Le farfalle di Sierra Leone/25

Alvise scappa e fa sapere a Lorenzo di stare alla larga da Dewey

Sandro Fusina

In giardino faceva un po' freddo. Il libro di Newton era noioso. Tante considerazioni morali e pochi fatti. Ci voleva una cioccolata. Lorenzo suonò il campanello. Non venne nessuno. Lo zio li aveva abituati male. Erano sempre tutti fuori. Anche Francis era via da ore per una commissione. Almeno qualcosa di forte. Un punch. Bisognava scaldarlo. Un rhum, allora. Lorenzo si alzò, rabbrividendo.

    In giardino faceva un po' freddo. Il libro di Newton era noioso. Tante considerazioni morali e pochi fatti. Ci voleva una cioccolata. Lorenzo suonò il campanello. Non venne nessuno. Lo zio li aveva abituati male. Erano sempre tutti fuori. Anche Francis era via da ore per una commissione. Almeno qualcosa di forte. Un punch. Bisognava scaldarlo. Un rhum, allora. Lorenzo si alzò, rabbrividendo. Era il 19 agosto, sul lago doveva fare ancora caldo. A meno di un temporale. La prima acqua di agosto rinfresca il bosco. In Inghilterra il bosco era sempre fresco. Anche il giardino. La bottiglia del rhum? Ce n'era una in camera di Alvise. Ci voleva un altro libro. Meno noioso. Chissà che fine avevano fatto i due volumi degli esperimenti dei Montgolfier. Li aveva sicuramente messi in valigia. Dalla valigia non li aveva sicuramente tirati fuori. Aveva altro cui pensare quella sera. Glieli avevano fregati. Alla locanda in camera sua erano entrati solo Fanny e Francis. Forse lo zio e Jacques.

    Tutta gente che a vedere un libro gli veniva l'orticaria. Magari Johnson ne aveva una copia. Probabilmente una traduzione in inglese. Johnson era una persona gentile, non bisogna giudicare la gente dall'aspetto. Non è vero che la prima impressione è quella giusta. Attraversando l'atrio Lorenzo aggiunse ai suoi progetti editoriali un diziona- rio dei luoghi comuni. Sono più radicati di quello che uno pensa, pensò. Anche se cerchi di evitarli te ne scappa sempre qualcuno. Sua madre li aveva sostituiti con le ariette del Metastasio. Se a ciascun l'interno affanno... Cosa cambiava? Qualcosa in casa doveva cambiare. Non si potevano lasciare le scarpe ai piedi della scala. Le scarpe di chi, poi? Dalla misura sembravano quelle dello zio mona. Lorenzo le guardò con sospetto. Poi ne raccolse una. La pelle era dura e crepata, come se fosse stata a lungo nell'acqua. Le scarpe di un annegato, pensò Lorenzo. All'interno sulla suola si intravedeva impresso, senza doratura, il suo stemma, un leone pellegrino.

    Gli venne la pelle d'oca. Come quando gli raccontavano le storie dei fantasmi. Come quando lui raccontava la storia del fantasma che quando era bambino in una notte d'estate di luna piena si era seduto ai piedi del suo letto a Biandronno. Da sopra giunse un rumore. Uno scricchiolio del pavimento. Come se qualcuno avesse camminato. Poi un rumore più secco. Un tarlo, pensò poco convinto Lorenzo. Non si ricordava di avere mai sentito il rumore o visto un buco di un tarlo in quella casa. Di nuovo uno scricchiolio. Qualcuno camminava di sopra. A piedi nudi. Si tolse anche lui le scarpe. In punta di piedi, andò verso la stanza delle armi. Aprì la porta. Il cigolio del cardine lo paralizzò. Tese le orecchie. Nessun rumore. Entrò. Si appoggiò con le due mani a una piccola consolle. Si guardò allo specchio. Vide la sua faccia spaventata. Respirò profondamente. Riprese il controllo. Scelse una pistola. Quella tutta di ferro, scozzese. La caricò. Staccò una spada, la estrasse per qualche palmo dal fodero, per controllare la lama. L'allacciò alla vita. Lo ispirò un grosso coltello da caccia con il manico di cervo. Prese anche quello. Si guardò di nuovo allo specchio. Si scoprì un'aria guerriera. Doveva aspettare che il nemico scendesse o andarlo a snidare? Sentiva scricchiolii dovunque. Gli sembrò persino di sentire aprire e chiudere la porta di ingresso. Ma era un rumore lontano. Forse la porta della casa accanto. O la porta del seminterrato? Corse fuori, a piedi scalzi, per raggiungere la scala di servizio. Passò ai piedi della scala centrale, con uno sguardo controllò se le scarpacce malandate c'erano ancora. Erano ancora lì, ai piedi della scala, abbandonate, sole.

    Si guardò i piedi. Erano scalzi. Le sue scarpe erano sparite. Si paralizzò di nuovo. Poi si guardò intorno. Incerto se salire nelle camere, se scendere nel seminterrato. Sentì qualcosa che premeva alla schiena. - Non si muova, signor Lorenzo. Mi passi la pistola per favore. Lorenzo consegnò la pistola. - Si è messo a fare l'antiquario, signor Lorenzo? - chiese una voce conosciuta, - pesa come un cannone. - Jacques? - Sì, signor Lorenzo? - Jacques, si può sapere che cazzo ci fai qui, di nascosto e armato? Vuoi finire impiccato, brutto stronzo? - E' l'ultimo dei miei pensieri, signor Lorenzo. Anche perché ufficialmente sono già annegato. - Che cazzo dici, brutto stronzo, urlò con la voce rotta dalla rabbia Lorenzo. - E' la seconda volta che mi chiama brutto stronzo, signor Lorenzo. Le sembra il modo di trattare uno che ha in mano una pistola? due, se contiamo il ferrovecchio. Lorenzo tremava dalla rabbia. - Se si mette a sedere, senza fare colpi di testa, le spiego tutto - promise Jacques senza più ironia nella voce. - Cosa c'è da spiegare, brutto... - Stronzo? Lo dica se le fa piacere. Ma si sieda e mi ascolti. Senza voltarsi Lorenzo andò a sedersi su una delle scomode sedie dallo schienale traforato che lo zio teneva come reliquie. Da seduto poteva guardare in faccia Jacques. Che non aveva un'espressione aggressiva. Gli occhi ridevano. Anche nela maniera in cui gli puntava contro la pistola prendendo in modo plateale la mira c'era del gioco. - E allora? - chiese in modo perentorio Lorenzo, come chi, anche trovandosi in una posizione contingente di svantaggio, sa di essere dalla parte della ragione. - Dov'è lo zio? Perché non sei partito con lui? Perché hai indosso quel vestito ridicolo da marinaio? In effetti Jacques era vestito da marinaio. Con il cappello tondo, piatto, con la tesa rigida, la mantellina quadrata per riparare il collo dal codino impeciato, i calzoni larghi a righe.

    Non era il modo in cui Jacques andava vestito di solito, ma se avesse sentito chiamare ridicolo quel modo di vestire, un marinaio vero si sarebbe incazzato. Al massimo avrebbe potuto concordare che le scarpe da damerino di città non armonizzavano con il resto dell'abbigliamento. - Posso sedermi? chiese Jacques, con un tono di deferenza che Lorenzo non si aspettava. - Siediti, gli disse Lorenzo, vedendo che Jacques aspettava davvero il permesso. Jacques si sedette e abbassò il cane delle pistole. - Dov'è il tuo padrone, tornò a chiedere Lorenzo. - Qui. In Cornovaglia, voglio dire. Sta bene, ma il posto esatto non glielo posso dire. - Perché? - Perché se non lo sa è meglio. Nel caso che qualcuno glielo chiedesse con le maniere forti. - Cosa sei venuto a fare, conciato così? - Guardi nella sacca - Accanto al muro era appoggiata una sacca da marinaio. Lorenzo, ancora sospettoso, si alzò e andò a frugarci dentro.

    C'erano un paio di vestiti. - Lo zio ti ha mandato fino a qui per un paio di vestiti? - Guardi più in fondo. Più in fondo c'erano due grossi sacchetti. Erano pieni di monete d'oro. - Dove le hai rubate? In casa non c'è uno scellino. Ho dovuto cambiare una lettera di credito presso Spyke e Millison. - Sono venuto anche per questo. Sul suo letto troverà una chiave e un biglietto che spiega come arrivare a una cassaforte nascosta in camera del signor Alvise. Il signor Alvise le raccomanda di non perdere la chiave, che è l'unica, e di distruggere il biglietto. Può usare tutti i soldi che vuole, ma non per comperare disegni, ha detto il signor Alvise. Probabilmente verrà qualcuno a chiederle dell'altro denaro. Sul foglietto c'è scritta la parola d'ordine che dovrà dire. Se la ricordi bene, perché è possibile che chi verrà non abbia una bella faccia. Il signor Alvise le raccomanda anche di stare alla larga di Dewey, Russell e compagnia. Di non andare in giro a fare domande su Smeathmann, di stare attento se è seguito per strada, calcolando che il tipo con il vestito grigio non c'è più, e di andare il più presto possibile dal notaio a fare identificare la carta con i sigilli. - Come avete fatto a scappare. - Una brutta storia, soprattutto per me che non so nuotare. Un naufragio. Adesso devo prendere le armi. Se lei non fosse stato nello stanzino me ne sarei andato senza farmi vedere. Grazie per le scarpe - disse ridendo Jacques. (25. continua