Dopo Finkielkraut, Aldo Grasso sulla banalità del ridere

Perché il nostro umorismo è prigioniero dei comici con la vocazione da guru

Marina Valensise

Come Alain Finkielkraut, anche Aldo Grasso, critico tv sul Corsera e ordinario alla Cattolica, è sensibile alla deriva conformista dell'umorismo raccontata ieri dal Foglio. “Ha gli stessi vizi della pornografia, diceva Carlo Fruttero. Funziona per idee fisse, con poche varianti e serve solo a soddisfare un pubblico di fissati.

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    Come Alain Finkielkraut, anche Aldo Grasso, critico tv sul Corsera e ordinario alla Cattolica, è sensibile alla deriva conformista dell'umorismo raccontata ieri dal Foglio. “Ha gli stessi vizi della pornografia, diceva Carlo Fruttero. Funziona per idee fisse, con poche varianti e serve solo a soddisfare un pubblico di fissati. Per un certo periodo è andato di moda l'umorismo di sinistra: tutti contenti di fare battute e caricaturizzare l'avversario politico, senza però mai affrontare il nucleo vero della comicità che non deve dipendere dall'oggetto esterno, ma nascere da qualcosa che ti preme dentro e ti sconquassa”. Dovrebbe colpire a 180 gradi destra e sinistra indifferentemente? “Sì, l'umorismo vero non ha bandiere, è il vento che muove le bandiere. Un tempo c'era il teatro di rivista, unico luogo dove si potessero fare battute e doppi sensi, sempre con molta diffidenza però, perché il riso da noi ha sempre fatto paura. Poi c'è stata l'esplosione della tv, ma il nostro è rimasto un riso di pancia, più che di testa, che resta prigioniero del suo oggetto”. In Francia, non c'è giorno senza che alla radio un imitatore non sbeffeggi il presidente Sarkozy, imitandolo e parodiandolo.

    Da noi, Marco Travaglio ormai scrive i suoi articoli
    come un canovaccio per Brighella. “Il nostro umorismo è prigioniero della Commedia dell'Arte. Travaglio fa ridere i suoi e arrabbiare moltissimo gli avversari. Dovrebbe essere più trasversale, prendere in giro tutti. Per un giornalista tentato dalla satira c'è un comico che diventa guru, come Beppe Grillo”. Bella gara tra umorismo e militanza. “Ma tra far ridere, essere dissacranti, e voler cambiare il mondo ce ne passa. Noi abbiamo il comico rivoluzionario, ma siamo incapaci dell'umorismo di un Jon Stewart, che prende in giro le notizie, ne smonta i meccanismi paradossali e racconta un mondo uscito dai cardini. Quello è un umorismo che scava, lascia tracce. Da noi invece diventa subito militante: come quelle cose un po' penose della Dandini per cui sembra che la democraza si giochi in quegli spazi lì, mentre non c'è una sola battuta che faccia ridere”. Il comico militante come ultima incarnazione del potere senza limiti e senzi freni dell'opinione?

    E più forte del potere politico al quale intende opporsi?
    “Da noi i flussi di opinione finiscono sempre sullo scontro, sulla scazzottatura, sulla rissa da bar. Non c'è mai un momento in cui si possa mettere in discussione il radicamento ideologico del comune sentire”. Eppure ogni sera c'è “Striscia la notizia”. “All'inizio, ha avuto anche un ruolo catartico, metteva in crisi le altre notizie, ma ormai è un siparietto dove si va solo a caccia di sprechi e piccole storture. Il massimo obiettivo è stato di aver fatto incarcerare Wanna Marchi; ma un qualsiasi magistrato, se avesse visto quelle televendite, sarebbe dovuto intervenire senza ‘Striscia'”. Noi però abbiamo Fiorello. “Ma è un caso a parte. E' forse l'unico che non si sia lasciato prendere dai giochi ideologici, guidato com'è da un istinto naturale, dalla capacità di distorcere il reale con una comicità purissima. Se è per questo c'è anche Checco Zalone con le sue parodie di canzoni in cui cerca di capire l'essenza del personaggio che prende in giro. L'effetto ribaltamento è assicurato: ormai basta una sua canzoncina per mettere in crisi tutta la produzione discografica di Jovanotti”.

    Allora qualcosa si può fare per arginare il conformismo
    dell'umorista militante? “L'errore maggiore è stato di pensare che si potesse costruire una comicità a tavolino, facendone un'industria, con “Zelig”, l'editoria, i passaggi in tv, le tournée. Molti ci hanno preso gusto e si son messi a fare comizi, come Crozza, per esempio, che era molto più devastante quando faceva l'imitatore. Anche lui come Grillo, come Dario Fo, come Luttazzi, si è messo in testa di cambiare il mondo, mentre il suo compito è un altro, spostare le virgole, ribaltare un periodo, scovare una contraddizione. Ma il momento più alto di comicità l'ha toccato quest'estate l'ex comico Giorgio Faletti: sorpreso da una traduttrice a usare nel suo romanzo idioletti americani, invece di uscirsene da uomo di spirito ha insultato i suoi critici, sentendosi un grande autore vilipeso da una sconosciuta. Kundera parla dell'eco del riso di Dio. Da noi i comici si sentono direttamente Dio, diventano Dio e in quanto tali ci devono seppellire loro con una risata”.

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