Amori e disamori/ 3
Cécilia ha sposato chi ha amato e non viceversa, è un bene che ci sia e che sia fatta così
E' bene che non sia una puttana né un'avventuriera, perché le cose facili ci annoiano. E' bene che abbia folleggiato e che a venti anni sia stata lì lì per sposarsi, trovando il coraggio di scappare a pochi giorni dalla cerimonia di nozze.
E' bene che non sia una puttana né un'avventuriera, perché le cose facili ci annoiano. E' bene che abbia folleggiato e che a venti anni sia stata lì lì per sposarsi, trovando il coraggio di scappare a pochi giorni dalla cerimonia di nozze. E' bene che successivamente e in questo ordine: si sia innamorata, abbia avuto due figlie, sposato il loro padre, si sia innamorata ancora, abbia divorziato, si sia sposata di nuovo, abbia avuto un altro figlio, si sia innamorata una terza volta, abbia cercato per mesi di rimettere insieme i cocci della famiglia espansa, lei, lui, i figli di lei, i figli di lui, i figli di lei con lui e chissà qualche figlio di lui con un'altra. Si sposa e si risposa.
E' bene che sia stata “sentimentalmente seriale”, è bene che non sia stata una costola d'uomo. E' bene, un grande bene, che sia stata donna. E questo essere donna, come un assolo di sax tenore nella metro di notte, ha fatto irruzione nella galleria degli specchi, annichilendo una tradizione di cinquant'anni, sfregiando in modo irreparabile i ritratti delle cinque premières dames che l'hanno preceduta. Yvonne che in silenzio prepara le minestrine del Generale, Claude che per reggere un ruolo per lei troppo pesante si appoggia al bicchiere e ad amici un po' fuori dal giro. Anne-Aymone, figura regale, di quelle che si portano alla festa per farsi invidiare ma che poi tutti mollano perché intorno a lei c'è un freddo che spacca. Danielle, moglie dolente e madre premurosa della sinistra, campione di amicizia coniugale, quattordici anni a far finta di esserci, fosse dipeso da lei sarebbe corsa dietro i nipotini del “Che”. Bernadette, che fa finta di non vedere e si trasforma in complice onnipresente, intrigante e arrogante, sempre più stupita che un sodale sottoposto potesse rifiutarsi di andare in prigione al posto del marito. Una casalinga, una nevrotica irrequieta sgomenta di fronte alla modernità come un'eroina di Antonioni, un'aristocratica finta, una solida borghese, un'aristocratica vera, cinque donne che in silenzio hanno sofferto, assunto il ruolo e in silenzio sono scomparse. Nella memoria e nella storia, restano come esempio di matrimoni costretti a funzionare sempre e comunque, anche nella menzogna, in una parola “creazionisti”.
Lei, Cécilia, per fortuna è altra. Non è un'arrampicatrice, non è partita dalla provincia alla conquista della capitale e del mondo, se ne frega di stucchi dorati e tappeti rossi, di passare il tempo tra un'inaugurazione e una rimessa di onorificenze, sarà pure una Corte ma almeno a Versailles c'erano feste e festini, ci si divertiva, si giocava, si costruivano pettegolezzi, maldicenze, complotti: all'Eliseo, la sera ci saranno sì e no tre finestre illuminate, corridoi e saloni sono vuoti, si timbra il cartellino e tranne i membri di gabinetto si lavora a orario sindacale. L'ha sempre detto, temo che tutto questo mi faccia “chier”.
Cécilia è per metà gitana e per metà aristocratica, è un cavallo di razza che scarta alla minima ombra. E' una donna, completamente donna, autonomamente donna, che in un secolo ha cambiato in modo irreversibile il modo di vedersi e di vedere l'uomo, non più l'appendice di uno, semmai la metà di due. Anche su pubblica piazza. Come donna, Cécilia vuole amore prima ancora che matrimoni. Ha sposato chi ha amato, non il contrario. E quando sente la crisi, gira la pagina: perché nulla svilisce e ferisce di più una donna – una donna, non uomo – che costringersi a vivere accanto a qualcuno che non si ama più. L'uomo è colui che crede di vivere anche annodando e trascinando frammenti amorosi sempre più pallidi, solo la donna sa tagliare con dolore ma con nettezza.
Quanto al perché ci sia un tale bisogno di amore, tanta voglia di riprodurre gli slanci della passione, la risposta possibile mi sembra questa: gli uomini, e soprattutto le donne, del Novecento hanno imparato a vivere nel presente permanente. Qui e ora. Vivono come se Dio non ci fosse. Non so se sia un bene o un male, ma è così.
Il Foglio sportivo - in corpore sano