Le farfalle di Sierra Leone/23
Francis, il servo di Lorenzo, aveva conosciuto Smeathmann, il morto, in Africa
“Signore, se non sta fermo la taglio”. Lorenzo giocava con il meccanismo a snodo della poltrona. Da quando abitava in casa dello zio aveva scoperto la bellezza funzionale dei mobili inglesi. Stava pensando di farli spedire a Milano. Probabilmente avrebbe dovuto ordinarne degli altri, se era vero che tutti i beni dello zio sarebbero stati confiscati.
“Signore, se non sta fermo la taglio”. Lorenzo giocava con il meccanismo a snodo della poltrona. Da quando abitava in casa dello zio aveva scoperto la bellezza funzionale dei mobili inglesi. Stava pensando di farli spedire a Milano. Probabilmente avrebbe dovuto ordinarne degli altri, se era vero che tutti i beni dello zio sarebbero stati confiscati. Avrebbe potuto tentare di ricomprare qualcosa all'asta. “Stia fermo, signore, o la taglio davvero” ripeté Francis scostando il rasoio dalla guancia. Lorenzo si fermò e abbandonò la nuca sul poggiatesta. Il meccanismo della poltrona che si riassestava senza frizioni gli comunicò un senso di benessere. Francis riprese a raderlo, anche la lama che scivolava sulle guance e sul collo gli faceva piacere. Pensò che avrebbe dovuto essere inquieto. L'uomo che lo radeva era stato uno schiavo. La lunga lettera di Alvise lo aveva reso consapevole di un problema cui non aveva mai pensato. - Francis... - Signore, la prego di non parlare, altrimenti finisco per tagliarla. - Torneresti in Africa? - Ci sono tornato, signore - rispose Francis pulendo il rasoio.
Lorenzo chiese il bacile per lavarsi la faccia. - Non ho finito, signore - fece notare ridendo Francis - sulla guancia sinistra c'è ancora barba. - Finisci allora. Perché non ci sei restato? Francis finì di radere, prima di rispondere. - E' una storia complicata. - Ho voglia di un tè. Servimelo in giardino. Il giardino dello zio piaceva molto a Lorenzo. Gli piacevano soprattutto gli alberi esotici che lo zio vi aveva fatto piantare. Tra tutti prediligeva una pianta dalle grandi foglie coriacee scure. Non era tanto alta e portava solo un grande fiore bianco. In Italia non aveva mai visto una pianta così. Magnolia grandiflora, aveva fatto scrivere lo zio su un cartellino ai piedi del tronco, costa atlantica dell'America settentrionale, 1780. La classificazione in latino gli riportò alla mente Afzelius e la storia della locanda. Dopo sei anni la magnolia aveva fatto il primo fiore, ma lo zio mona non poteva vederlo. Lorenzo fece il giro delle piante e degli arbusti. Ognuno aveva un cartellino, ognuno citava una regione lontana del mondo. Chissà chi avrebbe comperato la casa? chissà se avrebbe saputo apprezzare quel tesoro? Si sedette su una delle sedie in ghisa intorno a un tavolino di ghisa. Avevano le cuspidi e i motivi floreali dell'architettura gotica, ma erano nuovissimi, erano di ghisa stampata, il prodotto della nuova industria metallurgica. In Italia non c'era niente di simile.
Gli sarebbe piaciuto portarsi a casa piante, tavolino e sedie. E anche i due levrieri dello zio che erano corsi a reclamare una carezza e ad accucciarsi ai suoi piedi. Tutto quello che aveva intorno gli piaceva, lo faceva sentire bene, lo faceva sentire nel suo tempo. Eppure avrebbe dovuto lasciare tutto. Solo perché domenica mattina avevano deciso di viaggiare a cavallo e non in carrozza. Il giorno dopo sarebbe stato di nuovo domenica. Arrivò Francis con il tè. Nella sua teiera preferita, una teiera di porcellana a forma di cane seduto con una zampa che faceva da becco. La tazza e la lattiera erano decorate con due cervi volanti, uno in volo e l'altro posato. Pensò di nuovo ad Afzelius. - Siediti.- disse, dopo che Francis ebbe versato il tè. Francis si sedette. - Se vuoi del tè va a prenderti una tazza. - Grazie, signore - disse Francis senza alzarsi. - Non ti piace il tè? - Sì signore, ma in questo momento non ne sento il bisogno - Prendere il tè con il padrone lo metteva a disagio. - Allora, perché non sei rimasto in Africa? - Credo che sia stato perché l'Africa è grande, signore. - Cioè? - Vuole dire che sono tornato in Africa, ma non al mio paese. - Dov'è il tuo paese? - chiese Lorenzo che non aveva un'idea precisa di come fosse fatta l'Africa. - Il mio è il paese degli ibo a nord-est del Cross River. E' lì che sono stato catturato. - Da chi? - Dagli uomini del re di Calabar. Erano armati di fucile. Mi hanno sorpreso nei campi dove aiutavo mia madre. Sono stato portato a un forte sulla costa e venduto agli inglesi. - A quanti anni sei arrivato in Inghilterra? - A trentaquattro o trentacinque. - Adesso quanti anni hai? - Quarantaquattro o quarantacinque. - E prima?
- Non mi hanno portato in Inghilterra. Mi hanno portato a Kingston. Fui comperato da un mercante che mi rivendette a Boston. Il mio padrone era un quacchero che mi ha insegnato a leggere e a scrivere. Per leggere la Bibbia. Sono stato fortunato. Era una brava persona. Quando si è ammalato mi ha ceduto al capitano Flint. Ormai avevo un valore, perché parlavo bene l'inglese. Sulla costa dell'Africa si creano sempre dei malintesi tra i re locali e i mercanti inglesi. Nella regione del Cross River ero utile perché potevo fare da interprete. In altre parti della costa non parlavo la lingua, ma ero sempre utile per tranquillizzare i commercianti locali, che preferivano trattare con qualcuno che conosceva un po' le loro usanze. Tra i bianchi e i neri c'erano continuamente liti e rotture gravi. Qualche volta un re attaccava un posto commerciale. Di solito tutto si risolveva e gli europei finivano per pagare quello che voleva il re. Durante la traversata in America non ero molto utile, così la compagnia alla quale la nave di Flint apparteneva, senza chiedermelo, decise di lasciarmi fisso in un posto commerciale sulla costa della Sierra Leone, davanti all'isola di Sherbro. Imparai la lingua e trattavo affari con il re locale. Riuscivo a guadagnare anche per conto mio, facendo favori a tutti coloro che ne avevano bisogno.
- Per esempio? - Arrivavano dei bianchi che non lavoravano per la Compagnia. Raccoglievano animali e piante. Da soli non potevano inoltrarsi, avevano bisogno di uomini che li accompagnassero, avevano bisogno del permesso dei re che attraversavano la zona, soprattutto avevano bisogno del consenso del poro. - Cos'è? - E' una società segreta che ha il vero potere in molte zone dell'Africa, senza il suo consenso non si può fare niente. - Hai conosciuto un certo Smeathmann? - No, non mi pare. - Neanche uno che chiamavano pigliamosche? - Certo, padron Samuel. Tornava tutti gli anni. - Com'era? - Furbo. In quella zona gli europei si ammalano facilmente. Lui usciva poco dal forte. Quando arrivava mi chiedeva di annunciare che padron Samuel avrebbe scambiato la sua mercanzia con piante e animali, soprattutto insetti. Dopo poche ore c'era una fila che si rinnovava continuamente di gente con piante e animali. Aspettavano per ore per giorni, ma padron Samuel doveva prendere tutto altrimenti non sarebbero più tornati. I più fortunati gli portavano dei nomoli. - Cosa sono? - Delle statuette di pietra che si trovano scavando la terra. Credono che abbiano un potere magico, ma niente in Sierra Leone è più magico di uno specchio o di una borsa di perline e soprattutto di un'arma da fuoco. - Lo hai rivisto qui a Londra? - Certo, l'ho incontrato una volta per caso a una riunione del comitato dei Poveri Negri, poi mi ha cercato qualche volta. - Cosa voleva? - Voleva che scrivessi, no, non che scrivessi, che raccontassi la mia storia per un libro, soprattutto che magnificassi il clima e le risorse di Sierra Leone. - Perché non l'hai fatto? - Perché il mio padrone quacchero mi ha insegnato che mentire è il peggiore dei peccati. Comunque ha trovato chi l'ha fatto, un certo Gustavus Vassa. - Il libro è in commercio? - Credo di sì, può provare nella libreria di Johnatan Johnson. (23. continua)
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