Il rischio diseducativo è altrove
“Educare si deve, ma si può?”, si chiedeva in modo provocatorio Giuseppe Angelini in un saggio di qualche anno fa che diagnosticava l'emergere di una vera e propria crisi culturale. La risposta non è affatto scontata e l'ultimo pronunciamento del Tar del Lazio sull'ora di religione può essere l'occasione per ripensare in termini più ambiziosi una figura forse ancronistica come quella dell'insegnante di cattolicesimo.
“Educare si deve, ma si può?”, si chiedeva in modo provocatorio Giuseppe Angelini in un saggio di qualche anno fa che diagnosticava l'emergere di una vera e propria crisi culturale. La risposta non è affatto scontata e l'ultimo pronunciamento del Tar del Lazio sull'ora di religione, a parte le prevedibili reazioni difensive del mondo cattolico e dei suoi volonterosi alleati, può essere l'occasione per ripensare in termini più ambiziosi una figura forse ancronistica come quella dell'insegnante di cattolicesimo. “La vicenda in sé è abbastanza marginale – dice il teologo milanese – Certo segnala l'eccesso di suscettibilità cattolica e laica su questi temi che rende impossibile un confronto ragionevole. Qualche dubbio suscita la competenza di questi tribunali che non sembrano di natura amministrativa ma ideologica”. Corazzano la laicità. “La complicata storia italiana impedisce un'elaborazione più pacata dei rapporti tra religione e società, e dunque tra religione e scuola. L'idea che l'insegnamento confessionale della religione sia un vulnus della laicità dell'insegnamento contiene un'idea della laicità che è tutta da valutare. L'insegnamento scolastico, specie nelle medie superiori, evita puntigliosamente ogni riferimento alle questioni di senso. Si è rilevato come il docente di religione diventa spesso un punto di riferimento per le questioni esistenziali degli alunni perché questa laicità impedisce a un insegnante di italiano o di storia di occuparsi non dico di temi religiosi o morali ma del significato stesso della propria materia. Oggi la scuola non affronta questi problemi di fondo”. Sarebbe prezioso un rilancio da parte dei cattolici, senza accontentarsi di fragili rendite di posizione nel contesto multiculturale e multiconfessionale. Il progetto culturale di Ruini, di cui Angelini è consigliere stimato, va in questa direzione. “In effetti – dice Angelini – individua l'orizzonte, cioè la transizione antropologico-culturale che riduce i codici della convivenza al formalismo, al politicamente corretto, al vuoto dei significati elementari del vivere.
La cultura pubblica, premuta dagli interessi commerciali, va nella direzione di accentuare la condanna della coscienza personale alla clandestinità, all'incomunicabilità. Già oggi un genitore sui problemi che più lo angustiano, e cioè quelli educativi, non ha possibilità di confronto perché manca la lingua; se parlasse trasgredirebbe il codice della privacy”. La conferenza episcopale italiana ha fatto dell'educazione il leitmotiv del prossimo decennio. “E' la prima volta che il tema, grazie soprattutto alla spinta di Ruini, viene posto al centro di una riflessione corale della chiesa italiana, troppo spesso era declinato solo nei termini di uno scambio politico”. La questione, invece, è anzitutto antropologica. “Il paradigma della pedagogia moderna è il rapporto insegnante-allievo, non genitore-figlio. Il discorso pubblico sull'educazione si faceva a margine della scuola. Oggi che la famiglia è in crisi in ordine alla tradizione culturale di generazione in generazione si deve sottolineare che in prima battuta l'educazione si produce nel rapporto genitori-figli, e si produce prima che sia consapevole. La madre prima educa, poi capisce che lo sta facendo”. La scuola, oggi, è fin troppo consapevole della propria missione educativa ma di fatto non sempre educa. “A livello di principio – replica Angelini – bisogna ricordare che la scuola è fatta per insegnare più che educare. Una volta si diceva che la scuola serve a imparare a leggere, scrivere e far di conto. Non vivere”. Forse per questo il recinto dell'ora di religione è un po' piccolo, per dei credenti che vogliano fare cultura in un'Europa che ha poca voglia di vivere.
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