia casa coloniale mezzo in rovina”. Eccetera. E' l'incipit, tradotto a braccio, senza cercare di rendere l'intonazione creola, di “Jean-ha Poquelin”, uno dei racconti di “Old Creole Days” di George W. Cable (New York, 1879), ambientati a New Orleans nei primi dieci anni del Diciannovesimo secolo, cioè all'indomani del Purchase. Il registro è la nostalgia ironica dei bei tempi andati, la lingua è un intraducibile amalgama di inglese, inglese pronunciato alla creola, inglese pronunciato alla francese, francese creolo e francese.
I personaggi rappresentano l'intera ricetta della miscela che costituisce la società di New Orleans, fluida come il terreno su cui è costruita la città, esposta a inondazioni e uragani periodici. Neppure gli argini tra le classi sociali sono troppo più solidi degli argini sui canali. Il clima è tropicale, il caldo umido spossa e corrompe, gli uomini e le cose; le leggi, disposte fino a poco tempo prima da un'autorità lontana sono plastiche, non è necessario spezzarle, basta modellarle sulle necessità del luogo. Ma le opportunità economiche, già buone, con il Purchase si sono fatte più interessanti, la tavolozza dei colori della pelle, già molto varia, si è arricchita. Arriva per esempio il Kristian Koppig di un altro racconto di “Old Creole Days”, un giovane olandese sbarbato dal viso roseo: “Uno dell'esercito di gentleman riversatisi da ogni angolo del mondo commerciale a valicare la montagna dell'esclusiva dei franco-spagnoli, come i goti sopra i Pirenei, per stabilirsi a New Orleans a raccogliere la fortuna con la metodicità di piccioni affamati”. Tra costoro circolavano anche italiani. I più noti si chiamavano Gambi e Chighizola. Definirli gentleman era improprio e poteva essere pericoloso. Avrebbero potuto non gradire l'ironia, Gambi soprattutto. (2. continua)
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