Il libro di Finkielkraut e il guru della tv
Per Freccero guai a dare la satira per morta: questo, sì, fa ridere davvero
A Carlo Freccero, oggi direttore di Rai 4 e presidente di RaiSat, chiediamo di commentare la tesi dell'ultimo libro di Alain Finkielkraut, “Il cuore intelligente” (ne ha scritto sul Foglio il 2 settembre Marina Valensise). Il filosofo sostiene che l'umorismo è diventato il rifugio del conformismo, tanto più protetto e corrivo, quanto più spacciato per trasgressivo.
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A Carlo Freccero, oggi direttore di Rai 4 e presidente di RaiSat, chiediamo di commentare la tesi dell'ultimo libro di Alain Finkielkraut, “Il cuore intelligente” (ne ha scritto sul Foglio il 2 settembre Marina Valensise). Il filosofo sostiene che l'umorismo è diventato il rifugio del conformismo, tanto più protetto e corrivo, quanto più spacciato per trasgressivo. E' un inganno, dice Finkielkraut, che come antidoto al torpore della critica e all'ideologismo mascherato da intrattenimento propone invece di rimettersi a leggere i grandi romanzi. “Se la tesi è che la letteratura, oggi, funziona come miglior antidoto all'ubriacatura ideologica del Novecento – dice Freccero al Foglio – direi che è difficile non condividerla. Ogni credenza, ideologia, disciplina, una volta falsificata appare stupida, pretenziosa”. Questo porta con sé la conseguenza che “l'utopia politica che ha sorretto un secolo è vissuta ormai come estranea alla nostra sensibilità”. In questo senso, “rispetto alla saggistica, la narrativa, che ha per oggetto i sentimenti, conserva invece una propria capacità di comunicare”. Non certo quella narrativa “che non è più romanzo ma intreccio fine a se stesso”, ma i grandi romanzi indicati da Finkielkraut, “e che, secondo lui, hanno la capacità di esprimere ‘un'eco del riso di Dio', e si possono permettere per questo di prendere le distanze dal conformismo”. Cita a questo proposito “Lo scherzo” di Kundera, e la possibilità di ridere di un fenomeno come il comunismo. “Il riso della letteratura, almeno per me, è straniante e anticonformista per definizione”.
A questo riso liberatorio, secondo Finkielkraut, si contrappone il conformismo attuale dello spettacolo che tende a divertire per derisione. “Diciamolo chiaramente: l'obiettivo di Finkielkraut è dare addosso alla televisione. Dove, secondo lui, si ride in gruppo per aggredire l'altro, per sentirsi parte di una maggioranza che si crede più forte perché condivide stereotipi o abitudini. Una forma di linciaggio. Il modello, per Finkielkraut, è quello vissuto e raccontato da Roland Barthes: il pubblico al cinema ride di ‘Perceval', perché il medioevo rappresentato dal film di Rohmer è troppo alieno e distante dalla cultura e dall'esperienza quotidiana degli spettatori. Ecco, è proprio questa seconda parte del ragionamento di Finkielkraut che non mi persuade affatto”. A non convincere Carlo Freccero è “la tesi che distingue un riso letterario, capace di generare anticonformismo, e una risata satirica, che compatta la folla al ribasso, nel linciaggio mediatico. Non mi sembra che le cose stiano così. La satira, storicamente, nasce con finalità dissacranti. Non rappresenta un esercizio di potere, semmai il suo contrario. Penso allora – anche perché conosco abbastanza bene la polemica francese – che nel giudizio di Finkielkraut pesi l'episodio, riportato nel suo libro e citato dal Foglio: l'intrattenitore Thierry Ardisson, nella sua trasmissione, aveva invitato i suoi ospiti a scegliere, tra tre morti, quella che meno li aveva colpiti, ed è uscito fuori che nessuno si era sentito particolarmente toccato dalla morte del cardinale Lustiger. Conosco molto bene Ardisson, che quando ero alla Cinq, nel lontano 1987, ha fatto con me il programma ‘Bains de minuit' e posso ammettere che certi suoi scherzi su morte e religione non siano affatto eleganti. Ma Ardisson non può certo essere accusato di conformismo o di condiscendenza verso il pubblico”.
Piuttosto, prosegue Freccero, “il suo comportamento rispecchia quella concezione esasperata di laicità così tipica del pensiero francese. Per un francese, la libertà di espressione è comunque più sacra di qualsiasi religione civile e trascendente”. Ma torniamo alla risata del pubblico descritto da Barthes, che “nasce dall'imbarazzo, dall'ignoranza, dalla impossibilità di afferrare il significato delle cose. D'accordo, ma la risata sollecitata dalla satira è sempre dissacrante, nel bene e nel male, perché ha una capacità chirurgica di metterci davanti alle nostre illusioni”. Significa che nel riso c'è sempre una verità, magari spiacevole? “Voglio dire che è importante che qualcuno ci metta davanti alle nostre illusioni, e se la letteratura lo fa in forma poetica, la satira lo fa con altri mezzi. Ho visto da poco il nuovo spettacolo di Corrado Guzzanti, strepitoso, ed è ottima satira. Guai a dire che la satira è morta o è il nuovo conformismo, o è ridotta solo a rumore di fondo. Si rischia di far ridere davvero”.
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