Le farfalle di Sierra Leone/7
Quell'urlo in sala scommesse mentre il maestro d'armi sfidava a duello la cavaliera d'Eon
– Non ci crederai, ma quando l'oste ha spezzato la bottiglia e mi ha gettato addosso il vino ho fatto in tempo a chiedermi se fosse Borgogna o Bordeaux. – Era Borgogna o Bordeaux? – Borgogna, direi. Ma non ci scommetterei. – Dovevi scommettere, gli inglesi non sanno resistere a una scommessa, se scommettevi, benedetto, magari perdevi, ma ti risparmiavi il fango e la merda, non so se fosse tua o se l'avevi raccolta per strada.
– Non ci crederai, ma quando l'oste ha spezzato la bottiglia e mi ha gettato addosso il vino ho fatto in tempo a chiedermi se fosse Borgogna o Bordeaux. – Era Borgogna o Bordeaux? – Borgogna, direi. Ma non ci scommetterei. – Dovevi scommettere, gli inglesi non sanno resistere a una scommessa, se scommettevi, benedetto, magari perdevi, ma ti risparmiavi il fango e la merda, non so se fosse tua o se l'avevi raccolta per strada, ma quando sei arrivato puzzavi come si ti avessero versato in testa tutti i pitali di Londra, stasera ti faccio bere il Borgogna migliore che si trova a Londra. Lorenzo non era tornato alla locanda a cambiarsi. Non aveva avuto il coraggio di presentarsi in quello stato. Era andato dove era già diretto, dallo zio mona. Quando gli aveva aperto la porta, Jacques, il cameriere francese di Alvise Dolfin, che lo conosceva da bambino, non lo aveva riconosciuto.
Quando lo aveva fatto entrare non lo aveva invitato a sedersi. Quando era uscito dallo studio, lo zio rideva già come un matto. Solo dopo che si fu lavato e cambiato Lorenzo poté raccontargli con tutti i particolari quel- lo che gli era successo. Dovette rifare tutto il racconto due volte. Lo zio gli faceva ripetere i particolari. Aveva smesso di ridere. La presenza inerte e silenziosa dell'uomo in grigio lo aveva preoccupato. Non comunicò i suoi pensieri a Lorenzo. – Ti vanno bene i miei vestiti, eh? dovresti deciderti a cambiare modo di vestire, te l'ho già detto che non sei a Versailles, se vai in giro vestito da marchese, con tutte quelle monate, per le strade di Londra ti tirano addosso il fango, sai, non scherzo, l'hanno fatto per davvero, va be' che produci la seta, ma un bel panno è meglio. Lorenzo si piaceva negli abiti nuovi. Si piaceva anche senza parrucca, con i suoi capelli neri raccolti in un codino. L'unico problema erano le maniche, gli andavano un po' corte, aveva le braccia più lunghe dello zio. – Allora, andiamo. – Dovresti prestarmi anche un bastone. Il mio me l'hanno rotto. Alvise lo portò in uno stanzino. Era pieno di armi. Di fucili, di pistole, di spade. C'erano anche canne da pesca, mazze da golf. Su una rastrelliera c'era una fila di bastoni. – Scegli. Lorenzo cercava un bastone alla moda, con il manico a tronco di cono. D'argento o d'oro. Un bastone di malacca, come portavano le persone di qualità.
Nella collezione dello zio Alvise bastoni così non ce n'erano. Erano tutti bastoni più semplici, più solidi. Ma ognuno aveva qualcosa di più. Uno nascondeva un pugnale, uno una spada. Uno era un fucile. Il manico di un altro si staccava e diventava una pistola, neppure tanto piccola. Ce n'erano di più innocui. Uno, una semplice canna di bambù intagliato con motivi di animali, conteneva una canna da pesca smontabile. Un altro aveva un piccolo cannocchiale nel manico. Un altro ancora diventava un metro, con le misure inglesi e veneziane. Lorenzo guardò il bastone che lo zio aveva già scelto. Lo zio colse la sua curiosità e prima che glielo domandasse svitò il pomo del bastone. Dentro c'era una fiala di vetro. – Acquavite me la mandano da Venezia. – Quale prendo? – Quello che vuoi, basta che fai presto perché siamo in ritardo… Lorenzo scelse il bastone con la pistola. – Benedetto, se scegli quello lì devi tirare su la polvere e le palle. Lorenzo depose il bastone con la pistola e prese quello con il cannocchiale. Alla porta li attendeva la carrozza con Jacques a cassetta. Lorenzo notò che non c'era lo stemma dello zio sulla portiera. – Discrezione. Tutte le comodità, ma senza fare vedere. Qui non è come da noi. Non importa fare vedere, importa avere. Io lavoro qui e mi piace comportarmi secondo gli usi del posto.
La carrozza era da poco scomparsa dietro l'angolo quando arrivò trafelato l'uomo in grigio. Guardò verso le finestre. Le tende erano tirate. Chissà se c'era qualcuno. Non aveva altre tracce. Doveva ritrovare quel pidocchio di italiano. Altrimenti andava di mezzo lui. Con rassegnazione si mise dall'altra parte della strada a controllare l'ingresso della casa. Lo zio mona non voleva dire a Lorenzo dove lo stava portando. Era un vecchio gioco tra di loro. Il gioco della sorpresa. Fino da quando Lorenzo era bambino. La carrozza si fermò davanti a un grande edificio decorato con bandierine colorate. Alvise e Lorenzo smontarono. Jacques assicurò che sarebbe passato a prenderli all'uscita. All'ingresso Alvise mostrò due cartoncini. Un portiere sollevò il cordone e li fece passare. La sala era gremita. L'odore del tabacco si mischiava a quello dei profumi e del sudore. Accompagnati da un inserviente Alvise e Lorenzo arrivarono alle sedie riservate in prima fila. Sulla pedana si svolgeva una scena grottesca. Una donna anziana, piccola, in cuffia e gonna tirava di scherma con un uomo molto prestante. Lorenzo guardò lo zio con aria interrogativa. Lo zio gli indicò un annuncio appeso a una colonna. Lorenzo lesse. Venerdì 5 agosto 1786 la cavaliera d'Eon incrocerà la spada con un gentiluomo inglese maestro dell'arte della scherma. Seguiva una lunga spiegazione sulle regole della sfida che Lorenzo non lesse. Voleva chiedere allo zio, ma Alvise stava già scommettendo con il suo vicino di sinistra. Alla destra di Lorenzo era seduta una signora piuttosto giovane. Lorenzo notò da un'ombra nera sotto gli occhi che non si era messa la cipria.
Lorenzo era molto ardito con le cameriere, ma piuttosto impacciato con le signore. Guardava ogni tanto con la coda dell'occhio la sua vicina, ostentando di essere assorbito da quello che avveniva sulla pedana. Era il secondo assalto e la cavaliera d'Eon dimostrava di rintuzzare con facilità i tentativi di affondo del maestro d'armi. – Scommettiamo? – disse una voce femminile di contralto alla sua sinistra. Lorenzo non si girò. – Scommettiamo? – ripeté la voce femminile di contralto. Lorenzo si giro e incontrò gli occhi sorridenti della signora. – Scommettiamo – rispose. Voleva dire baciamoci. – Scelga il suo cavallo – disse la signora. – Cavallo? – chiese Lorenzo – Scelga per chi vuole scommettere. Il maestro o la cavaliera? – A lei la scelta – disse Lorenzo con galanteria goffa. – Quanto scommettiamo? – Decida lei. – Una sterlina? – chiese la signora, saggiando il terreno. – Se vuole… – Due sterline? – Va bene. – Scelgo la cavaliera. – Non mi resta che il maestro – rispose Lorenzo con il tono mellifluo che gli usciva ogni volta che voleva fare il galante. Sulla pedana la cavaliera si era aggiudicata il secondo assalto. Alvise chiese sottovoce a Lorenzo per chi avesse scommesso. – Io sarò lo zio mona, ma tu sei proprio mona, cosa c'è scritto sul cartello in grande? la cavaliera d'Eon, chi è l'attrazione? la cavaliera d'Eon, chi vuoi che vinca? – La cavaliera d'Eon? – rispose Lorenzo cui non fregava niente delle due sterline – Pazienza. – Te le donne ti tirano matto. Le scommesse sono scommesse. – Non ti chiedo per chi hai scommesso tu. – Chiedimelo. – Per chi hai scommesso, tu? – Per il maestro d'armi – Lorenzo e lo zio mona scoppiarono a ridere. – E' un bell'uomo il tuo vicino. Gli uomini ti tirano matto… – Scemo, se giochi sicuro di vincere non ti diverti, no, poi non ho scommesso alla pari, se perdo, come perdo, perdo una sterlina, se vinco, come non vinco, ne vinco dieci. Sulla pedana la cavaliera d'Eon si era aggiudicata il terzo assalto. Lorenzo si voltò verso la signora che gli sorrise, come per dire «Cosa ci vuoi fare». Lorenzo ricambiò il sorriso. Era cominciato il quarto assalto. Lorenzo stava studiando i particolari fisiognomici della sua vicina.
Cercava di ricordarsi gli esempi del Lavater, per scoprire se la signora che gli avrebbe portato via due sterline aveva un temperamento sensuale. Purtroppo non aveva memoria visiva. Lo aveva scoperto da bambino quando cercavano di insegnargli a disegnare. Gli venne un'idea. Ecco cosa ci voleva, un Lavater portatile. In cui tutta la scienza della fisiognomica fosse condensata in poche pagine. C'era da fare soldi. Guardava la vicina e immaginava il manuale. Poteva essere diviso in due volumetti. Uno per le donne, uno per gli uomini. Sarebbe stato di grande utilità, bastava sfogliarlo ogni volta che si conosceva una persona nuova per capirne il carattere. Non si sarebbe rischiato di farsi rubare la borsa da uno swedenberghiano, swedenborghiano. I tratti della signora si scomposero. La bocca si spalancò, gli occhi si sbarrarono. Il silenzio del pubblico incrinato solo da qualche mormorio si tramutò in un urlo. (7. continua)
Il Foglio sportivo - in corpore sano