Bocce di partito
Dopo pulizie ferragostane sui “termini” in circolazione nella discussione per il congresso del Pd, mi sembra utile riordinare anche qualche questione sentimentale. Salvatore Biasco nel suo “Per una sinistra pensante” se ne esce a un certo punto con l'espressione di una forte nostalgia per la sezione comunista e in particolare per una sua manifestazione: la festa dell'Unità.
Dopo pulizie ferragostane sui “termini” in circolazione nella discussione per il congresso del Pd, mi sembra utile riordinare anche qualche questione sentimentale. Salvatore Biasco nel suo “Per una sinistra pensante” se ne esce a un certo punto con l'espressione di una forte nostalgia per la sezione comunista e in particolare per una sua manifestazione: la festa dell'Unità. Quel sentimento di ricomposizione di una società, di superamento delle differenze di ceto e di cultura, per cui il metalmeccanico accanto all'impiegato delle poste e al professore universitario discuteva del mondo e preparava le salamelle, crea nell'economista un moto di rimpianto. Il ricordo di certe emozioni non mi è del tutto estraneo. Più sottile il richiamo di Pier Luigi Bersani. Il leader “democratico” non si lancia in un'apologia delle “vecchie sezioni” ma se ne esce con una frase che rappresenta un richiamo della foresta per il branco degli ex quadri del Pci. Per giustificare un sistema di organizzazione definito del Partito democratico, rimanda al fatto che persino una bocciofila per funzionare abbia bisogno di regole. Per chi è cresciuto nelle antiche organizzazioni togliattiane, il riferimento – al di là di più antiche citazioni – alla bocciofila (elemento essenziale nelle organizzazioni ricreative del movimento operaio, dai circoli cooperativi milanesi alle case del popolo toscane ed emiliane) è una specie di madeleine proustiana. Quando in qualche sezione si levava un contestatore del centralismo democratico, il “funzionario della federazione” non mancava di fargli presente come anche in una “bocciofila” una volta che si fosse deciso di costruire il campetto per le bocce in un certo posto, poi la decisione non potesse essere rimessa in discussione. Il rimpianto per la vita di sezione non è privo di forza seduttiva ed è comprensibile quindi che Bersani lo utilizzi per mobilitare energie a suo favore. Sarebbe utile però per definire una nuova forza della sinistra (o del centrosinistra che dir si voglia) avere una piena coscienza di che cosa aveva reso possibile quel tipo di partito di cui in parte si sente nostalgia. La sezione comunista rappresenta senza dubbio l'evoluzione dei club revolutionaire e poi delle sezioni socialiste di fine Ottocento, ma riceve un'impronta definitiva dal carattere del movimento comunista nato nel 1917. E' espressione di quella guerra civile che si afferma in Europa con la Prima guerra mondiale.
Tanti operai e contadini italiani (e così di tante altre nazioni del Vecchio continente) mandati in trincee fangose per diversi anni, poi sottopagati con il fascismo, poi rimandati in giro per deserti africani e steppe russe per altri lunghi anni con stivali di cartone, maturarono nel 1945 una forte disponibilità alla rivoluzione. Questa venne utilizzata da Palmiro Togliatti, nelle condizioni date, con un sistema di organizzazione “doppio”: da una parte strumento di consolidamento della democrazia italiana, dall'altra “luogo” dello spirito di scissione dal capitalismo, dalla “democrazia borghese”, elemento di definizione di quella coscienza antagonistica che sarebbe diventata utile in nuove occasioni storiche determinate innanzi tutto dalla crisi dell'imperialismo. E' questa seconda caratteristica che consente quella particolare vitalità e originalità che ha definito la “sezione comunista”, luogo non solo della politica corrente ma reparto del movimento rivoluzionario. La coscienza moderna tende con ottimi argomenti a ripudiare la guerra, ma anche solo la grande letteratura ci fa comprendere come una certa solidarietà cameratesca sia possibile solo in una qualche atmosfera militare. La politica liberaldemocratica utilizza come surrogato di guerra civile implicita le elezioni, che esprimono nella loro organizzazione anche gradi di aggressività proprio per liberare la società di questi sentimenti. Poi toccherà ai rappresentanti eletti esprimere la funzione di governo su cui gli elettori potranno intervenire con vari strumenti ma non con una mobilitazione alternativa e permanente tendente a costruire uno stato separato e contrapposto. La democrazia sono le sue istituzioni non un luogo dove se ne prefigura una più avanzata. E' evidente come questa fisiologia depotenzi radicalmente le caratteristiche di un'organizzazione segnata anche da tratti tendenzialmente militari.
Una certa passione si sprigiona se sei convinto che stai lottando per un mondo nuovo, se l'obiettivo è discutere con un assessore il percorso di una strada provinciale, l'entusiasmo è assai più contenuto. Ecco perché, in una certa mobilitazione per così dire subliminale, Bersani usa qualche trucco di troppo e dovrebbe invece esercitarsi maggiormente sulle regole di un partito moderno in cui gli eletti sono centrali e gli elettori giocano un ruolo principalmente nelle campagne per le votazioni. E la nostalgia di Biasco per quella ricomposizione della società che offrivano manifestazioni come le feste dell'Unità? Biasco cita spesso Barack Obama come un esempio: il neo presidente americano ha nel suo passato esperienze di organizzatore di iniziative sociali nei quartieri di Chicago, esperienze appunto in cui il lavoratore metalmeccanico nero si trovava fianco a fianco con la donna single che tirava su i propri figli e con il giovane laureato di Harvard. Ma la caratteristica di queste iniziative, senza dubbio appassionate, era civica (spesso con una forte componente religiosa, ma nell'Ottocento la borghesia e la classe operaia nascente italiana diedero vita anche a un umanitarismo laico) non politico-complessiva, non rivoluzionaria-militante (militare).
Il Foglio sportivo - in corpore sano