La resurrezione della carne

Annalena Benini

E' andata come in Sex and the City. Il Sesso e la Città, le avventure di una notte, la ricerca e la curiosità, la giovinezza, lo splendore, le scarpe, ma sempre e soprattutto il Sesso. Parlarne, farlo, parlarne, alla fine più che altro parlarne. E' finita con un film già uscito in cui loro quattro non sono più splendide, nemmeno i lifting lo sono, il sesso è quasi introvabile.

    E' andata come in Sex and the City. Il Sesso e la Città, le avventure di una notte, la ricerca e la curiosità, la giovinezza, lo splendore, le scarpe, ma sempre e soprattutto il Sesso. Parlarne, farlo, parlarne, alla fine più che altro parlarne. E' finita con un film già uscito in cui loro quattro non sono più splendide, nemmeno i lifting lo sono, il sesso è quasi introvabile (una sera Samantha, la più hard, la più ristrutturata in faccia, si cosparge di sushi e si sdraia sul tavolo nuda ad aspettare l'amato, lui non arriva, lei si trova con roba molliccia e puzzolente addosso e niente sesso). Finirà con un altro film, in uscita il prossimo maggio, loro sempre meno splendide, per forza, il sesso ancora più scarso: l'avventura massima sarà quella di Miranda, la donna in carriera, niente maschi tra i piedi ma solo avventure, che abbandona il lavoro per la famiglia. Il sesso, troppo evocato, è fuggito altrove, lasciandoci con qualche film porno e molte tette finte. Lo racconta, senza citare Sex and the City, il filosofo e saggista francese Fabrice Hadjadj in “Mistica della carne, la profondità dei sessi” (edizioni Medusa). Lui sogna di diventare immoralista, ma solo quando l'immoralismo smetterà di imporre altre più rigide morali, tipo il rigorismo dell'orgia: chi non vi partecipa è uno sporcaccione che pensa solo a se stesso e non si cura degli altri.

    Hadjadj un po' scherza, non gli va di fare la figura del beghino colto, ma scrive che l'esplosione del sesso equivale alla sua scomparsa: “Taluni lamentano un'iper-sessualizzazione della società: il sesso sarebbe dovunque, aggressivo, adescatore. Mi piacerebbe, lo confesso. Ma non lo trovo da nessuna parte. Ed ecco la cosa più sorprendete: ciò che ne ha causato la scomparsa è la sessualità”. Che diventa una cosa del cervello, o dell'inconscio, del libero arbitrio, della lingua, delle convenzioni sociali. Una cosa da psicologi, da psicofarmaci, da nevrotici, da manualetti di istruzioni. Scompaiono i sessi, arrivano i generi e la revisione morale: bisognerà allora eliminare il vecchio e dannoso sessismo dalle favole per bambini: “Che la principessa maneggi talvolta una spada e che il principe azzurro pulisca la casetta dei sette nani” (la faccenda delle pulizie in effetti non è male, da piccola pensavo che questi disfunzionali dei nani potevano almeno rifarsi i lettini da soli, magari a turno, ma soprattutto che Biancaneve era totalmente scema, stordita, se accettava la mela da una brutta vecchia gobba sconosciuta, mentre gli animali del bosco cercavano disperatamente di farle capire che quella era la strega cattiva).

    Scompaiono i sessi, e non è una considerazione da filosofo reazionario, ebreo convertito al cattolicesimo, sempre la stessa moglie e tre figlie femmine, citazioni a volte esagerate, e la convinzione che “esista un prima e un dopo bikini” (nel senso di costume da bagno a due pezzi. In sintesi: il bikini, lanciato nel 1946 alla piscina Deligny, con il nome dell'atollo delle isole Marshall in cui in quei giorni gli americani avevano appena realizzato gli esperimenti nucleari dopo l'armistizio, fu l'esplosione del sesso. Con addosso il costume più piccolo del mondo la brava ragazza, la bagnante, si trasforma in bomba sessuale, e niente sarà più come prima, ci sarà molto meno sesso di prima). Non è questione da bacchettoni ufficiali, anche le scrittrici progressiste che osservano il mondo, fanno film, vanno al festival di Cannes vestite Prada ci stanno pensando. L'ultimo romanzo di Cristina Comencini, “Quando la notte” (Feltrinelli), racconta di “un uomo e una donna ancestrali”, lui maschio cavernicolo e lei femminile seduttrice irrimediabilmente attratta dagli uomini, e a Chiara Gamberale che chiede sulla Stampa che fine hanno fatto, oggi, quest'uomo e questa donna ancestrali, Comencini risponde: “E' come se i nostri tempi li avessero banditi. Non lo so che cosa è successo. Ma di sicuro i confini che separavano l'identità maschile da quella femminile e che dunque assicuravano a entrambe dei contorni forti, seppur sofferti, oggi sono in una fase transitoria di ridefinizione”. Lo dice gentilmente, ma chiaro: “Quel che desidera una donna è che un uomo rimanga più che mai saldo alla propria virilità”, e che non si trasformi in un mammo, quando diventa padre.

    Cioè molto più dei pannolini cambiati, delle lavatrici, del bagnetto con la paperella e della retorica sull'astensione dal lavoro per paternità servirebbe che gli uomini facessero gli uomini, per dare modo alle donne di lamentarsi, anche, dei calzini mollati negli angoli, dell'ignoranza assoluta sulle regole dello svezzamento e della pressante, scandalosa, fuori moda richiesta di fare sesso (sarebbe bello, poi, anzi sarebbe meraviglioso non doverlo chiamare sesso, che suona un po' come fare jogging, pilates, fare la cyclette, fare sollevamento pesi o fare il lancio del martello: implica una fatica, un dovere, un appuntamento settimanale, una tuta da ginnastica, un deodorante, un paio di ciabatte da doccia, fa molta tristezza. Ed è da quando si chiama così, che ha iniziato a scomparire, forse è il nome che porta jella).
    “L'uomo diventa tanto più virile quanto più è rivolto verso la donna. La donna tanto più femminile quanto più è rivolta verso l'uomo”, scrive in sintonia con la Comencini Fabrice Hadjadj, prima di prendere in giro Michel Onfray, il filosofo festivaliero, edonista, alternativo, materialista, ateologo, che invece di essere felice in tutte quelle grandiose ammucchiate, invece di essere il simbolo del corpo che eplode di gioia, lui che propone un'“erotica solare”, invece di voler donare a tutti quest'esistenza libertaria e godereccia, confessa la propria disperazione: “La vita è forse così straordinaria, gaia, felice, ludica, desiderabile, facile, da essere offerta in dono a dei cuccioli d'uomo?”. E' il lamento di uno che in fondo non se la spassa per niente, è una richiesta d'aiuto: del resto lui teorizza l'orgia come incontro razionale fra “contraenti su misura, né volubili né dubbiosi né esitanti, che abbiano risolto i loro problemi e che non si portino in giro a tracolla le loro incoerenze…” eccetera. Una serie infinita di regole faticosissime, una serie di condizioni per accedere alla libertà sessuale. Ma se a uno nel bel mezzo di un incontro di questo tipo viene sonno, oppure si rende conto che sarebbe meglio leggere Hegel o dare l'acqua alle piante? Non ci si può lasciar sorprendere dall'amore o dal disamore, né da un corpo. Il corpo non esiste più, scrive Hadjadj, si fa tutto con la volontà. (E' terribile: io che non ho volontà nemmeno per sistemare i cassetti e fare il cambio di stagione, che non riesco a programmare neanche una vacanza sono destinata all'emarginazione, all'imbarbarimento, all'eliminazione. Perché naturalmente Hadjadj cita “1984” di George Orwell e “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley, racconta di Winston e Katharine, in “1984”, membri del Partito Esterno e che dunque possono avere figli, che hanno la loro “frigida cerimonia” del venerdì sera: “Fare il nostro dovere verso il Partito”. Il bambino che potrebbe nascere viene arruolato nelle “Spie”, associazione in cui impara a sorvegliare l'ortodossia dei propri genitori).

    Tutto con la volontà, niente più corpo, niente più carne: nemmeno i figli (“Come in quelle riviste per genitori, ben più nocive dei giornaletti erotici, il figlio sarebbe uno strumento per diventare una donna matura o una coppia soddisfatta”). I figli sono il frutto di un progetto parentale consapevole, scrive Hadjadj, certo che non ci sia niente di peggio al mondo: “E' molto duro essere un figlio desiderato. La vostra esistenza è appesa alla decisione dei vostri genitori. Voi vi trovate lì per rendere possibile il dispiegarsi della femminilità di vostra madre e con il vostro successo dovete compensare le frustrazioni di papà. Che vostra mamma ritrovi la linea che aveva prima della gravidanza. Che vostro padre ritrovi le ambizioni che aveva prima del fallimento. Non dovete deluderli. Non piangere troppo di notte. E poi brillare di giorno” (non piangere troppo di notte non è un desiderio così malsano, anche sperare di ritrovare la linea pre imbalenimento non è proprio un'aspirazione da mostri, questo filosofo è un po' intransigente, ma ci sono madri che iscrivono i figli alla scuola elementare più fica del mondo ancora prima di rimanere incinte, ho visto un'amica piangere di rabbia perché la figlia si rifiutava, a tre anni, di prendere lezioni di equitazione e preferiva rotolarsi nella sabbia, e una moglie in carriera sedersi al ristorante di fronte al marito e dirgli, seria: “E' arrivata l'ora di riprodursi, stanno per scadermi gli ovuli”). Rischia di andare così quando si agisce alla Michel Onfray, quando si decide tutto prima, quando l'intreccio dei corpi non arriva da una botta d'amore ma da un'equazione algebrica, dallo studio di un manuale per gravidanze perfette (quelli che spiegano, tra l'altro, oltre alle tabelle dell'ingrassamento minimo, efficiente e razionale, che circa un anno prima del giorno in cui si comincerà a pensare di mettere al mondo un figlio, bisognerebbe fare questa e quella visita medica, oltre alle analisi del sangue, all'elettrocardiogramma e ad alcuni semplici test genetici, per verificare per tempo che voi e il vostro partner siate genitorialmente, riproduttivamente compatibili). Voglio te, una vita, far l'amore nelle vigne, è solo una canzone di Lucio Battisti, è il passato.

    E secondo Adjadj, dire “Ti amo” è sbagliato, perché è ormai un cinguettio approssimativo: l'altro non è un volto ma “un insieme di segnali nervosi attivi in un'apparecchiatura neuronale”. Adesso è più razionale dire: “La corteccia cerebrale che fabbrica il mio io è eccitata fino alla zona di Broca dagli stimoli nervosi causati da questo aggregato di atomi antropoide” che per comodità chiamiamo amore mio. Niente lacrime, niente covoni di fieno, niente entusiasmi per le stelle cadenti, niente amore che strappa i capelli, niente se te ne vai adesso muoio, e i corpi sono solo strumenti, scomposti in ingranaggi e subordinati al cervello. Quando certe stelline televisive per sentirsi intelligenti dicono: “Quel che mi colpisce più in un uomo è il cervello”, dicono una cosa di grande modernità, di grande gelo, molto poco sexy. Scrive Hadjadj: “Ciò che mi piace nel nome del corpo è la sua unità vibrante, la sua presenza non scomponibile, in breve – osiamo dire – l'anima che traspira da tutto il suo essere. E' questo il fascino del suo nome come quello di carne: nasconde molto spirito”.

    Nonostante tutte le noiosaggini e le freddezze che la nuova condizione comporta, nonostante i funerei girotondi attorno a un utero artificiale in plastica metallizzata che Hadjadj consiglia per una sana educazione dei bambini figli della volontà e della nuova morale senza sesso, non credo che le cose stiano esattamente così. Il ritorno al corpo e all'avventura è dietro l'angolo, spariglia i manuali di istruzioni, si fa beffe dei filosofi alla moda e di quelli anti mode, ride davanti alle citazioni troppo colte e ai ragionamenti difficili, si disinteressa dei generi e dice: “Mamma, domani è adesso?”. “No amore, domani è domani, adesso è oggi”. “Ma tu mi avevi detto che domani andavamo alla festa e adesso stiamo andando alla festa, quindi adesso è domani”. Un bambino è un bambino sempre, prima della storia, prima della psicanalisi, prima del femminismo e prima della scomparsa del sesso. “Quel che avevo inutilmente cercato nei gruppo artistici: l'energia, la gratuità, l'abbandono alla Provvidenza, la gioia senza ritegno e i dolori smisurati, lo trovavo qui – scrive Hadjady – tra i giardinetti e il cavallo a dondolo”. Il bambino ha una forza spaventosa, attira su un'isola selvaggia fuori dal continente civilizzato, rende possibile l'impossibile. Nemmeno Michel Onfray può resistergli, nemmeno il più grande teorizzatore della metafisica della sterilità, ogni moderno comandamento crolla davanti a un bambino che dice: quando divento giovane voglio sposarti e ballare con te. Un bambino riporta il caos là dove c'è solo ordine e raziocinio (“ordine e bellezza, calma e voluttà”, canta Battiato, è un'immagine meravigliosa ma non tiene conto del meraviglioso, voluttuoso terremoto portato dai figli), macchia i divani, distrugge le regole, sconvolge le notti e i giorni, raggiunge il massimo della gioia nella nudità, fa sentire per la prima volta nella vita pronti a morire per un altro, dà una forza sovrumana, ed è la cosa più carnale che esista, che ha bisogno del contatto dei corpi, che cresce con il corpo a corpo, che arriva dal corpo.

    Un po' di carne rosa e profumata di vita nuova, completamente disarmata, invincibile, ci riporterà sempre là dove avevamo perduto i corpi, dove avevamo letto troppi libri, dove avevamo creduto di capire tutto, dove ci eravamo sentiti così liberati, così annoiati, così civilizzati, dove ci eravamo tanto preoccupati per la fine del mondo, per la fine dei sessi, e in sottofondo partirà ogni volta, anche fra un milione di anni, la musica di “Un uomo, una donna”, di Claude Lelouch.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.