Taglialingue e dissidenti
In Egitto c'è un Voltaire arabo a cui gli islamisti stanno dando la caccia
I fondamentalisti islamici hanno già affisso il suo nome sulle porte di alcune moschee radicali. Il terrore per Sayed al Qimani è aumentato a dismisura dopo che il governo egiziano gli ha assegnato un prestigioso premio. Figlio di un imam della povera provincia egiziana, Qimani è oggi un uomo in fuga, il primo secolarista arabo sulla lista nera dei taglialingue. L'Economist lo ha già ribattezzato il “Voltaire arabo”.
I fondamentalisti islamici hanno già affisso il suo nome sulle porte di alcune moschee radicali. Il terrore per Sayed al Qimani è aumentato a dismisura dopo che il governo egiziano gli ha assegnato un prestigioso premio. Figlio di un imam della povera provincia egiziana, Qimani è oggi un uomo in fuga, il primo secolarista arabo sulla lista nera dei taglialingue. L'Economist lo ha già ribattezzato il “Voltaire arabo” per le sue idee liberali. Nel 2005, per timore di cadere sotto i colpi dei jihadisti, Qimani rinunciò a esporre le proprie tesi in pubblico. Una dozzina di sue opere, fra cui la celebre “Rabb al Zaman” (“Il Dio del nostro tempo”), sono state bandite dall'Università al Azhar, il più importante ateneo sunnita. Altri religiosi lo hanno bollato come “apostata”. Ahmad Omar Hashem, ex rettore di al Azhar, sostiene che in caso di blasfemia, “il mondo islamico non si calmerà se non ci sarà la punizione decisiva e immediata”.
Il governo del Cairo è stato subissato di minacce affinché ritiri il premio concesso. Pena: la morte dell'autore. Le minacce hanno funzionato benissimo in passato con Nasr Abu Zeid, uno studioso del Corano che ha abbandonato l'Egitto dopo che una Corte lo aveva obbligato al divorzio dalla moglie con la giustificazione che Zeid era un “apostata”, uno sporco revisionista. Con la stessa accusa, apostasia, in Sudan fu messo a morte il primo grande riformatore, Muhammad Taha, che auspicava il ritorno al messaggio originale dell'islam, secondo lui portatore di valori di giustizia e convivenza fra i popoli. Taha era l'anti Qutb, il padre fondatore del moderno jihadismo in Egitto. Fu giustiziato perché, durante gli anni roventi della febbre islamista, aveva formulato un messaggio coeso, coraggioso e coerente. C'è chi ha scritto che se fosse prevalsa la sua visione teologica e non quella di Qutb non ci sarebbe stato l'11 settembre 2001.
Sulla testa di Qimani pesa oggi la scomunica di al Azhar. Con i suoi 370 mila studenti, al Azhar è una sorta di Vaticano sunnita, ma è anche tenuta d'occhio dai servizi segreti di mezzo mondo. Fra migliaia di arrestati per terrorismo non ce n'è quasi nessuno che non avesse studiato qui. Anche il numero due di al Qaida, Ayman al Zawahiri, vanta in famiglia uno zio che è stato grande imam di al Azhar. Nel 2004 il Consiglio della ricerca islamica dell'università mise al bando un libro dell'intellettuale Gamal al Banna, “La responsabilità del fallimento dei paesi islamici”, in cui l'autore propone alle minoranze musulmane nel mondo modalità di comportamento capaci di facilitare l'integrazione in società non islamiche. Stessa sorte per l'autrice Nawal el Sadawi, il cui romanzo, “La Caduta dell'imam”, è stato vietato dall'emerita istituzione. Sempre da al Azhar, Suad Saleh, preside della facoltà di Studi islamici e arabi dell'Università islamica, ha legittimato con una fatwa la condanna a morte del convertito cristiano Hegazi. Al Azhar aveva messo all'indice tutte le opere dello scrittore egiziano Farag Foda, poi assassinato da un commando dei Fratelli musulmani. Foda i suoi nemici era solito chiamarli Gamaat Zalamiya, i “Gruppi dell'oscurità”. E' lo stesso messaggio dell'“eretico” Qimani: per far vincere la luce della ragione contro l'oscurantismo islamista e la sua cultura della morte, l'islam deve liberare “Isstiyl al-‘aql”, la Ragione imprigionata.
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