Le farfalle di Sierra Leone/4

Così Lorenzo, ubriaco e derubato, si dovette sorbire la predica di Afzelius

Sandro Fusina

Lorenzo era impallidito di colpo. – Non sta bene? – gli chiese Afzelius in tono premuroso. – Non è niente – rispose alzandosi. Quando fu in piedi dovette appoggiarsi al tavolo. Ritrovò abbastanza equilibrio per arrivare allo stipite del separé. Portò una mano alla bocca per trattenere il vomito. Trovò la forza per attraversare il locale.

    Lorenzo era impallidito di colpo. – Non sta bene? – gli chiese Afzelius in tono premuroso. – Non è niente – rispose alzandosi. Quando fu in piedi dovette appoggiarsi al tavolo. Ritrovò abbastanza equilibrio per arrivare allo stipite del separé. Portò una mano alla bocca per trattenere il vomito. Trovò la forza per attraversare il locale. A testa bassa, con la mano sulla bocca, barcollando. Uscì all'aria. Appena in tempo. Vomitò contro il muro, sugli scarpini, sulla falda della giacca. Appoggiò la fronte al muro. Cercò il fazzoletto per pulirsi la bocca. Un ragazzino stracciato gli si accostò. «Posso aiutarla, signore» , disse abbracciandolo in vita. Quando Lorenzo fece cenno di no, il ragazzino era già arrivato alla tasca dove teneva la borsa. Si stava allontanando, soddisfatto, palpando il bottino nascosto sotto la camicia, immaginando quante monete ci fossero, quando una mano gli calò sulla spalla. Terrorizzato si fece ancora più piccolo. Trovò il coraggio di alzare la testa con un'espressione di sfida. Afzelius gli sorrideva. Non aveva visto il furto. – To'– gli disse, mettendogli in mano una moneta – va a cercare una carrozza – Il ragazzino scappò via. – Mi spiace – disse Lorenzo – Sono cose che succedono – rispose Afzelius con dolcezza. – A me non capita mai – precisò Lorenzo – Devo pagare – Fece per rientrare nell'osteria. Afzelius lo trattenne. – Mi perdoni, ho fatto io. L'avevo invitata. – Non doveva. Comunque grazie.

    Il ragazzino tornò con la carrozza. Afzelius invitò Lorenzo a montare e diede al cocchiere l'indirizzo della locanda. Il ragazzino li guardò partire, sventolando una mano. L'uomo in grigio imprecò e si mise a trotterellare dietro la carrozza. Lorenzo era di pessimo umore. – Non ho voglia di veder e la faccia del padrone della locanda. E' falso come Giuda. La povera Mary l'ha depositata come una cosa nella rimessa, sul tavolo dove tagliano la carne. L'altro l'hanno portato fuori dal retro. Come se nessuno avesse visto tutto il sangue che c'era in giro. Neanche Dewey ha parlato di due morti – Sarà finito su un tavolo anatomico. E'l'ultimo servizio del corpo, quando l'anima lo ha abbandonato. – L'anima – brontolò Lorenzo con aria assorta, senza aggiungere altro. – Lei è di quelli che non credono all'anima? – Non so. Dipende. Da come mi sento. Adesso mi sembra di averla vomitata. Afzelius sorrise. – Neanche a me piace il padrone. Ma non voglio cambiare. In quella locanda è successo qualcosa di molto importante. Se lei non fosse così scettico, direi il fatto più importante dopo la resurrezione di Gesù Cristo. – Cioè? – Afzelius non colse o volle ignorare l'intonazione irridente di quel cioè. – Quando lei si è ubriacato ed è stato male ho sperato che fosse un segno. – Un segno? Un segno di cosa? – Lei conosce Emanuel Swedenborg? – No, non credo. Dovrei? – Dovrebbe. Swedenborg è il mio maestro – Un altro? Lei è pieno di maestri. E'un naturalista? – Anche. Ha scritto libri fondamentali, che lei dovrebbe leggere, “Oeconomia regni animalis”, per esempio. Era un grande signore, che viaggiava molto. Come lei. – E' morto anche lui nella locanda?– chiese allarmato Lorenzo. – No. Nella locanda dove alloggiamo ha avuto la visione che ha cambiato la sua vita. E la nostra. – La vostra di voi naturalisti – , disse Lorenzo con un tono di lieve presa in giro. Gli stava tornando il buonumore. – La nostra di noi credenti della “Nuova Chiesa” , rispose Afzelius senza rilevare l'irriverenza.

    Lorenzo capì che non avrebbe potuto evitare la predica. “Così impari a farti abbordare per strada dagli sconosciuti” , si disse. E si offrì inerme al sacrificio. – Accadde esattamente quarantuno anni fa – , incominciò Afzelius, con il tono e lo stile levigato di chi ha già raccontato infinite volte la stessa storia, – nell'aprile del 1745. Swedenborg pranzava sempre alla locanda. Allora c'era il padre dell'attuale padrone. Non disdegnava il vino e mangiava di buon appetito. Quella sera alla fine del pasto si avvide che una nebbia gli scendeva sugli occhi. Conservava integri lo spirito e il giudizio, ma tutto il pavimento della locanda si riempì di rettili, rane e rospi. Intanto le tenebre che lo avvolgevano diventavano più fitte. Poi si dissolsero. Seduto in fondo alla stanza c'era un uomo. L'uomo lo guardava silenzioso. Dopo un poco parlò e gli disse : “Non mangiare tanto”. A Swedenborg si oscurò di nuovo la vista. Poi tornò la luce e tutto era passato. La sera dopo rivide l'uomo. Non aveva più timore di lui.

    L'uomo gli disse: “Io sono Iddio, il Signore, Creatore e Redentore del Mondo. Io ti ho prescelto perché tu spieghi agli uomini il senso spirituale delle mie scritture. Io ti detterò e tu scriverai”. Per tutta la notte il Signore gli aperse gli occhi dello spirito perché potesse vedere quello che avviene nell'aldilà e potesse conversare con gli angeli e con gli spiriti. Da allora Swedenborg poté trattenere rapporti con gli spiriti eccelsi di ogni epoca e di ogni luogo, con i contemporanei più umili e con i più eccelsi maestri del passato, come Virgilio, San Paolo e Mar tin Lutero. Divenne un profeta, scelto da Dio per portare al mondo la vera religione cristiana. Lorenzo non ebbe il coraggio di interromperlo. Quanto allo spirito eccelso di Lutero aveva qualcosa da dire. Sua nonna per dare del mascalzone a qualcuno diceva: “Sei più falso di Martinlutero”. Martin l'utero, pensò e sorrise tra sé per il gioco di parole. – Lei ridacchia – disse con una punta di stizza Afzelius. – Non è il solo. E' il secolo. Anche i filosofi che credono di sapere tutto e non sanno distinguere un lepidottero da un imenottero hanno riso di Swedenborg. Anche il grande maestro tedesco, anche Kant. Io spero per lei che la bontà del signore voglia illuminarla, voglia farla cadere da cavallo. Lorenzo si toccò i coglioni. Suo padre era morto per una caduta da cavallo. La carrozza procedeva a passo d'uomo, in mezzo a un traffico caotico di carretti, di facchini carichi all'inverosimile, di mendicanti intraprendenti che si aggrappavano al finestrino. L'uomo in grigio si rallegrava di non dovere correre come un lacché. Afzelius ne approfittava per fare proselitismo. Lorenzo, che aveva ancora un po' di cerchio alla testa, non ne poteva più. Prese il bastone e picchiò sul tetto della carrozza. Il vetturino tirò le redini. – Mi sono ricordato che devo fare delle compere – disse aprendo la portiera – Grazie per il passaggio. E per le informazioni su Swebenberg. – Swedemborg. Emanuel Swedenborg. E' stato un piacere. Rispose Afzelius mentre Lorenzo alzava gli occhi per fare cenno al cocchiere di partire. Il cocchiere era sceso da cassetta. Stava raccogliendo con una paletta la merda di un cavallo. – Re regina cavala pulina – canticchiò Lorenzo attraversando la strada.

    Dalle sue parti sul lago la pulina era la merda di cavallo. L'uomo in grigio lo seguì fino al negozio del profumiere dove aveva comperato i guanti qualche ora prima. Lorenzo spendeva sempre volentieri i suoi soldi, ma mai volentieri come dai profumieri. I flaconi di cristallo, di porcellana lo ingolosivano. Le scatole di unguenti profumati lo facevano diventare matto. Anche i grandi vasi allineati sugli scaffali con le etichette con i nomi delle essenze lo rallegravano. Aveva visitato già molti dei profumieri di Londra. Per gli ordini più importanti continuava però a rivolgersi a Parigi. Ma sperava ancora di trovare a Londra un artista capace di creare per lui un capolavoro. Il profumiere gli mostrò una serie di flaconcini. Erano un'orchestra di scimmiette musicanti. Di porcellana di Sassonia diceva il profumiere. Il gusto della decorazione e le due spade incrociate del marchio lo confermavano. Le testoline erano i tappi. Ogni corpo conteneva un profumo dalla tonalità diversa. Un profumo sottile, pungente il violino. Un profumo più dolce il flauto. Il contrabbasso aveva il sentore del muschio. Il profumiere lo assicurò che i profumi potevano essere usati uno, due, tre per volta, anche tutti insieme. Potevano formare duetti, trii, quartetti. Potevano dare tutte le fragranze di un'orchestra da camera. La piccola orchestra entusiasmava Lorenzo. Chiese il prezzo. Cercò la borsa. Scoprì di non avere più neanche un penny. (4. continua)