Le farfalle di Sierra Leone/13
Uno sparo, e Lorenzo cerca di soccorrere l'uomo che voleva ucciderlo
Dallo spiraglio Lorenzo vide spuntare un palmo di canna di fucile, due palmi di canna di fucile, tre palmi di canna di fucile, un metro di canna di fucile, un metro e mezzo di canna di fucile. Cazzo, era la canna del suo fucile da beccaccini. Il click della pietra focaia che colpiva la piastra fu cancellato da un'esplosione.
Dallo spiraglio Lorenzo vide spuntare un palmo di canna di fucile, due palmi di canna di fucile, tre palmi di canna di fucile, un metro di canna di fucile, un metro e mezzo di canna di fucile. Cazzo, era la canna del suo fucile da beccaccini. Il click della pietra focaia che colpiva la piastra fu cancellato da un'esplosione. La canna si squarciò, chi sparava cadde per terra, semiprotetto dalla porta di quercia massiccia. Lorenzo perse la testa. Lo stronzo doveva avere caricato il suo fucile a chiodi. Si scagliò contro la porta. Con la pistola scarica. Nessuno lo respinse, neanche il fetore. L' uomo era in terra. Con le gambe piegate, le ginocchia raccolte, si dondolava sul fianco destro. Con la mano destra reggeva l'avambraccio sinistro. La mano sinistra era maciullata.
Al ritmo del dondolio ripeteva una parola lamentosa che Lorenzo interpretò come mamma. In fondo a sinistra i due cavalli della carrozza scalpitavano, cercavano di liberarsi con strattoni disperati. In mezzo alla capanna pendeva a frollare un quarto di pecora, nera e vibratile per l'irrequietezza delle mosche. Sul pavimento di terra battuta erano aperte le valige di marocchino con il suo stemma e lo stemma dello zio. La biancheria e gli abiti erano sparsi dappertutto. Un bambino piccolo giocava con la tazza di porcellana del suo servizio da tè da viaggio. Lorenzo gliela tolse di mano , la sistemò nella sua nicchia nella scatola, infilò la pistola nella cintura, raccolse la sua spada e quella dello zio che spuntavano sotto una pila di camicie, se le mise sottobraccio, senza toglierle dal fodero. Non c'era più pericolo. All'interno della capanna c'erano solo tre bambini, magri e laceri, che si raccoglievano intorno a una sedia su cui era sistemato quel cumulo di straccetti sostenuto da uno scheletro di filo di ferro che era la nonna. Un bambino di quattro anni tese verso Lorenzo un braccino con l'indice puntato e il pollice alzato. Abbassò il pollice e fece pum. Lorenzo sorrise.
Spossato, vide entrare dalla porta la faccia inebetita della donna, la faccia umiliata dell'uomo. Dietro, la faccia amara di Alvise, che pungolava i due disgraziati con la canna delle pistole. - Rimettete tutto a posto -, disse Alvise con voce atona che non esprimeva né un comando, né una richiesta. - Prima fasciate quel disgraziato, disse Lorenzo - no lasciate, lo faccio io. Prese dalla biancheria sparpagliata a terra un asciugamano di lino su cui il gracile leone pellegrino sosteneva la corona di marchese e la strappò in strisce. L'uomo a terra si raggomitolò ancora di più, voltando le spalle a Lorenzo, cercando di nascondere la mano maciullata. Lorenzo gli si inginocchiò accanto e lo fece girare verso di sé con uno strattone. L'uomo urlò di dolore. I suoi occhi spaventati e pieni d'odio lessero in quelli di Lorenzo la compassione. L'espressione gradualmente cambiò, fino a diventare quella liquida, implorante, fiduciosa del cane che porge al padrone la zampa ferita.
Lorenzo esaminò la mano. L'asciugamano non bastava neppure per pulirla dal sangue che scorreva ancora. Si girò restando in ginocchio e prese tutti gli indumenti di lino che aveva a portata di mano, contendendoli alla donna inebetita e all'uomo umiliato che sotto la sorveglianza inespressiva di Alvise stavano riponendo le cose nella valigia. Dalla parete di fondo sei occhi vivaci e due spenti seguivano la scena. Lorenzo cominciò a pulire la ferita. - E' tutta spappolata, non so come fare. - Non puoi fare niente, bisogna tagliarla. Parlavano italiano, l'uomo dalla mano maciullata capiva che parlavano di lui e annuiva con occhi fiduciosi. - Tagliarla? Come si fa? L'hai già fatto? - No, l'ho visto in guerra. Gli fai bere una tazza di acquavite, prendi una ascia, l'affili bene, metti il braccio sul ceppo che c'è qua di fuori e zac, un taglio netto. - Non ho il coraggio. Se prendo il ceppo e l'ascia questo crede che gli voglia tagliare la testa. L'uomo dalla mano maciullata continuava ad annuire. - Proviamo a spiegarglielo in inglese, anche se questi mona l'inglese lo parlano poco. Il tono di Alvise era quasi affettuoso. L'uomo e la donna stavano rifacendo il bagaglio con un cura inaspettata. Alvise li lasciò alla loro incombenza e si avvicinò al ferito. Non aveva fatto a tempo a voltare le spalle che l'uomo, che sembrava compreso nel suo ufficio di guardarobiere, si era alzato d'un balzo, aveva afferrato uno dei fucili appoggiati sul tavolo e brandendolo per la canna si scagliava su Alvise. Alvise avvertì il movimento dietro le spalle. Si girò di scatto e sparò verso il basso.
Colpito alla tibia l'uomo crollò a terra, tra il pianto dei bambini e le urla delle donne, tra lo scalpitare e il nitrire dei cavalli. Lorenzo era in piedi. Negli occhi dell'uomo dalla mano maciullata era scomparsa la fiducia. - Prendiamo le nostre cose e andiamo, lasciamo che questi bastardi vadano in malora. Sotto lo sguardo atterrito di tutti, Alvise e Lorenzo finirono di riempire i bauli, li portarono fuori a turno. Tolsero il cadavere del bambino dalla carrozza. Aveva il torace sfondato. Caricarono i bagagli. Poi pensarono ai cavalli. Alvise rientrò, si avvicinò con cautela, stando attento ai calci. Parlò a voce bassa, con un tono suadente, ipnotico. - Belli, vi hanno spaventato, sono il vostro padrone, calmi, calmi, dopo vi do la biada, calmi, calmi, buoni, dopo vi do la biada, buoni, calmi.... Parlò senza stancarsi, senza cambiare tono, per qualche minuto, nella capanna nessuno fiatava. I cavalli si calmarono. Alvise si avvicinò di più e li accarezzò sul muso. Un cavallo gli sfregò il muso contro il braccio. Mentre Lorenzo teneva a bada con le pistole donne, bambini e feriti, Alvise portò fuori i cavalli. Uno era ancora nervoso. Scalpitò un po', ma sentì il polso del padrone e si rassegnò. Tranquillizzato, si lasciò attaccare alla carrozza accanto al compagno. Lorenzo andò a recuperare i cavalli da sella e gli speroni nel boschetto. Quando tornò Alvise era già a cassetta. - Lascia condurre me - Alvise saltò giù, montò sul suo morello. Tenendo il baio di Lorenzo per le redini seguì la carrozza che si era avviata. Nessuno dei due aveva voglia di parlare, nessuno dei due aveva voglia di pensare. Quando furono abbastanza lontani i due cavalieri, che li seguivano e si erano arrampicati su un grande olmo per seguire con il cannocchiale quello che succedeva, scesero dall'albero e si diressero verso il tugurio degli scozzesi. - Pondicheri, Pondicheri - diceva Jacques a Francis, che non lo ascoltava più. Aveva parlato per tutto il cammino, per il lungo cammino sotto il sole, per il lungo cammino senza scarpe.
Ora erano seduti all'ombra esigua di una recinzione. “Mi prende sempre per il culo con Pondicheri, ma a Pondicheri avevo quindici anni. E poi me ne frego di chi comanda in India. A me non piace neanche, fare il soldato. Il valletto è il mio mestiere. Rende di più, sei più libero. Non rischi la vita. Poi, se segui le istruzioni di un libretto fantastico che un collega ha fregato al suo padrone, ti diverti e te la cavi mica male. Il mio padrone, come dice lui, è ganzo non è gonzo. Se ne accorge sempre quando cerchi di fregarlo. Ma non si arrabbia. Me lo fa notare, perché non gli piace fare la figura del fesso. Ma senza cattiveria. Mi prende per il culo. Se faccio qualche scherzo o verso apposta la salsa sul vestito di una contessa stronza, o tolgo la sedia a un pastore facometidico, fa finta di arrabbiarsi, ma si vede dagli occhi che gli scappa da ridere. Solo a certa gente non posso fare gli scherzi. Ma me lo dice prima. Tu con un ciula come il tuo padrone puoi fare quello che vuoi. Sembra che non c'abbia la presa nelle mani. Che non riesca a tenere i soldi. Se sei furbo ti fai una fortuna. Per uno come il signor Lorenzo lascerei perfino il signor Alvise. C'hai avuto un bel culo” Francis si era addormentato, con la solita mosca che gli passeggiava sul viso. Lo svegliò l'eccitazione di Jacques, che urlava e saltava. La carrozza, i cavalli si fermarono davanti a loro. Lorenzo e Alvise avevano la faccia lunga. Non sembravano contenti di vederli. Francis si scusò di essersi addormentato, Jacques chiese, “I signori hanno per caso recuperato anche le nostre scarpe?” “Mettiti a cassetta e non rompere le balle”, fu tutta la risposta. (13. continua)
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