Le farfalle di Sierra Leone/10
Un duello truccato, un indirizzo misterioso e due servi legati a un pioppo
Il viandante che si trovasse sulla strada di Bath alle otto del mattino di domenica 13 agosto si stupirebbe di sentire da lontano un uomo seduto ai piedi di un grande olmo parlare con due voci diverse e due diverse pronunce dell'inglese, una più atroce dell'altra.
Il viandante che si trovasse sulla strada di Bath alle otto del mattino di domenica 13 agosto si stupirebbe di sentire da lontano un uomo seduto ai piedi di un grande olmo parlare con due voci diverse e due diverse pronunce dell'inglese, una più atroce dell'altra. Se invece di tirare diritto come la prudenza consiglia di fare in casi del genere deviasse dal retto cammino e si avvicinasse al satanasso bivocale, si accorgerebbe che l'essere non se ne sta seduto all'ombra dell'olmo di sua volontà, ma perché vi è saldamente legato. Se poi spingesse la sua temerità fino a girare intorno all'albero scoprirebbe che non si tratta di un essere solo con due voci distinte, ma di due uomini, di cui uno nero, ciascuno dotato di una voce propria. Se per un caso del tutto improbabile avesse avuto modo si seguire con la debita attenzione la storia che stiamo raccontando, il viandante fittizio e providenziale riconoscerebbe nei due uomini legati due personaggi che finora non sono comparsi che di sfuggita e che la condizione sociale condanna inappellabilmente a un ruolo di secondo piano. Il personaggio che storpia l'inglese con un inequivocabile accento francese è Jacques, il cameriere di Alvise Dolfin, l'altro, indubbiamente africano nonostante gli abiti europei e la livrea azzurra, è Francis, il cameriere della cavaliera d'Eon.
Se invece di fare trentuno, avendo già fatto trenta per arrivare fino all'olmo in mezzo al prato, scavalcando una recinzione, a rischio di una legittima schioppettata da parte di un irato padrone, legittimamente geloso della proprietà, anteponesse la curiosità alla pietà e non si affrettasse a sciogliere i nodi che costringono i due infelici in una posizione né comoda né naturale, ma si fermasse ad ascoltare i loro discorsi, il viandante verrebbe a sapere come mai Francis, che abbiamo incontrato fuori della sala di scherma e abbiamo ignorato per tutto il pranzo dalla cavaliera d'Eon, mentre con sollecitudine tagliava la carne alla padrona momentaneamente priva dell'uso del braccio sinistro e serviva i commensali in una fiammante livrea rossa, indossi ora una livrea azzurra. Perché possa comprendere la calma con cui Jacques e Francis conversano, nonostante il tono elevato della voce, psicologicamente inevitabile fra due interlocutori che pur sapendosi vicini non possono vedersi, il nostro viandante dovrebbe essere messo al corrente di come la sventura che ha costretto i due uomini nella posizione imbarazzante in cui si trovano sia capitata più di mezz'ora prima del suo intervento e nel frattempo le vittime abbiano avuto modo di tranquillizzarsi e farsi una ragione, tenendo in debito conto il fatto che di tutto quello di cui sono stati derubati neanche un filo apparteneva a loro.
– In un certo senso sono andato a stare meglio – dice Francis, con un forte accento ibo, come se il viandante fosse costretto tra tutte le possibili storpiature della sua lingua a riconoscere anche quella che riesce bene solo a coloro che sono nati nel golfo di Guinea e in particolare in quella zona benedetta, ricca d'acqua di olio di palma e di gente, che le ciurme delle navi negriere, non sospettando che si tratti del delta del Niger, chiamano Oil Rivers, – con la cavaliera un giorno si spendeva e spandeva, un giorno si tirava. Quando arrivava, la pensione non bastava a saldare i debiti. Meno c'erano soldi e più la cavaliera affermava di essere un grande signore, o una grande dama, a seconda dell'umore. Non poteva farsi mancare niente. E non pagava i fornitori. Quando vendeva qualche libro c'era più larghezza. Ma durava poco. Un po' di soldi venivano dagli incontri di scherma. Dalle scommesse soprattutto. Negli incontri truccati. Come quello dell'altra sera. – Truccati? – chiese stupito Jacques con il suo atroce accento francese. – Qualche volta il maestro usa una spada truccata. Ha una tacca, un punto di rottura. Sotto il corpetto la cavaliera indossa una maglia d'acciaio. Il maestro colpisce con forza la spalla e la lama si spezza. Se sai il trucco, ti accorgi che è un colpo combinato. Soprattutto dalla lestezza con cui il maestro alza la spada per non fare male davvero alla cavaliera. Soltanto che il trucco si può fare solo raramente. Se no si sparge la voce. Il tuo padrone l'aveva capito, altrimenti non scommetteva contro la cavaliera.
– Al mio padrone piace il rischio del gioco. – Il tuo padrone è un filone. Lo sapeva. L'ha ammesso. Quando ho spiegato il trucco a padron Lorenzo c'era anche lui e alla fine ha dovuto ammettere che lo sapeva. – Lo sapeva... come faceva a saperlo? – Perché la cavaliera è leale con gli amici. Quando ha deciso di fare lo scherzetto, li avvisa, “Domani non punti su di me. signor conte, non mi sento molto in forma”. – Ma è un uomo o una donna? – Non lo so. Non l'ho mai vista nuda. Nesuno può entrare in camera sua. – Non l'aiuti a fare il bagno. – No. In casa qualche volta si veste da uomo, con gli stivali e gli speroni. Come se dovesse uscire a cavallo o andare a una parata. Con la decorazione dell'ordine di San Luigi, quella porta anche sul vestito da donna. – E ti ha venduto. – Non mi ha venduto. Non poteva vendermi –. Francis tacque. Parlare con un tono di voce più alto del normale, senza vedere l'interlocutore lo affaticava. – Non passa nessuno per questa maledetta strada – disse a bassa voce Jacques. – Eh? – Non passa nessuno per questa strada di merda – corresse a voce più alta Jacques – Perché non poteva venderti? – Perché in Inghilterra la schiavitù è stata abolita. Da un pezzo. – Ti ha ceduto però. – Se no padron Lorenzo non le comperava i disegni. – Che disegni? – Non lo so. Quelli che cercava di vendere da tanto tempo. – Ahi! – Non agitarti che la corda mi taglia i polsi. – Non agitarti un cazzo. Ci sono le formiche che mi mangiano i piedi. Quegli straccioni avevano bisogno di portarci via anche le scarpe? – Hai le calze. – C'è un buco. Allora è per questo che il mio padrone era incazzato come una vipera col tuo. – Cosa c'entrano le calze? – No. Pensavo ai disegni. Lorenzino credeva di avere fatto un affare. Il mio padrone gli avrà detto mille volte mona. Sei un mona come tua madre. Non un mona affettuoso. Bell'incazzato. – Cosa vuol dire mona? – Lascia perdere, va. Ma quando glieli ha venduti? – Il giorno dopo del pranzo. La mia padrona, la mia ex–padrona, sapeva che sarebbe venuto. Aveva capito che gli interessava un indirizzo. Un indirizzo che avrebbe potuto dargli subito. Perché lo sapeva. Lo sapevo anch'io. Ce l'avevo portata io. – L'indirizzo di chi? – Non posso dirtelo. – Donna o uomo. – Non posso dirtelo. – Va' a cagare. Sul volto di Francis si dipinse una maschera di rassegnazione addolorata che né i raggi del sole ormai alti né una mosca, che alternava brevi passeggiate sulla sua fronte sudata a sedute scrupolose di pulizia delle zampe, riuscivano a scomporre. (10. continua)
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