Sacconi ci spiega la laicità adulta e l'evoluzione sociale del Pdl
E' stato il ministro più applaudito da Cl e quello che si è fermato di più al Meeting, due giorni, girando così tutti i padiglioni salutato in continuazione. Protagonista di due incontri da tutto esaurito, Maurizio Sacconi ha lanciato dalla kermesse ciellina l'agenda per la vita del governo, bacchettato banchieri e sindacati e proposto un manifesto per una “laicità adulta”. Il Foglio lo incontra per discutere di questi temi.
E' stato il ministro più applaudito da Cl e quello che si è fermato di più al Meeting, due giorni, girando così tutti i padiglioni salutato in continuazione. Protagonista di due incontri da tutto esaurito, quello sul futuro del welfare con Raffaele Bonanni e quello sull'enciclica di Benedetto XVI con Enrico Letta e Roberto Formigoni, Maurizio Sacconi ha lanciato dalla kermesse ciellina l'agenda per la vita del governo, bacchettato banchieri e sindacati e proposto un manifesto per una “laicità adulta”. Il Foglio lo incontra per discutere di questi temi, primo fra tutti l'evoluzione dell'esecutivo Berlusconi dall'anarchia etica alla volontà di difendere il valore della vita. Il ministro del Welfare precisa: “Non credo si possa parlare di anarchia etica nemmeno per il periodo costituente di Forza Italia prima e della coalizione poi. Siamo partiti da un fortissimo richiamo alla responsabilità individuale, convinti che fosse necessario iniettare responsabilità in una società che si era rattrappita a causa delle forti dosi di paternalismo spesso inefficiente e da una politica di welfare prevalentemente tarata sul pubblico, ma grazie anche al contributo di componenti interne al movimento come quella che si riunisce a Rimini da trent'anni, abbiamo disegnato oggi il libro bianco che è un documento di visione di valori nel quale indichiamo la necessità di risposte collettive ai bisogni individuali, facciamo riferimento alla persona e non all'individuo, alla persona in sé e nelle sue proiezioni relazionali”. Sacconi dice che la battaglia con l'opposizione mai come oggi è stata sullo stesso terreno: “Contendiamo alla sinistra la risposta ai bisogni del mondo del lavoro e la dimensione sociale, mentre loro sono bloccati sulle strutture pubbliche di offerta. Siamo il primo partito dei lavoratori dipendenti e indipendenti”. Addirittura? “Probabilmente non ancora dei dipendenti pubblici, ma di quelli privati sicuramente”.
C'è un campo sul quale la “contesa” con la sinistra vede non poche differenze: l'attenzione al valore della vita, soprattutto nelle sue fasi iniziali e finali. Da dove nasce questa cultura? “Questo a mio parere è il presupposto di quella che ho chiamato ‘una laicità più adulta', termine che ho usato anche in una non tanto velata polemica con la definizione che diede di se stesso Prodi quando si definì ‘cattolico adulto'”. Il ministro dettaglia: “Mentre un cattolico adulto in qualche modo fuoriesce dall'ambito della chiesa, la laicità adulta è un'espressione più alta della laicità che, per credenti e non credenti, contiene principi e valori fondamentali”. La laicità è ben diversa dalla liceità, ammonisce: “L'assenza di fede non significa assenza di valori o di principi. Come diceva Croce, non possiamo non dirci cristiani”. Ma non c'è contraddizione tra il definirsi laici adulti e avere tra i documenti di riferimento l'enciclica del Papa “Caritas in veritate”? “Nessuna contraddizione: l'enciclica è un documento straordinario proprio perché parla a credenti e non credenti e ha una grande attrattiva per tutti. Non è necessaria la fede per accettare il modo con cui Benedetto XVI descrive il percorso di sviluppo umano integrale. E' un documento di orientamento su cui soprattutto le società occidentali, che ritengo smarrite dopo la caduta di tante certezze, possono riflettere per costruire modelli di sviluppo sostenibile”.
Perché le società occidentali dovrebbero ripartire dalla lettera di un Papa? “Perché dovranno fare i conti con due vincoli, l'indebitamento pubblico e privato e il declino demografico. E quello è un documento che consente di costruire sviluppo tenendo conto di quei vincoli. Se si parte dalla questione antropologica, dal valore della vita, si opera necessariamente per l'accoglienza della vita che viene e per dare valore alle persone che ci sono, alle scarse risorse umane che abbiamo. La sussidiarietà è un modo di realizzare più servizi a livello di welfare a costi decisamente inferiori”. Per questo guarda con sospetto l'introduzione in Italia della pillola abortiva Ru486 e la “creatività” di una giurisprudenza che ha di fatto condannato a morte Eluana Englaro? “Io considero da guardare con sospetto tutto ciò che mi appare nichilista, portatore di una cultura del declino, del rattrappimento, della negazione del valore della vita. Noi dobbiamo al contrario partire dal riconoscimento di quel valore. La Ru potenzialmente mette in discussione la stessa 194 che, comunque la si giudichi, in ogni caso considera l'interruzione di gravidanza un disvalore e ritiene necessario evitare la solitudine della donna davanti a questo dramma. La Ru potenzialmente può significare la negazione di questi due concetti”. Il governo cosa farà di fronte a questo rischio? “Ho sollecitato l'agenzia del farmaco a descrivere un protocollo di impiego della pillola che ci deve convincere circa la sua compatibilità con la 194. Valuteremo, e quand'anche in via teorica questo protocollo dovesse apparire tale da garantire la compatibilità con la 194, dovremo monitorare per vedere se nei fatti non la negherà”. Se così fosse? “Dovremo essere tempestivi a intervenire di fronte a una violazione della normativa vigente. Certo è che la situazione in cui ci troviamo ora è la peggiore, perché totalmente sregolata”. Un ministero accanto alle persone, come è successo nella settimana del Meeting, dove lo stand della “Casa del welfare”, occupava quasi lo stesso spazio di quello della Fondazione per la Sussidiarietà di Giorgio Vittadini. “Il ministero è spesso presente a molti eventi – racconta soddisfatto Sacconi – ma mai come qui si riscontrano benefici per la nostra presenza: sono stati tantissimi i giovani che sono venuti a parlare con noi”. In diversi punti della fiera veniva quotidianamente distribuito il libro bianco, uno dei dibattiti con il ministro è stato trasmesso sui megaschermi per la troppa gente che affollava il salone. Che ci sia un feeling speciale con il movimento fondato da don Giussani è più di un'impressione. “Venire qui – spiega – è l'occasione per dialogare con una straordinaria vetrina del potente terzo settore italiano. Anche nei miei incontri ho potuto confrontarmi con persone che generosamente donano se stesse per meravigliosi programmi di solidarietà, di aiuto ai più deboli, in forme molto efficienti: dalle attività produttive dei detenuti (sono stato al bar dei carcerati pasticceri di Padova) al Banco di solidarietà, la rete di quarantamila persone che aiuta gli ultimi degli ultimi, fino al Banco alimentare che raccoglie alimenti per i più poveri. Il ministero del Welfare qui è immerso in uno straordinario spaccato della società che non aspetta, ma che si adopera per organizzare risposte ai bisogni delle persone”. Su questo Sacconi fa un affondo: “Le risposte collettive ai bisogni individuali devono essere quanto più espressione della comunità ed esse stesse fare comunità, essere plurali, affinché oltre a rafforzare l'autosufficienza delle persone stimolino anche la comunità a realizzare forme di dono, di gratuità verso gli altri. La società cresce con questo approccio”.
A proposito di risposte collettive, per riprendere una polemica nata a margine del Meeting in questi giorni, perché non accettare l'apertura fatta da Guglielmo Epifani sui contratti? Sarebbe stata l'occasione per far sedere il leader della Cgil al tavolo delle trattative e raffreddare l'autunno. “Non mi sembra che avesse teso una mano a me, ma comunque il punto fondamentale di partenza deve essere la ripresa del dialogo tra Epifani e gli altri leader sindacali, dai quali si è separato. Solo in quel caso diventerà più semplice per il governo dialogare con la Cgil. Siamo in presenza di una forma di arroccamento che spero possano superare”. Si dice fiducioso: “All'interno della stessa Cgil ci sono posizioni che avverto interessanti nel dibattito congressuale”. Nessun astio personale nei confronti di Epifani? “L'astio è un sentimento che un ministro non può permettersi”. Non solo il segretario del sindacato più grande in Italia, ma anche l'ad di Intesa Sanpaolo Corrado Passera si è visto rispondere a tono alle sue critiche al governo. Perché però prendersela con un banchiere non ostile al governo, come ha dimostrato il coinvolgimento di Intesa nel dossier Alitalia? “Non ho potuto non rispondere alla critica secondo la quale il governo non avrebbe un piano. Il governo ha un piano, che certamente può essere giudicato e contestato. Ma credo che in questa stagione coloro che hanno responsabilità debbano innanzitutto guardare a se stessi, e le banche hanno di che riflettere, anche per definizione: se tutti stiamo riflettendo sui nostri vizi autoreferenziali, cioè su tutto ciò che ci allontana dal fine ultimo del nostro operare che è il bene comune, i banchieri hanno una ragione speciale per farlo, perché le attività bancarie sono naturalmente autoreferenziali”. Cosa rimprovera ai grandi gruppi bancari? “Ad esempio il fatto che abbiano perso i legami con il territorio. Troppe banche si sono cristallizzate in forme rigide e burocratiche soprattutto per quanto riguarda quella attività fondamentale che è la valutazione del merito di credito”.
In chiusura non si può non chiedere al socialista Sacconi che cosa pensa della proposta del Foglio, riguardo alle polemiche sull'ora di religione a scuola, di uno “sconcordato”, per cui la chiesa rinuncia alle garanzie del Concordato firmato da Bettino Craxi e lo stato al monopolio educativo sulla scuola italiana. Proprio in quanto socialista, Sacconi difende “un Concordato moderno che Craxi ha realizzato. Credo che non sia necessario il presupposto dello sconcordato per riconoscere il pluralismo educativo, che è un bisogno che deve essere soddisfatto e promosso, anche per aiutare la stessa educazione pubblica a uscire dal torpore e dall'autoreferenzialità nella quale si è rattrappita. L'ora di religione appartiene alla nostra cultura: al di là del rapporto con la fede significa poter conoscere e capire fondamentali valori della nostra tradizione”. Valori che per il ministro sono i soli che andrebbero festeggiati per l'Unità d'Italia: “Sì, perché la storia è divisiva per definizione, mentre le ragioni dell'unità si rinvengono nei valori della tradizione, in quel senso comune del popolo che è cosa ben diversa dal luogo comune di certe borghesie elitarie e autoreferenziali, e per questo egoiste”.
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