I napoleonidi/4 - Una serie dell'altro mondo

Il 25 novembre 1812 i notabili della città ascoltarono il racconto di un certo Williams

Sandro Fusina

Il 25 novembre 1812, mentre il generale Humbert faceva la sua scenata ai francesi e agli italiani di diversa estrazione e professione radunati per festeggiarlo all'Hotel de la Marine, lì accanto, al Cabildo, il Palazzo del governo in Place d'Armes, il governatore William C. Claiborne, il procuratore John Grymes e un buon numero di notabili americani ascoltavano il racconto di un certo Williams, arrivato la sera prima in città.

    Il 25 novembre 1812, mentre il generale Humbert faceva la sua scenata ai francesi e agli italiani di diversa estrazione e professione (non tutti erano pirati, c'erano almeno un sindaco, un banchiere e professionisti vari, tra i quali Lacarrière-Latour, uno degli architetti impegnati nello sviluppo tumultuoso di New Orleans) radunati per festeggiarlo all'Hotel de la Marine, lì accanto, al Cabildo, il Palazzo del governo in Place d'Armes, il governatore William C. Claiborne, il procuratore John Grymes e un buon numero di notabili americani ascoltavano il racconto di un certo Williams, arrivato la sera prima in città. Quel Williams raccontava di una sua allarmante disavventura. Era imbarcato sul mercantile Independence, iscritto nel registro di Salem nel Massachusetts, che tornava da un viaggio sulla costa dell'Africa. Ripartito dopo una sosta nel porto dell'Avana per riparazioni, l'Independence era stato catturato dai pirati.
    Cosa mai un mercantile americano andava a fare sulla costa dell'Africa, leggi Golfo di Guinea, leggi Oil Rivers, cioè il delta del Niger, dove oil non significava petrolio, come oggi da quelle parti, ma olio di palma o di ricino? L'oro degli Ashanti e l'avorio degli Yoruba erano poca cosa, buoni per incrementare il reddito del capitano, ma non così interessanti da consigliare a un armatore di investire in un lungo viaggio transatlantico in tempo di guerra, quando alle terribili bonacce si sommava il pericolo di incontrare puntigliose squadre britanniche o intraprendenti corsari francesi, per non parlare poi degli occasionali pirati senza bandiera. L'unico commercio per cui valeva la pena correre tanti rischi era il commercio di uomini.

    Ora, dal gennaio del 1808, per una legge votata dal Congresso nel novembre 1807 e firmata dal presidente Jefferson, era proibito importare nuovi schiavi negli Stati Uniti. Il che non significava che la schiavitù era abolita, né che fosse illegale la compravendita degli schiavi già presenti in America. Significava solo che l'offerta di forza lavoro sul mercato diventava molto inferiore alla richiesta. Gli schiavi che si trovavano sul mercato erano solo quelli resi disponibili dalla riduzione delle piantagioni di tabacco. Ma in tutto il sud era in espansione la coltura del cotone e, in particolare nelle terre alluvionali intorno a New Orleans, della canna da zucchero. Il merito, o la colpa, era di quella semplice macchina inventata da Eli Whitney che si chiamava cotton gin e serviva per separare le fibre dai semi del cotone. Un solo esemplare di quella macchina, neanche coperta da brevetto e molto facile da imitare, e quindi molto diffusa, faceva il lavoro di cinquanta schiavi. Il che rendeva più facile la produzione del cotone grezzo, pronto per alimentare le spinning mule, le filatrici meccaniche. I campi di cotone divennero più numerosi e più grandi; invece di diminuire, il bisogno di schiavi aumentò. Per alimentare il mercato non c'era che il contrabbando.
    Contrabbando a New Orleans era sinonimo di Lafitte, i fratelli che sulla Grande Terre avevano aperto un grande centro commerciale ante litteram, una vendita diretta e al dettaglio dei prodotti della loro impresa. La passeggiata in barca alla Grande Terre era un obbligo e un piacere per qualsiasi benestante di New Orleans che desiderasse comperare un gioiello o un oggetto d'arte di lusso di fabbricazione europea.
    Con la guerra di corsa alle navi che battevano bandiera spagnola, i fratelli Lafitte e i loro associati erano in grado di fornire al netto delle imposte di dogana tutto quanto non veniva prodotto sul territorio della Louisiana. Potevano fornire anche una discreta quantità di schiavi. L'acquisto di uno schiavo era un po' più complicato di quello di una pendola. Non bastava andare sul posto a scegliere l'articolo. Se non si voleva correre il rischio di vedersi sequestrare l'acquisto, era necessario ricorrere a un intermediario, una specie di grossista. Costui pagava per l'avorio nero il prezzo unitario di un dollaro la libbra.

    Poi consegnava la merce alle autorità, come se si trattasse di schiavi fuggitivi o sottratti ai contrabbandieri che cercavano di introdurli illegalmente negli Stati Uniti. Poiché nessuno poteva presentarsi a reclamare la legittima proprietà, gli africani venivano venduti a un'asta pubblica alla quale non osava intervenire nessuno che non fosse il vero acquirente o l'intermediario stesso.
    Quel pomeriggio di domenica del 25 novembre il povero Williams, di cui non conosciamo il nome di battesimo, raccontò la sua brutta storia. L'equipaggio della sua nave era stato massacrato. Lui solo, caduto in mare di notte ancora vivo, era riuscito chissà come a raggiungere la costa cubana. Un veliero francese diretto a New Orleans lo aveva preso a bordo.
    Sulla vera natura della guerra di corsa dei fratelli Lafitte e dei loro soci qualche dubbio era già sorto. Come mai con un'attività così intensa, come dimostrava l'entità del bottino, i Lafitte non avevano mai il problema di gestire un prigioniero? Non era solo le lettere di marca o il diritto di issare la bandiera dello stato patrono a distinguere i corsari dai pirati. La pirateria era un crimine internazionale, punito con la morte. I pirati non avevano interesse a lasciare in giro testimoni delle proprie imprese. Diversamente dai corsari non facevano prigionieri. Dei Lafitte non si era mai saputo che tenessero prigionieri o chiedessero riscatti.
    William Charles Cole Claiborne non intendeva farsi giocare dai pirati. Aveva assistito al mitico incidente, quando la bandiera americana che si alzava era rimasta per un attimo appaiata alla bandiera francese che si ammainava, dopo che lui aveva celebrato la cerimonia del passaggio di autorità del territorio della Louisiana con il rappresentante francese. Dopo essere stato governatore del territorio del Mississippi prima e del Territorio di Orleans, poi, nel 1812 era stato eletto dai suoi concittadini primo governatore dello stato della Louisiana. Era di grande famiglia coloniale, un suo antenato diretto era quel William Claiborne, o Clayborn, o Clayborne, protestante, che era sopravvissuto al massacro dei coloni da parte degli indiani Powtahan e al tempo della dittatura repubblicana di Oliver Cromwell era stato uno dei personaggi più influenti della Virginia. Lo stesso William C.C., pur essendo molto giovane (era nato nel 1775), aveva alle spalle un fiore di carriera politica. Tra l'altro era stato il più giovane membro del Congresso di tutta la storia degli Stati Uniti, eletto ventiduenne alla Camera dei rappresentanti, quando la Costituzione richiedeva di avere compiuto i venticinque anni.
    John Grymes, anch'egli virginiano, aveva una storia un po' diversa. Durante la Guerra di indipendenza suo padre, che al tempo della nostra storia era ancora vivo, era rimasto fedele alla monarchia, aveva combattuto con gli inglesi e dopo la sconfitta si era stabilito a Londra dove aveva favorito la formazione di un reparto di americani lealisti per fare scudo contro la paventata invasione dell'Inghilterra da parte di Napoleone. Era poi tornato in Virginia a gestire una prospera piantagione di cotone.
    Tra Claiborne e Lafitte era in corso una sorta di guerra. Lafitte, che oltretutto aveva possibilità finanziarie apparentemente illimitate, godeva dell'appoggio e persino della simpatia di molti. Francesi o americani, gli abitanti della Louisiana non volevano vedere in lui che un elegante avventuriero, in grado oltretutto di fornire loro molti articoli di cui avevano bisogno, degli schiavi per le piantagioni soprattutto.

    Con tutti i suoi uragani ricorrenti, il suo calore e la sua umidità spossanti, le sue acque morte, con tutto il suo essere l'habitat ideale per le diverse specie di zanzare che ospitano il virus amarillys, l'agente patogeno del vomito nero o febbre gialla, New Orleans era una città in grande espansione economica e urbanistica. Così la descrive Giacinto Costantino Beltrami nell'ultima delle lettere alla contessa (Giulia Medici Spada) che compongono il racconto del suo viaggio lungo il Mississippi: “E' costruita sulla riva sinistra del fiume, che fa una mezza luna, e su un'isola di circa 150 miglia di perimetro, formata dal Mississippi, dal Bayou Manchac e dai laghi Maurepas e Pontchartrain. Nuove costruzioni quasi tutte in pietra, formano un grande contrasto con le vecchie costruzioni di legno. E' in gran parte popolata da stranieri e da creoli e da americani che la favorevole posizione per i commerci attira da ogni parte. E' più brillante di ogni altra città d'America che io abbia visitato. La popolazione, circa quarantacinquemila anime, è prodigiosa per una città che esce, si può dire, quasi da una palude e nella quale la febbre gialla e la naturale insalubrità del clima provocano più o meno ogni anno epidemie terribili. Uno straniero che vi entrasse di notte crederebbe di vedere una grande capitale: vi si trovano strade illuminate con riflettori, e un movimento intenso di fiacres la percorrono. E' straordinario come una città appena uscita dall'infanzia offra già una parte dei diversivi delle capitali europee in fatto di divertimenti pubblici: corse di cavalli, sale di spettacolo, concerti, balli, ecc. e case da gioco di ogni specie. Dentro la breve cerchia della città si calcolano fino a sei case da gioco pubbliche, vale a dire quattro più che a Parigi… Ci sono poi due teatri, oltre a un più modesto teatro spagnolo, ‘l'americano', per quanto più piccolo del teatro francese… ha accessori che non si trovano in alcun paese d'Europa, soprattutto una grande sala dove si danno per prenotazione balli mascherati e in costume.
    Ma il teatro francese può vantarsi dell'opera dell'italiano signor Fogliardi (Raffaele?) che “al talento scenografico unisce quello del disegno, l'arte di cui non saprei mai decantare i vantaggi e i prodigi e che dovrebbe essere… l'idolo della gioventù”.
    Per delicatezza nei riguardi della contessa, l'esploratore bergamasco non menziona le donne, che non sono la minore delle attrattive della città.