Il “mi si nota di più se protesto” ammantato di pseudo-accademia
Se nella collezione primavera-estate dell'indignazione democratica, “de sinistra” e pseudofemminista, si sono molto portate le filosofe Nadia Urbinati (Columbia University di New York) e Michela Marzano (Università Descartes di Parigi), la stagione autunno-inverno, per le due pensatrici export-import, promette altrettanto bene, se non altro per via della legge che in Italia trasforma in oro zecchino le più spietate banalità, purché siano pronunciate da un pulpito posto oltreconfine.
Se nella collezione primavera-estate dell'indignazione democratica, “de sinistra” e pseudofemminista, si sono molto portate le filosofe Nadia Urbinati (Columbia University di New York) e Michela Marzano (Università Descartes di Parigi), la stagione autunno-inverno, per le due pensatrici export-import, promette altrettanto bene, se non altro per via della legge che in Italia trasforma in oro zecchino le più spietate banalità, purché siano pronunciate da un pulpito posto oltreconfine.
La prima, docente di Teoria politica nata a Bellaria, fondatrice di Reset, commendatore della Repubblica, incline a presentarsi come “bobbiana”, perseguita da un paio di mesi le italiane tutte dalle colonne di Repubblica e dai forum sull'Unità, invitandole a “rompere il silenzio” sulla degenerazione della politica ai tempi del Cav.; la seconda, filosofa morale (Gad Lerner, in occasione della puntata dell'Infedele sul “corpo delle donne”, la presentò in collegamento video come “uno dei cinquanta intellettuali più influenti di Francia, secondo il Nouvel Observateur”, nonostante i quarant'anni non ancora compiuti), ripete – sempre su Rep. – che l'Italia è un paese dove le donne esistono solo in quanto corpi rifatti e aspiranti veline. Su Repubblica del 31 luglio, Marzano si interrogava severa: “Perché allora così poche persone insorgono contro questa mascherata tutta italiana che da anni cancella ‘il' viso delle donne, per ridurle al ruolo subalterno e umiliante della semplice comparsa teatrale?”.
La docente esperta “del corpo umano e il suo statuto etico”, ignora che la Spagna zapatera batte alla grande l'Italia, in tema di interventi di chirurgia plastica? Oppure lo sa, ma le manca la spiegazione politica? Fatto sta che nulla può resistere alla furia civilizzatrice di Urbinati e Marzano, nemmeno il senso del ridicolo. Prova ne è l'intervista che la filosofa della Columbia (attiva anche a Princeton) ha dato alla direttrice dell'Unità lo scorso 12 agosto. L'intervista era intitolata sobriamente: “Ribelliamoci come in Iran e in Birmania”. Già, perché se sotto quei regimi totalitari le donne riescono a farsi sentire, a esistere come nobili simboli (“Neda, San Suu Kyi”, cita la filosofa), qui, nella terra delle escort, delle veline, delle minorenni traviate, delle rifatte subalterne e delle schiave remissive, rimane solo “silenzio. L'apatia ci accompagna”.
Donne di tutta Italia, vergognatevi. Più docili e inerti delle pecore rapite da Wile E. Coyote nell'omonimo cartoon, più rassegnate e imbesuite delle cavernicole trascinate per i capelli da maschi con la clava, come vi permettete di non reagire al grido di battaglia di Urbinati & Marzano? O meglio di “non rispondere”, come la prima suggerisce, con moti di piazza e pubbliche manifestazioni, magari sotto Palazzo Grazioli? “Avrei voluto far qualcosa, in questi mesi estivi che passo in Italia – ha confidato impaziente a Concita De Gregorio – mi si dice che si deve aspettare l'autunno. Non capisco come mai. Non vedo che altro ci sia da aspettare”.
Così, sprona oggi, incita domani, sollecita dopodomani, col silenzio delle donne l'Unità è andata avanti per tutta l'estate. Senza mai interrogarsi, come pure facevano i blog dell'Udi, o di Aprile, o il Manifesto (con gli articoli di Dominijanni, Boccia, Zuffa, Pitch, Pomeranzi) sulla piattezza di quella versione vittimistica e irreale della “donna italiana silenziosa” inventata da Nadia Urbinati. Senza trascurare l'azione di complemento della più giovane Marzano, incaricata di additare gli zigomi gonfiati e le labbra rifatte come emblema del regime berlusconiano liberticida.
Nessuna delle due si è accorta del fiume ininterrotto di interventi di donne sul tema sesso-denaro-potere. Altro che silenzio: “Fate sapere a Nadia Urbinati che…”, ha scritto la redazione della Libreria delle donne di Milano: “Il silenzio delle donne è una formula che, cullando forse la vanità di qualche parlante o la pigrizia di qualche intellettuale, giustifica la sordità sistematica alla voce delle donne… Nel presente, che cosa succede? Che la formula del silenzio viene ripetuta per fare finta che non abbiano parlato”. E Letizia Paolozzi, sul sito donnealtri: “Nadia Urbinati (su Repubblica) dimenticando che le femministe, le giornaliste, hanno scritto, protestato, firmato appelli, ha affermato che intorno a lei il silenzio femminile è totale. Deve trattarsi di un espediente retorico: ‘Se dico che sono l'unica a protestare, mi si noterà certamente di più'”.
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