La nuova “misura del benessere” è la fine della religione delle cifre
Annunciando la fine della “religione delle cifre”, il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha detto che ci sarà un “prima e un dopo questo rapporto”: siamo di fronte a una svolta epocale che parte dalla relazione della Commissione Stiglitz-Fitoussi, trecento pagine (decisamente tecniche) frutto di diciotto mesi di lavoro per dimostrare che ci vuole un nuovo sistema di misurazione del prodotto interno lordo di un paese.
Annunciando la fine della “religione delle cifre”, il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha detto che ci sarà un “prima e un dopo questo rapporto”: siamo di fronte a una svolta epocale che parte dalla relazione della Commissione Stiglitz-Fitoussi, trecento pagine (decisamente tecniche) frutto di diciotto mesi di lavoro per dimostrare che ci vuole un nuovo sistema di misurazione del prodotto interno lordo di un paese. Bisogna tenere conto della felicità, tanto per dirne una, e “le bonheur” deve essere integrato “nelle politiche pubbliche, soprattutto in periodo di recessione”, ha spiegato Joseph Stiglitz a Libération. Il giornale della gauche si è così eccitato per “la misura del benessere” che il premio Nobel americano è stato ieri il suo “invitato speciale”: intervistato nelle prime pagine sulla necessità di uscire da una logica prettamente mercatista, poi commentava le notizie, la guerra in Afghanistan (dobbiamo andarcene presto, ha scritto), la destra americana e quella europea, l'economia che un po' riparte e un po' no, persino i megastipendi dei calciatori.
L'operazione di Sarkozy è grandiosa. Politicamente è una delle manovre più astute che governante abbia mai messo a punto (e infatti gliel'ha consigliata quel genio di Henri Guaino): mettiamo 25 economisti di sinistra a ripensare il modo con cui misuriamo la salute – e la crescita – dei paesi, perché il mercato “non ha più né senso né progetto”, ha detto Sarkozy e, facendo sue le parole degli esperti, “ciò che misuriamo incide su ciò che facciamo, se abbiamo misure sbagliate, ambiremo a cose sbagliate”. Dopo la verdissima carbon tax, la misura della felicità ha conquistato definitivamente la gauche. E non solo. Una cifra – quella del pil – non può tutto spiegare e sintetizzare, ci vuole di più (soprattutto in periodi di crisi, come dimostra la stessa tentazione – misuriamoci diversamente – che colpì gli Stati Uniti negli anni Trenta). Lo sanno bene alle Nazioni Unite dove per anni gli esperti si sono scervellati per creare un pil umanizzato e alla fine sono approdati all'Indice dello sviluppo umano (creato da Amartya Sen, membro del panel dei 25 di Sarkozy), che tiene conto della speranza di vita, dell'alfabetizzazione e del pil pro capite degli abitanti di un paese. L'Indice non ha avuto molta fortuna, è rimasto chiuso nelle stanze – e nelle statistiche – onusiane. Per il pil della felicità le prospettive sono ben altre: “La Francia si batterà affinché tutte le organizzazioni internazionali modifichino i loro sistemi statistici”, ha proclamto Sarkozy, trovando braccia aperte già da parte dell'Ocse.
Poiché, come ha detto Sarkozy, “la crisi non ci rende soltanto liberi di immaginare altri modelli, un altro mondo, ci obbliga a farlo”, la commissione ha individuato dodici strumenti “meno mercatisti” per dare una misura delle performance economiche e delle ricchezze immateriali, come “i servizi che ci si rende all'interno di una famiglia”, “il piacere nel tempo libero”, “la qualità del servizio pubblico”, le concentrazioni di gas a effetto serra, la qualità dell'acqua che beviamo, l'insicurezza, le ineguaglianze, i lavori domestici, la cura dei bambini, il giardinaggio, il bricolage. La solidità di un paese, la sua crescita e il suo peso nel mondo non possono essere soltanto il risultato di ciò che viene prodotto all'interno di un paese (già il concetto di “interno”, in un mondo globalizzato, è riduttivo), ma devono tenere conto anche delle persone, delle loro vite, delle loro speranze, dei loro interessi, dell'ambiente in cui vivono, della loro salute e istruzione: in una parola, del capitale umano. Devono anche tenere conto della distribuzione della ricchezza: l'America, ricorda Stiglitz, spende per la sanità il 15 per cento del suo prodotto interno lordo, “un record mondiale”, ma 45 milioni di americani non hanno alcuna copertura sociale. E questo ha un impatto sul benessere di un paese.
Il Financial Times ha dedicato ampio spazio all'idea di Sarkozy e, nel suo primo editoriale, ha spiegato che la proposta è sì avvincente, ma non può sostituire le scelte politiche. Conclude: “A meno che questi super economisti abbiano lavorato a titolo gratuito, il rapporto stesso ha contribuito ad aumentare il prodotto interno lordo. Se contribuirà anche al benessere sociale, dipenderà da Sarkozy e dai suoi pari”. Le implicazioni per gli altri paesi sono enormi. L'Italia potrebbe vedersi balzare in alto nelle classifiche dei paesi valutati in base alla felicità. Non soltanto per ovvii cliché mediterranei e goderecci ma perché potrebbe così tenere conto, tanto per fare un esempio, del lavoro in nero. Una svolta epocale che andrebbe ben oltre la morte della religione delle cifre.
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