Il Papa a Bagnoregio
L'itinerario di Ratzinger verso san Francesco
Un viaggio sulle orme di San Bonaventura. E' la visita che il Papa compie il 6 settembre a Viterbo e Bagnoregio, la città natale del santo la cui reliquia è venerata nella Cattedrale di San Nicola. Benedetto XVI non ha mai nascosto la sua attrazione per il pensiero di sant'Agostino e della scuola agostiniana di cui il francescano san Bonaventura di Bagnoregio è il più insigne rappresentante.
Un viaggio sulle orme di San Bonaventura. E' la visita che il Papa ha compiuto il 6 settembre a Viterbo e Bagnoregio, la città natale del santo la cui reliquia è venerata nella Cattedrale di San Nicola. Benedetto XVI non ha mai nascosto la sua attrazione per il pensiero di sant'Agostino e della scuola agostiniana di cui il francescano san Bonaventura di Bagnoregio è il più insigne rappresentante. Padre Pietro Messa, preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum di Roma, è tra i massimi esperti italiani di studi francescani. Al Foglio spiega i significati di questa visita papale e, insieme, i legami tra il pontificato ratzingeriano e san Bonaventura. “La visita a Bagnoregio è paragonabile a quella del 22 aprile 2007 a Pavia in onore di sant'Agostino: entrambe indicano due Dottori della chiesa, uno dell'epoca patristica e l'altro medievale, che ebbero un ruolo importante nella formazione teologica del Papa stesso. E qui c'è da evidenziare un fatto importante per comprendere il magistero di Benedetto XVI. Solitamente i Pontefici ebbero molta cura a distinguere le loro opere personali, soprattutto precedenti all'elezione al papato, dai loro discorsi o scritti in quanto pontefici. L'esempio più emblematico è papa Pio II che diceva ai suoi sudditi di tralasciare ciò che pensava Enea Silvio Piccolomini, ossia lui stesso prima della elezione pontificia, e seguire soltanto ciò che era indicato da papa Pio”.
Non così Benedetto XVI? “Papa Ratzinger nei suoi discorsi a volte rimanda a opere da lui scritte prima dell'elezione pontificia. Ad esempio è avvenuto il 7 giugno 2008 nel discorso ai partecipanti del simposio europeo dei docenti universitari in cui citò il capitolo terzo del suo volume ‘Introduzione al cristianesimo'; volendo comprendere il pensiero di Benedetto XVI – compresa l'ultima enciclica – non è possibile prescindere dalla sua formazione remota”. Quale passaggio rappresenta lo studio di Bonaventura nell'itinerario culturale di Benedetto XVI? “A questa domanda rispose lui stesso quando, dovendo presentarsi in occasione della nomina a membro della Pontificia accademia delle scienze, il 13 novembre del 2000, pronunciò un discorso in cui disse: ‘Il mio lavoro post dottorale fu incentrato su san Bonaventura, un teologo francescano del XIII secolo. Scopersi un aspetto della teologia di san Bonaventura a quanto ne so non basato sulla letteratura precedente: la sua relazione con una nuova idea di storia concepita da Gioacchino da Fiore nel XII secolo. Gioacchino intese la storia come progressione da un periodo del Padre (un tempo difficile per gli esseri umani sotto la legge), ad un secondo periodo della storia, quello del Figlio (con maggiore libertà, più franchezza, più fratellanza), ad un terzo periodo della storia, il periodo definitivo della storia, il tempo dello Spirito Santo. Secondo Gioacchino questo doveva essere il tempo della riconciliazione universale, di riconciliazione tra l'est e l'ovest, tra cristiani ed ebrei, un tempo senza legge (in senso paolino), un tempo di vera fraternità nel mondo. L'interessante idea che scopersi fu che una corrente significativa di francescani era convinta che san Francesco di Assisi e l'Ordine francescano segnarono l'inizio di questo terzo periodo della storia, e fu loro ambizione l'attualizzarlo; Bonaventura mantenne un dialogo critico con tale corrente'”.
Riguardo alla formazione di Benedetto XVI, che si esprime anche nel suo pontificato, quale ruolo riveste la sua tesi inerente la teologia della storia di san Bonaventura? “Gli elementi sono molti. Ad esempio, se l'abate Gioacchino da Fiore commentando il racconto delle nozze di Cana dice che lo sposo è simbolo dello Spirito Santo, rompendo così con tutta la tradizione patristica, Bonaventura afferma perentoriamente la centralità di Cristo. Pensando alla sollecitudine del Papa nell'affermare la centralità di Gesù di Nazaret, come ha fatto nel suo libro, non si può che trovarvi dei riscontri. Così anche, mentre il gioachimismo profilava il superamento dell'età cristiana, tutto ciò non si riscontra in Bonaventura; considerando tutto questo non è difficile pensare al richiamo di Benedetto XVI a leggere la storia della Chiesa nell'ottica della riforma nella continuità piuttosto che della rottura. E si potrebbero fare altri esempi”. Quali? “Monsignor Amato ricorda una conseguenza durevole che Bonaventura lasciò nella mentalità di Ratzinger, il quale non avrebbe mai accettato, in quanto contrario al pensiero escatologico neotestamentario, l'assunto francescano secondo cui ci sarebbe stato sulla terra l'avvento di un'era finale dei poveri, che avrebbe preceduto l'ingresso della storia nell'eternità di Dio. Ancora prima della teologia della liberazione, Ratzinger già valutava negativamente questa anticipazione medievale dell'escatologia liberazionista”.
Possiamo dire che anche tramite san Bonaventura il francescanesimo ha un certo ruolo nella concezione e nell'esercizio del papato da parte di Benedetto XVI?
“La risposta la lasciamo al noto teologo domenicano Yves Congar, che proprio partendo da questo studio e dalla problematica del rapporto tra chiesa locale e chiesa universale, che tanta parte ha avuto nel dibattito ecclesiale post conciliare e di cui uno dei protagonisti è stato il cardinal Joseph Ratzinger, scrisse: ‘Joseph Ratzinger, che ha fatto notare, giustamente crediamo, alcune differenze tra Bonaventura e Tommaso, dà molta importanza al ruolo che il papa occupa nella mistica bonaventuriana in ragione del fatto francescano'. Leggendo ciò e tenendo conto che oggi Ratzinger è papa Benedetto XVI è più che legittima la domanda se e in quale modo tale aspetto francescano è caratterizzante nella sua concezione ed esercizio del papato. Leggendo vari suoi scritti e discorsi ‘'ipotesi di una risposta affermativa si rafforza; così non stupisce, anzi diventa pienamente comprensibile, che secondo Benedetto XVI per comprendere il ministero petrino bisogna ritornare a san Francesco”.
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