L'ipocrisia dei giornaloni su questa giustizia a orologeria

Giuliano Ferrara

Bestiale la capacità di ipocrisia dei giornaloni. Se il presidente della Regione Nichi Vendola protesta contro le indagini giudiziarie sulla sanità nella sua Puglia con le stesse parole usate da Silvio Berlusconi per criticare duramente le inchieste che lo riguardano, allora i giornaloni dicono che dovrebbe essere più sobrio, che la sua storia personale è diversa da quella di Berlusconi, e dunque non può permettersi di parlare dei magistrati con la stessa rabbia del presidente del Consiglio. 

    Bestiale la capacità di ipocrisia dei giornaloni. Se il presidente della Regione Nichi Vendola protesta contro le indagini giudiziarie sulla sanità nella sua Puglia con le stesse parole usate da Silvio Berlusconi per criticare duramente le inchieste che lo riguardano; se accusa il pm barese per la sua rete di amicizie e parentele che avrebbe dovuto consigliargli di astenersi dall'inchiesta; se parla di politicizzazione della giustizia e afferma nel suo tradizionale linguaggio mélo che “qualcuno sta preparando la mia morte”: allora i giornaloni dicono che dovrebbe essere più sobrio, che la sua storia personale è diversa da quella di Berlusconi, e dunque non può permettersi di parlare dei magistrati con la stessa rabbia del presidente del Consiglio.

    Il riflesso ideologico impedisce al commentatore perbenista di segnalare un dubbio chiarificatore all'opinione pubblica e ai lettori: se a lamentarsi delle inchieste a orologeria (cosiddette) sono in tanti e così diversi, forse è la credibilità della giustizia che piano piano si è sfarinata. La rete delle amicizie e delle parentele non conterebbe niente se non fosse sfacciatamente esibita, se non fosse percepita come un ostacolo evidente all'imparzialità, tanto dagli uni (la sinsitra) quanto dagli altri (la destra), se non svuotasse completamente di significato l'aulica metafora della solitudine del magistrato chiamato ad applicare soltanto la legge.
    E' così difficile capire che qualcosa di grave è successo negli ultimi venticinque anni in Italia? I corrispondenti stranieri non conoscono la nostra storia e non desiderano conoscerla, con rare eccezioni tra loro, ma i nostri opinionisti dovrebbero sapere che il paese vive, letteralmente vive e si nutre, dello scontro politico sulla giustizia da un tempo ormai infinito; che su questo conflitto, anticipato dal celebre e tremendo caso Tortora (più referendum abortito sulla responsabilità civile dei giudici), si sono giocate le sorti di una Repubblica costituzionale, del suo sistema di partiti, dello stato di diritto, delle regole materiali e della cultura che avevano radicato e consolidato nel tempo della guerra fredda una democrazia di confine e di battaglia come quella italiana. Come è possibile scostare l'evidenza del fatto, la politicizzazione radicale della magistratura nello scontro corporativo con le istituzioni e la classe dirigente, e cancellarlo?
       

    Dove sta oggi Antonio Di Pietro, il pivot delle inchieste milanesi, vent'anni dopo la grande crociata moralizzatrice? E' un capopartito. Fa politica da anni. Voleva sostituire coloro che arrestò e tenne in carcere per ottenere le famose confessioni capaci di liquidare una intera classe dirigente. Voleva prendere il loro posto in Parlamento, nel governo, nella nomenclatura di potere. Lo ha fatto. Semplicemente lo ha fatto. Come il suo più giovane collega Luigi De Magistris. Lo abbiamo visto in televisione, con i soliti mentori che da vent'anni mettono insieme il pranzo con la cena a colpi di demagogia antipotere, mentre tirava di sciabola contro la corruzione. E pensavamo, nella modestia della nostra immaginazione: questo è un altro a cui piace fare politica, diventare famoso, finire in Parlamento e se possibile al governo, perché la magistratura come potere neutro, di sanzione del reato penale dei singoli, gli sta stretta. E così è andata, con il conforto dell'ipocrisia dei giornaloni, che fanno sempre finta di niente, e con l'aiutino di un popolo elettore bue, molto bue. Non t'amo o pio bove, e un sentimento poco mite al cor m'infondi.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.