Il vecchio Hugo combatte i green e la sublimazione del viagara

Perché Chávez non ha tutti i torti a fare del golf il nuovo nemico di classe

Maurizio Crippa

Le rivoluzioni, ancorché bolivariste, sono merce troppo delicata per farle maneggiare ai peones di scarsa visione, di limitata esperienza del mondo. Per chi l'avesse scordato, basterebbe uno sguardo a quei fantastici scatti in bianco e nero – il bianco e nero di Alberto Korda, non un “paparazzi” qualsiasi – di Che Guevara con gli anfibi (il sublime della trasgressione) sul lussureggiante green dell'Havana, mentre si cimenta in un “par” con Fidel Castro che si era messo in testa di sfidare l'inviato del governo americano e voleva tenersi in forma.

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    Le rivoluzioni, ancorché bolivariste, sono merce troppo delicata per farle maneggiare ai peones di scarsa visione, di limitata esperienza del mondo. Per chi l'avesse scordato, basterebbe uno sguardo a quei fantastici scatti in bianco e nero – il bianco e nero di Alberto Korda, non un “paparazzi” qualsiasi – di Che Guevara con gli anfibi (il sublime della trasgressione) sul lussureggiante green dell'Havana, mentre si cimenta in un “par” con Fidel Castro che, dall'indomito spaccone che è sempre stato, si era messo in testa di sfidare l'inviato del governo americano e voleva tenersi in forma. La rivoluzione è una faccenda da portamento aristocratico, bisogna saper stare altrettanto a proprio agio in una club house come sulla Sierra; si può abolire qualsiasi differenza sociale, tranne quella tra chi padroneggia i ferri e chi può fare solo da caddie. Il golf è essenziale alla lotta di classe come e più dei missili di Kruscev, come e più del fiammifero senza il quale anche il miglior Partagà è un'inutile foglia morta. E siccome la rivoluzione, come la ruggine, non dorme mai, un paio d'anni fa il fratello Raúl, appena raccattato il club del comando scivolato di mano al Líder Máximo, era atterrato a sorpresa, con l'elicottero, all'Argentario Golf Resort di Porto Ercole. Il tempo di un cocktail cubano (ma preparato come Dio comanda e come i capitalisti sanno fare) e di aggiornarsi su come si organizza un paradiso delle buche per turisti da valuta pregiata.

    Questa è limpida coscienza di classe. Invece un bolivarista scadente come Hugo Chávez, uno che sta alla visione rivoluzionaria come una cicca a un Montecristo, si è fatto venire in mente la banalità che il golf  “è uno sport borghese”. E ha imposto per decreto (come fanno di malagrazia i dittatori) la chiusura immediata di due campi da golf. I primi due di una lunga e dolorosa lista di proscrizione. Per farci dell'edilizia popolare, dice. Una scempiaggine da piano casa da caudillo palazzinaro. “Solo un piccolo borghese può giocare a golf”, ha tuonato il presidente del Venezuela, palesando con ciò anche scarsa propensione al materialismo storico e incorrendo nelle facili ironie di quei golfisti impenitenti che grattano lo stipendio a Foggy Bottom, in attesa del venerdì per scappare sui green della Virginia: “E' andato ‘fuori dai limiti',”, hanno ridacchiato. Ça va sans dire che a un bifolco adatto alla zappa più che al club come Chavéz, un vero dandy della Cordillera come il dottor Guevara non avrebbe fatto manco fare il caddie. A tagliare canna, tutta la vita.

    Va detto però che, nella sua furbizia bertoldesca, il vecchio Hugo qualcosa dello spirito del tempo deve averlo subodorato. E forse non ha tutti i torti a fare del golf il nuovo nemico di classe. Ma non più il simbolo della ricchezza esclusiva, degli odiati yankee dollarosi, e dunque di una raffinatezza da conquistare, godere, esibire al pueblo non appena strappato il potere. Non più un simbolo di bella vita e perdizione a Palm Spring, il campo da gioco per intrighi tra tonache e potere che tanto piaceva a monsignor Marcinkus. Il golf oggi è diventato il mercato globale di un consumo di nicchia.  E' lo status symbol tarato per la vecchiaia di una classe sociale che da giovane era stata affluente. Lo sport da invidiare da giovani, per poterlo finalmente praticare da vecchi, dalle parti di Marbella, fino agli ottanta suonati. Se il sesso è la sublimazione del tennis, il golf è insomma la sublimazione del viagra. Un grande villaggio vacanze stanziale e globale, un giro del mondo di verde e di buche dalla Tahilandia alla California. (E se c'è una cosa che dovrebbe far girare le balle al consumatore di nicchia, è scoprire di spendere cifre da nicchia per aggiudicarsi un posto in un club che è globale, dove può aspirare a nutrire la stessa identica passione esclusiva di un ex assicuratore del South Carolina). La vera minaccia all'ecosistema sono le spiagge dell'Algarve e quelle dirimpettaie dalla Carolina a Miami. E quelle da Marbella fino a Gibilterra, che si sono riempite di green fatti in serie, con posizionati dentro gli hotel a quattro stelle fatti in serie. E dove puoi acquistare per una cifra abbordabile una villetta “sulla buca 9” o sulla 14. Così esci la mattina e cominci a sparare palline. In pratica ti portano fuori solo per il cardiologo. Nella nuova lotta di classe, il golf è insomma il distintivo e il partito di chi ce l'ha fatta (quando si poteva) a farsi una buona assicurazione privata integrativa. Oppure aveva la pensione di categoria dei dirigenti o dei medici e odontoiatri. Guevara ci avrebbe sputato sopra il suo mozzicone di Montecristo. Era un vero rivoluzionario, lui.

    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"