Girotondo /3
Quelli che la menano con l'8 settembre e non capiscono l'11 settembre visto da Baghdad
Dal Foglio del 11 settembre 2003
Oggi è l'11 settembre 2003, e siamo qui a fasciarci la testa per il caos in Iraq. Qualche giorno fa era l'8 settembre, e ancora oggi ci fasciamo la testa per il caos creato dall'Armistizio firmato da Badoglio. Il quadro d'insieme e il tempo sono cose importanti. Il regime di Saddam è caduto il 9 aprile 2003, sono passati soltanto cinque mesi dalla liberazione di Baghdad.
Dal Foglio del 11 settembre 2003
Oggi è l'11 settembre 2003, e siamo qui a fasciarci la testa per il caos in Iraq. Qualche giorno fa era l'8 settembre, e ancora oggi ci fasciamo la testa per il caos creato dall'Armistizio firmato da Badoglio. Il quadro d'insieme e il tempo sono cose importanti. Il regime di Saddam è caduto il 9 aprile 2003, sono passati soltanto cinque mesi dalla liberazione di Baghdad. Il regime di Mussolini è caduto il 25 luglio 1943, un mese e mezzo dopo ci fu l'armistizio o la resa, a seconda dei gusti. Era l'8 settembre 1943. Cominciò la guerra civile, che si concluse il 25 aprile del 1945. Due anni solari dopo il “tutti a casa”. Sei mesi dopo si formò la Consulta, che non era eletta ma rappresentativa dell'opposizione. A metà del 1946 si tenne il referendum e fu eletta la Costituente. La Costituzione, elogiata da Ciampi nel giorno dell'anniversario dell'8 settembre, fu promulgata nel 1948. Cinque anni dopo la caduta del regime. In Iraq, cinque mesi dopo si vorrebbe già Porta a Porta. Non c'è?
Allora la situazione è disastrosa, un fallimento, un Vietnam. Le lagne dei politologi-da-tinello ricordano quelle dei generali-inpoltrona che tre giorni dopo l'inizio della guerra certificavano già la sconfitta americana. Ora costoro dicono che Bush si sia pentito e che sia andato a chiedere aiuto all'Onu, ma non hanno il dubbio che l'arrivo in Iraq di forze Onu di peace- keeping serva a liberare truppe Usa per il war-making contro il terrorismo. In Iraq le cose vanno bene. Certo, sempre di un dopoguerra stiamo parlando. E di un regime fascista che è durato 15 anni in più rispetto a quello italiano. E' buffo notare che chi oggi alza il sopracciglio perché a Baghdad non c'è ancora la rule of law anglosassone, sia spesso la stessa persona che manganella chiunque dica che passati sessanta anni magari è giunto il momento di archiviare la retorica antifascista. Eppure tre mesi dopo aver tolto di mezzo Saddam, finanziatore di kamikaze, torturatore del suo popolo e principale fattore di instabilità del Medio Oriente, a Baghdad si era già insediato il Consiglio nazionale, l'equivalente della Consulta italiana del 1945. Il primo settembre è nato il governo provvisorio, che ha già inviato il proprio ministro degli Esteri alla Lega araba. Il ministro è un curdo. Un curdo per la prima volta rappresentante di uno Stato. Era un popolo gasato dagli arabi e vessato dai turchi, non so se avete presente. Ospite fisso alle Feste dell'Unità e sulle pagine del Manifesto. Do you remember Ocalan e le battaglie della sinistra aeroportuale? Bene. Grazie alla liberazione di Baghdad, un curdo rappresenta il suo paese, e non solo il suo ma anche quello dei connazionali arabi che prima lo gasavano e ora lo mandano in vece all'estero. In tutto l'Iraq ogni giorno ci sono manifestazioni, sono nati 150 giornali, sono state messe a posto 10 mila scuole, tutti gli ospedali funzionano, l'acqua e l'elettricità sono state estese dalle città a tutto il paese, non c'è fame, non c'è carestia, non ci sono torture né polizia segreta né fosse comuni. C'è speranza. Le forze liberatrici hanno commesso molti errori, e altri ne faranno. Ci sono molti problemi irrisolti, e altri ne sorgeranno. E' ovvio, oltre che normale.
Ma i primi effetti della liberazione dell'Iraq si sono già fatti sentire nei paesi vicini. La Siria, impaurita dal poter essere the next, ha liberato prigionieri politici e annunciato la fine del partito unico. In Iran, alla caduta di Saddam, sono scoppiate rivolte, occupazioni e scioperi. Kuwait e Giordania hanno tenuto elezioni generali con buoni successi per i candidati riformatori. In Libia, Muammar Gheddafi ha detto in tv che “la democrazia è il miglior sistema per l'umanità” e ha riconosciuto le colpe di Lockerbie. L'Arabia Saudita è devastata dalla lotta intestina tra filo americani e amici di bin Laden, ma se prima era immobile ora è il campo aperto di una grande battaglia dinastica. Nel mondo arabo circola un libro edito da al Qaida e scritto da Yussuf al-Ayeri. La tesi degli Osama-guys è questa: “Non è la macchina da guerra americana che deve preoccupare i musulmani. Quello che minaccia il futuro dell'Islam, addirittura la sua sopravvivenza, è la democrazia americana”. Che minaccia anche parecchi in Occidente.
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