Le farfalle di Sierra Leone/2

Perché Afzelius, lo svedese, mi chiede se ero nella stanza di Mary quando l'hanno uccisa?

Sandro Fusina

Per sua fortuna, Lorenzo era distratto. Come gli accadeva spesso quando due inglesi parlavano fra di loro, si era isolato. Si era dedicato inutilmente a decifrare una scritta in gotico su un arazzo appeso alla parete dietro la poltrona di Dewey. Aveva riconosciuto il soggetto. La donna muscolosa era Giuditta. La testa mozzata che reggeva in mano era quella di Oloferne.

    Per sua fortuna, Lorenzo era distratto. Come gli accadeva spesso quando due inglesi parlavano fra di loro, si era isolato. Si era dedicato inutilmente a decifrare una scritta in gotico su un arazzo appeso alla parete dietro la poltrona di Dewey. Aveva riconosciuto il soggetto. La donna muscolosa era Giuditta. La testa mozzata che reggeva in mano era quella di Oloferne. Pensò che non era un soggetto molto appropriato in un paese in cui avevano tagliato la testa al re. Mentre Lorenzo osservava l'arazzo, Dewey osservava lui. Lo osservava anche l'uomo che era entrato. Ripeterono, sempre a voce alta, la storia delle carte e della Società reale. Poi l'uomo uscì. – Mi scusi ancora per l'interruzione – disse Dewey improvvisamente cordiale, – ma era una questione urgente. Una questione direi di vita o di morte – precisò sorridendo. – La prego – rispose Lorenzo con il migliore birignao parigino. – Il signor marchese immaginerà perché ho dovuto scomodarlo. Lorenzo annuì. Quella notte, all'ora del de- litto, era in camera sua, dormiva. Addio orologio. Conosceva Mary. Per forza, lo serviva. Non aveva sentito nulla di particolare. No, nella locanda non aveva rapporti con nessuno in particolare. L'aveva scelta perché gliela avevano raccomandata a Parigi. Salutava tutti, ma gli ospiti cambiavano spesso.

    Il nome Smeathmann non gli diceva niente. Se alloggiava alla locanda lo aveva incontrato di certo, ma non sapeva chi fosse. Nessuno gli aveva mai chiesto soldi in prestito, né proposto affari. Alla parola affari Lorenzo risentì la conversazione dietro il tramezzo. Lei ha qualcosa che appartiene a qualcuno. Ce l'ha un mio amico. Alla Società reale. Alla Società reale. Aveva capito tutto, parola per parola, quello che dicevano nell'altra stanza. Si era concentrato per capire. Si era concentrato per non venire. Lo faceva sempre quando scopava. Quando stava per venire. Per prolungare il piacere. – Le è venuto in mente qualcosa, marchese? – No, no. Perché? – Perché se ne era andato lontano. Con i suoi pensieri. – Mi scusi. Mi capita ogni tanto, penso a casa – arrossì Lorenzo. Dewey colse il rossore. – Ha visto in giro neri? – Neri? Dappertutto. Londra è piena di neri . – No, intendo alla locanda. – Alla locanda? Ne passano anche di lì. Fattorini, credo. – Anche la sera del delitto? Perché delitto al singolare? si chiese Lorenzo. – Non mi pare. No, non direi. – Bene, signor... signor Bravo. Ci è stato molto utile… Era un congedo. Lorenzo fece il gesto di alzarsi. – Si fermerà a lungo a Londra, signor Bravo? – Non ho deciso. Vorrei arrivare fino a Edimburgo. Nelle Shetland, forse. – Per la caccia? Per le starne? Per questo ha portato tutte quelle armi? – Non molte. Due fucili. Uno lungo per i beccaccini. Uno corto, per la selvaggina grossa. – Belle armi. Ha anche una coppia di pistole, vero, signor marchese? – Sì, le porto sempre in viaggio. – Complimenti. Sono splendide pistole bresciane, signor marchese. Pistole da duello. Ha anche una spada, vero? Stupenda. E' facile ai duelli, signor Bravo? Quegli stronzi erano entrati in camera sua. A meno che l'oste... No. L'oste non avrebbe capito che le pistole erano bresciane. Dewey suonò due volte il campanello.

    Entrò il cameriere. – Il signore se ne va. Buona permanenza, signor marchese. E buona caccia. Dewey accennò di nuovo ad alzarsi. Lorenzo si alzò. Il cameriere lo precedette nell'atrio e lo accompagnò alla porta. Lorenzo uscì e si incamminò per la strada da cui era arrivato. Senza voltarsi. Se si fosse voltato avrebbe visto che un uomo vestito in panno grigio era uscito dalla casa immediatamente dopo di lui e percorreva la sua stessa strada. Avrebbe visto lo stesso uomo fermarsi, quando lui si fermò per rispondere al saluto dello svedese che lo aspettava due isolati più giù. Avrebbe potuto vedersi con gli occhi dell'uomo in panno grigio. Avrebbe potuto osservare se stesso, un giovanotto robusto con tricorno e parrucca incipriata, in una giacca di seta azzurra, con bastone con il pomo d'oro, che parlava con un uomo un po' più basso di lui. Un uomo che poteva avere cinquant'anni, secco, senza parrucca, con un ampio cilindro, con un frack nero, stivali, un bastone con il manico in corno. Avrebbe potuto notare che il giovanotto tutto seta e pizzi comunicava i gesti, le pose dell'uomo in nero diventavano a tratti morbidi, femminili. Avrebbe potuto rodersi per l'impossibilità di ascoltare quello che quei due uomini così diversi si dicevano. – Le spiace che l'abbia aspettata? Mi conosce, vero? – Sei il corvo di Mary, rispose tra sé Lorenzo. – Permetta che mi presenti. Adam Afzelius. Svedese. Naturalista. – Lorenzo Bravo. Milanese –. Una professione non l'aveva. E neppure un vero titolo. – Torna alla locanda? Lorenzo annuì, senza convinzione. – Vorrei invitarla a bere una bottiglia di vino. Perché no? Tanto non aveva molto da fare. – Non sono un grande esperto di vini. Vuole scegliere lei il posto? – continuò lo svedese. – C'è un oste che importa dell'ottimo Borgogna. Non è lontano dal Covent Garden. – Mi affido al suo gusto. In Svezia non si beve molto vino. I due uomini si incamminarono.

    Il tipo in grigio li seguì. Poiché per la strada non parleranno che di tempo schifoso, di estate breve, di pioggia, di fango, noi li abbandoneremo invece un attimo per tornare da John Dewey. Dewey è sempre al suo posto. Sulla sedia di Lorenzo è seduto ora l'uomo che Mary ha salutato prima di morire. Ha i capelli biondi raccolti in un codino, la faccia aperta, gli occhi sorridenti. Potrebbe avere trent'anni. – Sì, probabilmente ha ragione lei. Probabilmente non capisce l'inglese. Forse era concentrato nei fatti suoi. Forse mettergli dietro un uomo è stato uno spreco. Lasciamoglielo lo stesso un paio di giorni. E lo svedese? – Non ha sentito? Lui conosceva Smeathmann. Era suo cliente. Gli comperava quelle schifezze che portava dall'Africa. In compenso non conosceva Mary. Almeno non nel senso del nostro marchese. Mi sembra innocuo. Un po' rimbambito. Ha cercato di spiegarmi la bellezza di un coleottero. Non ci darà noie. Ha la testa piena di idee bislacche. Mi ha detto che è un allievo di un certo... boh, uno svedese come lui. – Mi onoro di essere stato allievo e collaboratore di Linneo – spiegava Afzelius con il bicchiere a mezz'aria. Lorenzo non sembrava emozionato. – In Italia non si parla di Linneo? Lorenzo annusava il suo vino, come fosse un profumo. Scosse la testa. – No. Almeno io non ne ho mai sentito parlare. Chi è? – Chi era. Linneo è morto. Sei, no, sette anni fa. Nel 1778. Era un grande naturalista. Ha inventato un metodo per classificare tutte le creature. Piante e animali. – Interessante – disse Lorenzo con un tono poco convinto… – Non le interessano gli animali? – Tanto. Li allevo e li caccio. – Non le interessano gli insetti – constatò Afzelius con un'ombra di rammarico. – Come no? Vivo di bachi da seta. Ho ereditato una filanda. – Ho letto molto dei bachi da seta. Ma non ho mai visto un allevamento. Non sono mai stato in Italia. E neanche in Francia. – Se vuole glielo descrivo – . Il borgogna lo rendeva cordiale. Lo rallegrava il rubino che il lume della candela proiettava sul tavolo. Lo stupiva sentirsi parlare spedito in inglese. – No. Mi racconti invece un'altra cosa. Lei era nella stanza di Mary quando è stata uccisa? L'uomo in grigio seduto nel séparé accanto tese l'orecchio. (2. continua)