Anonimo zero a zero con gli svizzeri
Breznev Lippi
Da queste colonne, in tempi non sospetti, si ebbe il coraggio di dire che José Mourinho stava facendo al calcio italiano quello che John McEnroe fece al tennis e Margaret Thatcher alla Gran Bretagna. Ora abbiamo il coraggio di dire che Marcello Lippi, il Griso di Viareggio, minaccia di fare ai tifosi italiani quel che Ignazio Marino vuole fare alla politica: farli morire di pizzichi.
Sali sul predellino e dì la tua sulla nazionale di Marcello Lippi
Da queste colonne, in tempi non sospetti, si ebbe il coraggio di dire che José Mourinho stava facendo al calcio italiano quello che John McEnroe fece al tennis e Margaret Thatcher alla Gran Bretagna. Ora, con lo stesso sprezzo del pericolo (visto quel che la Lazio di Ballardini ha fatto all'Inter di Mourinho) e in tempi ugualmente non sospetti (visto che a quest'ora l'Italia avrà fatto polpette della Svizzera, e se non l'ha fatto allora è meglio voltare pagina) abbiamo il coraggio di dire che Marcello Lippi, il Griso di Viareggio, minaccia di fare ai tifosi italiani quel che Ignazio Marino vuole fare alla politica: farli morire di pizzichi.
E' solo metà agosto del 2009 e già si è aperta la lunga marcia d'avvicinamento (una specie di campagna militare, ma senza neanche le esternazioni di La Russa a galvanizzare la truppa) che dovrà portare un esercito (il nostro, con quel che paghiamo di Raisport) alla finale di Sudafrica 2010. L'importante come sempre è vincere, fosse pure con un colpo di testa di Materazzi. Ma sarebbe pure bello, almeno per riempire di qualche vago contenuto i prossimi undici mesi di strilli di Civoli&Bagni, poter parlare del come arrivarci, in Sudafrica. Ora, non staremo a rivangare che il primo sopralluogo australe, la Confederation Cup, non è stato una performance degna di Napoleone ad Austerlitz. Ma quel che davvero preoccupa è che Lippi, l'unico commissario in Italia che abbia più poteri di Bertolaso (e che incuta più terrore reverenziale, diciamo così, ai giornalisti) da quella gita aziendale è tornato con convinzioni degne di Ciriaco De Mita: era meglio la Prima Repubblica. Del pallone.
Ha detto che per le rivoluzioni non c'è più tempo (forse gli altri usano il calendario di Harry Potter), che i vecchi sono meglio dei giovani, che i giovani di oggi sono molli come fichi (a meno che non li abbiano piantumati a testosterone dalle parti di Vinovo: ma questo no, non lo vogliamo pensare). Ha detto che Totti “era” un bel giocatore, manco parlasse di Sivori. Che Cassano non lo considera “per psicologia” (Lacan Lippi). Nel frattempo ha ripescato quel pischello di Cannavaro (ma sospettiamo che in chiusura sia più veloce Ciro Ferrara). In attacco è lì che aspetta le decisioni esistenzial-passaportuali di Amauri (non è perché gioca nella Juve: ma è che non lo vogliono manco in Brasile). E sulla fascia ha riesumato Zambrotta. Uno che persino Crapa Pelada Galliani, che ormai sta al calcio come Breznev stava alla rivoluzione permanente, si è convinto che è meglio cercare qualsiasi altra cosa sia in grado di fare avanti-indietro sulla fascia, fosse pure il Pendolo di Foucault. Nel senso del mattone di Umberto Eco.
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Il Foglio sportivo - in corpore sano