Bresaola e carattere d'acciaio
Così a Pippo Inzaghi non serve dribblare per essere il più forte di tutti
Ieri la Gazzetta dello Sport ha ricordato quello che ne diceva Jorge Valdano, ex calciatore argentino oggi direttore generale del Real Madrid: “Quello lì non dribblerebbe nemmeno una sedia”. Parole sante. “Quello lì” non dribbla nessuno per la banale ragione che non ne ha bisogno. “Quello lì” alias Filippo Pippo Inzaghi, acclamato come Superpippo, è oltre il dribbling come Gianni Agnelli era oltre il denaro e Silvio Berlusconi è oltre la vanità.
Ieri la Gazzetta dello Sport ha ricordato quello che ne diceva Jorge Valdano, ex calciatore argentino oggi direttore generale del Real Madrid: “Quello lì non dribblerebbe nemmeno una sedia”. Parole sante. “Quello lì” non dribbla nessuno per la banale ragione che non ne ha bisogno. “Quello lì” alias Filippo Pippo Inzaghi, acclamato come Superpippo, è oltre il dribbling come Gianni Agnelli era oltre il denaro e Silvio Berlusconi è oltre la vanità. Non dribbla perché non agisce sul campo ma nello spazio e nel tempo. I difensori non li vede, li sente, li riduce a sagome inerti, a sedie per l'appunto, nella cui vicinanza si acquatta, si nasconde. E' il prototipo del centravanti guerrigliero che si impossessa della forza fisica degli avversari e la piega a proprio vantaggio. E' un flagello di dio che vede il punto d'arrivo del pallone una frazione di secondo prima di tutti gli altri, che si trova sempre al posto giusto nel momento giusto, a cogliere l'attimo fuggente per colpire. Quando si hanno i riflessi del cobra e l'agilità della mangusta, a che pro incartarsi in un dribbling?
Signor Valdano, non è da lei: non basta aver vinto un Campionato del mondo per schernire un suo pari che sbuca dal nulla e la butta dentro, di piede o di testa, spizzando la palla con una tibia, un ginocchio, con un colpo d'anca o di natica, di precisione o accompagnando lentamente il pallone giro dopo giro con un soffio misericordioso, che segna con il sole e sotto la pioggia, di giorno e di sera, in un campo periferico o in una finale di Champions League di fronte a un miliardo di telespettatori, un normolineo anche piuttosto gracile che sbuca da dietro, da un fianco, da sotto gli scarpini del difensore e si materializza di colpo come lutto e rovina per gli avversari: a 36 anni compiuti il mese scorso Filippo Inzaghi è semplicemente uno dei più forti attaccanti di tutti i tempi, certamente il più grande nell'area di rigore.
Ricordo quando era ancora della Juventus e venne a San Siro a rifilarci un cappotto con tanto di colletto di astrakan, noi a giocare una sofisticatissima difesa a zona e lui perennemente in agguato sul filo del fuorigioco poco dopo la metà campo che ci infilzò come tacchini non so più quante volte. Quando si seppe che l'avevano venduto al Milan, gli juventini ci rimasero male, con Mughini che imprecava contro tanta scelleratezza, ma anche molti milanisti erano perplessi, vedevano in lui solo uno scarto delle zebre, come se la valanga di goal segnati da quelle parti non avesse già la marca del predatore. Succede che alcuni grandi artisti sono considerati profeti solo in patria.
E Inzaghi è di questi ma grazie alle sue molte patrie ha raggiunto l'unanimità, caricando sempre a testa bassa, convincendo, stregando. E' quanto meno strano che un uomo così, brava persona, professionista esemplare e sportivo leale, uno “toujours pret” come avrebbe detto Porfirio Rubirosa, abbia sempre dovuto battersi contro pregiudizi insensati. I puristi del beau geste, i Valdano appunto, hanno sempre trovato da ridire sulle sue sgroppate un po' sgraziate, sul suo respiro a froce larghe, su alcuni dribbling effettivamente impossibili, su quell'agitarsi scomposto lontano dall'area come a dire forse ce la faccio e forse no: quanti dagli spalti hanno fischiato i tanti fuorigioco e quanti gliene hanno fischiati a sproposito i guardalinee e lui che insiste, puffa e sbuffa, scatta a vuoto dieci e dieci volte ancora, per poi colpire a morte all'undicesima volta. Allo stadio Louis II i tifosi del Monaco lo insultavano, dicevano che era un simulatore, che in area si tuffava senza aver subito fallo. In realtà i difensori lo stavano randellando di brutto, la cicatrice che ha sul volto lo prova. “Alta tensione” Inzaghi come l'ha ribattezzato il giornalista Carlo Pelegatti non sa cosa sia la pressione e simile menate delle pseudo scienze psico motorie. In un mondo di eroi fragili che chiedono di essere coccolati e presi per mano, il vero uomo è lui. Che mangia da trenta anni bresaola, pasta in bianco e crostatina di frutta, non fa notti brave nelle discoteche. Si nutre solo della sua passione che coltiva con una determinazione assoluta. Un esempio insomma per i giovani. Se non è Filippo Inzaghi il calciatore da delirio, ditemi voi chi lo è.
Il Foglio sportivo - in corpore sano