O guerra o inutile strage

Giuliano Ferrara

Il ministro Bossi si augura che i soldati italiani siano a casa per Natale. Il presidente Berlusconi è anch'egli convinto che dall'Afghanistan si debba uscire al più presto. Nessuno salvo settori estremi dello schieramento extraparlamentare chiede oggi una rottura degli impegni militari e di politica estera italiani, e anzi il clima di dolente unità costituitosi nelle ore successive alla strage di Kabul (6 paracadutisti della Folgore e 10 civili) registra poche eccezioni.

    Il ministro Bossi si augura che i soldati italiani siano a casa per Natale. Il presidente Berlusconi è anch'egli convinto che dall'Afghanistan si debba uscire al più presto. Nessuno salvo settori estremi dello schieramento extraparlamentare chiede oggi una rottura degli impegni militari e di politica estera italiani, e anzi il clima di dolente unità costituitosi nelle ore successive alla strage di Kabul (6 paracadutisti della Folgore e 10 civili) registra poche eccezioni. Ma Bossi e  Berlusconi, ciascuno a suo modo, riflettono una sindrome dell'incertezza che attraversa e divide l'intero occidente. Dagli Stati Uniti, dove i democratici premono sul presidente Obama per dismettere ogni responsabilità in quella che è sotto ogni rispetto la “sua” guerra, fino al Canada, al Regno Unito, alla Germania, alla Francia, ovunque serpeggia la tentazione della resa di fronte a una guerra che dura da otto anni e sembra impossibile da vincere.

    I generali del Pentagono chiedono decine di migliaia di truppe di rinforzo, ma il “surge” vittorioso di David H. Petraeus e di Bush in Iraq, in un paradossale rovesciamento politico, non riesce a partire nell'Afghanistan di Obama e del generale McChrystal. D'altra parte gli afghani, che pure accolsero con calore civile l'invasione del 2001, lo smantellamento di al Qaida, il rovesciamento del dominio oscurantista della sharia talebana e il tentativo di avviare con il consenso della società tribale afghana (la famosa Loya Jirga) un difficile processo di costituzionalizzazione della vita pubblica, sentono oggi il vacillare dell'occidente, il depotenziamento e la delegittimazione di un'autorità politica giudicata corrotta e imbrogliona, e passano la linea schierandosi con una vasta e multiforme guerriglia di cui i Talebani sono il cuore e il nucleo d'acciaio.

    Cambiare fronte, riallinearsi, voltare la gabbana – usate la formula che preferite – è questo il modo afghano di fare la guerra”, scrivono gli esperti su Foreign Affairs, e proprio in questa fase il loro sesto senso dice agli afghani che “gli occidentali stanno perdendo la voglia di combattere”. Le guerre occidentali dopo l'11 settembre avevano un senso nell'ambito della strategia di trasformazione del medio oriente e dello scontro generale con l'islamismo politico. Se a questo obiettivo si rinuncia, lo scontro localizzato perde senso. La moralità di una guerra giusta è nel realistico orizzonte di stabilizzazione vittoriosa e di pace che questa apre, con tutta la tragicità delle conseguenze. Ma se in guerra non si scommette sulla possibilità della vittoria, allora è un'inutile strage.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.