Amori e disamori/ 6

Eliot Spitzer ha creduto che a un guerriero moralizzatore fosse concesso tutto. Si è dimesso

Stefano Pistolini

La rovinosa caduta di Eliot Spitzer, governatore dello stato di New York, il “cliente numero nove” travolto dalle rivelazioni sul suo debole per le prostitute pare prelevata di peso da un melò maschilista di Upton Sinclair, per la polvere stantia che solleva e per i personaggi così stereotipati da riportare in auge un'America soldi-azione-sesso-&facciata relegata nei vecchi numeri fotografici di Life.

    Dal Foglio del 12 marzo 2008

    La rovinosa caduta di Eliot Spitzer, governatore dello stato di New York, il “cliente numero nove” travolto dalle rivelazioni sul suo debole per le prostitute pare prelevata di peso da un melò maschilista di Upton Sinclair, per la polvere stantia che solleva e per i personaggi così stereotipati da riportare in auge un'America soldi-azione-sesso-&facciata relegata nei vecchi numeri fotografici di Life, nelle cronache della politica locale del New Jersey e nel cinema manierista degli epigoni di Scorsese.

    Basta cominciare dalla faccia di Spitzer, tanto amata dalla base ruspante del suo elettorato, con quei lineamenti scolpiti nel legno massello dell'Europa centrale, figlio d'ebrei austriaci, vintage look filo Dick Tracy in eterna camicia bianca, per suggerire che quelli veri come lui non c'è avversario che possa fermarli, sono l'anello di congiunzione con gli autori del miracolo americano, fidatevi di loro, terranno le strade pulite e le canaglie dietro le sbarre. Uomo con una missione che apparentemente coincideva con le sue ambizioni – avrebbe annesso i vizietti che adesso lo rovinano, per il più banale errore di valutazione: autoconvincersi d'aver diritto, come ogni guerriero che si rispetti, al suo virile riposo, con contorno d'odalisca.

    Pensate al senso d'umana stupidità che pervade adesso questo disarcionato, allorché realizza che a stenderlo non è il mostro a mille teste dell'amoralità finanziaria della sua città, ma la sua smunta debolezza, il suo riconnettersi coi sogni trascurati e i desideri frettolosi, a cui, uomo fallibile, permetteva d'abitare in qualche recesso del suo cervello. Ora deve andarsene, tutti hanno chiesto le sue dimissioni, i repubblicani hanno lanciato un ultimatum di quarant'otto ore, minacciando fin da subito l'impeachment. Al suo posto potrebbe arrivare il vice, quel David Paterson che farebbe storia due volte: il primo governatore nero di New York e il primo governatore cieco degli Stati Uniti.

    Perché, premiato dall'ammirazione (e dal degno complemento di odio) dal 69 per cento elettorale del suo stato, Spitzer stava penetrando come un coltello nel burro nell'agenda delle regole non scritte dell'affarismo americano, sbraitava di voler restaurare gli antichi codici morali e stava rivestendo il suo stile impetuoso, che evocava Hoffa e il grande Gatsby, d'un alone di leggenda che confinava col populismo da edizione della sera: Altro colpo di Spitzer! Sì ai matrimoni gay! Sì alle patenti ai clandestini! Ripulita Wall Street!, coi miliardari a schiumare verso il rompiscatole che avanzava a colpi d'intimidazione e sensazionalismo. “Spoiling For A Fight” (rovinandosi per una battaglia), la sanguigna biografia che nel 2006 Brooke Masters del Washington Post gli dedicava per festeggiarne l'ascesa e per storicizzare l'origine di una carriera nel solco di Rudy Giuliani (seppure con appartenenza politica contrapposta e come paladino dei “senza voce”, anziché della middle class), si conclude così: “La sua visione di un progressismo a base statale sta incontrando più successo di quanto mai potesse sperare. ‘Abbiamo piantato semi che cresceranno', è il suo modo di vedere le cose”.

    La stella s'è spenta. Il mastino che annusava tracce di corruzione tra le corporation, l'ossessionato servitore dello stato che voleva ripulire il marcio dalle migliori cantine della nazione, l'uomo che poteva dare una qualche rilevanza economica alle politiche del Partito democratico, s'è fatto impallinare (lui, maniaco delle intercettazioni) dalla cimice opportunamente piazzata da Wall Street nel suo telefono, smascherando la modesta lussuria di cui s'approvvigionava come il più sprovveduto degli arricchiti: una professionista scesa da NY a Dc per soddisfarlo, attraverso un'agenzia di grido, con costi da mafioso, free minibar e una scia di fesserie che gli agenti non credevano ai loro occhi. Peccato che una puttana affondi un campione, ma forse Spitzer era soprattutto un bravo interprete d'immagine, buono per i tempi dei “Sopranos”. Forse fare il paladino per lui era un'interpretazione, una professione, mica un credo, come nei grandi film di Frank Capra. Ora è da vedere se la sua caduta si atterrà al canone hollywoodiano. Dove il politico che sbaglia, paga. Se lo sbaglio si confonde col sesso, sta a lui difendersi, ammiccare, ripulirsi i pantaloni, entrare in disintossicazione, aprire una fondazione, frignare al cospetto dei reporter e d'una moglie esterrefatta (ma al suo fianco: pare sia indispensabile, per cominciare il percorso di redenzione – dicono i famigerati addetti ai lavori). Tutte opportunità che più o meno ci disegnano le immediate prospettive di quello che ormai è irrimediabilmente diventato un giustiziere da operetta.