Le farfalle di Sierra Leone/3
Il morto faceva il cacciatore di insetti, e pare non fosse un onest'uomo
Lorenzo avvertì una scarica ai lombi. Lasciò che l'indolenzimento si attenuasse prima di rispondere: "No". La voce spezzata, lo sguardo, il pallore avevano detto sì per lui. Afzelius gli sorrise, paterno. "Forse mi sono sbagliato. Di notte dormo poco. Ci sono tante cose che mi piacerebbe sapere. Studio, scrivo. Non ci vedo più tanto bene, soprattutto alla luce della candela, neanche con gli occhiali".
Lorenzo avvertì una scarica ai lombi. Lasciò che l'indolenzimento si attenuasse prima di rispondere: «No». La voce spezzata, lo sguardo, il pallore avevano detto sì per lui. Afzelius gli sorrise, paterno. «Forse mi sono sbagliato. Di notte dormo poco. Ci sono tante cose che mi piacerebbe sapere. Studio, scrivo. Non ci vedo più tanto bene, soprattutto alla luce della candela, neanche con gli occhiali. Devo ordinarne un altro paio. Quando ho gli occhi stanchi mi affaccio alla finestra. Qualche volta mi sembra di vedere cose che non esistono, movimenti dietro le tende, qualcuno che entra furtivo in una porta. Devono essere i fantasmi delle cose cui ho rinunciato». Lorenzo non era ancora del tutto tranquillo. L'uomo in grigio era già deluso. Rivolse la sua attenzione al separé di sinistra dove a giudicare dai gridolini femminili doveva svolgersi una conversazione più interessante.
Afzelius vuotò il suo bicchiere. Lo posò. Prese la bottiglia e riempì di nuovo i bicchieri. Prima il suo, poi quello di Lorenzo. Lorenzo notò con stizza che lo faceva in modo maldestro. Così intorbida il vino, pensò. – Lei conosceva il Pigliamosche? – Mi scusi?– rispose Lorenzo, sospettoso. – Il Pigliamosche, l'uomo ucciso. – No, solo di vista. – Dewey le ha chiesto di lui? – No. Mi ha chiesto solo di un certo Smeathmann. Mi ha chiesto se gli avevo prestato dei soldi. – Sì, sì, si chiamava Samuel Smeathmann. Ma noi lo chiamavamo il Pigliamosche. – Voi chi? – chiese con tono sgarbato Lorenzo che non aveva ancora assorbito del tutto l'emozione. – Noi, i suoi clienti e quelli del Comitato –, sorrise . – I suoi clienti? – Smeathmann era il migliore fornitore di piante e di insetti rari. Lorenzo vuotò il bicchiere e se ne versò un altro. Quello di Afzelius era ancora pieno. – Faceva il cacciatore di insetti? – Scoppiò a ridere. Lo svedese annuì con un'espressione benevola. Era contento che la tensione si fosse sciolta. – Spero di non fare una brutta fine. Anch'io ho fatto il cacciatore di insetti. Ogni estate. Quand'ero bambino. Rincorrevo le farfalle per ore. Le lasciavo posare... mi avvicinavo piano, con il pollice e l'indice a pinza. Zac. Se non volavano via le prendevo. – Che farfalle c'erano a Milano? – Non era a Milano. Era a Biandronno, sul lago. Non so i nomi. La più comune era una farfalla bianca, con macchioline nere... – La Pieris brassicae… – Forse. Non so. Mi sembra strano che una farfalla così comune abbia un nome in latino. La più bella aveva come una coda con un occhio alla fine delle ali. Era a strisce color bronzo su un fondo avorio.
– Probabilmente era un papilio machaon. Cosa ne faceva? – Le mettevo in scatole di cartone. Con i buchi. Cercavo di farle vivere. – Ci riusciva? – No, mai. Anche se sapevo come gli allevatori facevano con i bachi da seta. Dalle mie parti tutti allevano bachi. Farfalle, no? Afzelius annuì. – Bombix mori, l'ha chiamato il Maestro, bombice del gelso, la pianta su cui vive. – Anch'io cercavo di osservare su quali piante le farfalle si posavano più volentieri. Mettevo nelle scatole i fiori, le foglie di quelle piante. Ma le farfalle morivano... sempre. – Le spiaceva? – Solo per un attimo. Però mi sarebbe piaciuto tenerle in vita. Per studiare la metamorfosi. A casa ho un libro bellissimo. Pieno di illustrazioni. In ogni tavola c'è una pianta e l'insetto che ci vive. La larva, la ninfa, l'insetto completo. E' bellissimo. Si intitola... “Metamorphosis insectorum...” – Surinamensium? – gli venne in aiuto Afzelius. – E' davvero un libro molto bello. E molto raro. Qui a Londra ce n'è una copia alla Società reale... La Società reale. Ancora la Società reale, pensò Lorenzo. Ci siamo, pensò l'uomo il grigio nel separé accanto, che aveva ripreso ad ascoltare. – Un'altra copia ce l'ha lord Newbury, che si degna di farmela consultare. E' straordinario che l'autore sia una donna, Maria Sibylla Merian. Conosce la storia? Era olandese... o forse tedesca. A cinquant'anni ha lasciato tutto. E' andata con la figlia in Suriname a studiare la metamorfosi degli insetti... Ma lei ce l'ha davvero? Chissà come è arrivato in Italia. – Perché? A casa mia c'è una grandissima biblioteca – osservò Lorenzo, che il vino a stomaco vuoto rendeva suscettibile. L'uomo in grigio si chiese quanto lontano da Londra e da che parte fosse un villaggio di nome Suriname. Pensò con desiderio alla Testa di Turco in Bow Street, dove la birra costava poco, c'era movimento, è c'erano le puttane più allegre di tutta Londra. – Mi scusi. Non volevo offenderla. Ma è un libro così raro. Sapesse cosa darei per averlo. Anche se dal punto di vista scientifico non è più attendibile. – Mi lasci il suo indirizzo e glielo farò avere – disse in tono arrogante il quasi marchese di Biandronno mentre si versava ancora vino, – ormai non lo leggo più. –
Non reggeva più neanche il vino. La bottiglia era vuota. Suonò per ordinarne un'altra. – E i coleotteri? – I...? – Non capisce la parola? – Non so cosa sono. – Sono insetti con una corazza dura. Che protegge le ali. Quando volano tengono sollevate le due metà della corazza. Si chiamano elitre. – I maggiolini? – chiese Lorenzo in italiano – No so se si chiamano così in Italia. – Si chiamano così. Maggiolini, coccinelle, cornabò –, cornabò lo tradusse in inglese, – Cervi volanti. – Cervi volanti? Credo di capire cosa intende, in Svezia li chiamiamo Ek-Oxe, buoi delle querce. Anch'io da bambino li prendevo. Ne ho avuto uno che mi seguiva quando gli davo del miele. – Sono fantastici i maschi. Hanno corna grossissime. Bisogna staccarle, portano fortuna. E' facile catturarli. Quando volano fanno molto rumore e vanno a sbattere contro tutto.
Entrò una serva con un'altra bottiglia di Borgogna. Lorenzo le palpò una coscia. Sotto il tavolo per non farsi vedere da Afzelius. Quando aveva bevuto non riusciva a tenere le mani a posto. Quando la mano penetrò troppo la ragazza si ritrasse ridendo: «Ma signore... » Imbarazzato di essere stato scoperto Lorenzo cercò di assecondare Afzelius. – Davvero quel poveraccio di guadagnava da vivere cacciando insetti? – Sì, in Africa. – In Africa? Andava in Africa a prendere gli insetti? E lei li comperava -, il vino gli aveva confuso le lingue. Parlava un misto di inglese e di francese. – Io e altri. Purtroppo. – Perché? – chiese prima in francese e poi in inglese Lorenzo. – Parli francese. Lo capisco. Perché non era molto onesto. – Cioè? – ormai parlava solo in francese, pensava solo alle cosce della cameriera. Si versò dell'altro vino. Ne versò un poco sul tavolo. Si bagnò un dito nella chiazza. Si passò il dito dietro l'orecchio destro. Vide che Afzelius lo guardava allibito. – Porta fortuna – disse . – Cosa stavamo dicendo? – chiese. – Parlavamo di Smeathmann – rispose Afzelius – della sua onestà. – Della sua onestà? – parlava francese. Ma impastato. Lorenzo se ne rendeva conto. Per nascondere il suo stato si versava un bicchiere dopo l'altro. – Il Pigliamosche vendeva esemplari della stessa specie a più raccoglitori, assicurando a ciascuno che era un esemplare unico. – E allora? – la lingua era ormai legata. – Allora? pagavamo caro un esemplare al quale speravamo di dare il nostro nome. Poi scoprivamo che altri avevano già classificato la specie. Beghe continue. Gli scienziati hanno un cattivo carattere. – Anche lei. – Quando mi sono accorto che mi aveva venduto come se arrivasse dall'Africa un gorgoglione del melo, un insetto europeo che non esiste in Inghilterra, ma che era già stato studiato quarant'anni prima a Ginevra da Charles Bonnet, lo avrei ucciso. L'uomo in grigio non sentì. Dormiva con la testa sul tavolo. (3. continua)
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