Contro il nido
"Tu lo mandi al nido o hai qualcuno?”, è l'Argomento, la domanda delle mamme, prima ancora di chiedere come si chiama quel piccoletto pelato che si sta mangiando un piede nella carrozzina dobbiamo sapere come farà lei a tornare a lavorare, se ha vinto il concorso per il nido pubblico, se è in lista, se ha scelto le suore (“ma solo perché sono vicine a casa”), se ha già litigato con la tata, se è mediamente o ottimamente disperata, se si è licenziata e passa le giornate al parco parlando di pannolini lavabili con una strana luce negli occhi.
"Tu lo mandi al nido o hai qualcuno?”, è l'Argomento, la domanda delle mamme, prima ancora di chiedere come si chiama quel piccoletto pelato che si sta mangiando un piede nella carrozzina dobbiamo sapere come farà lei a tornare a lavorare, se ha vinto il concorso per il nido pubblico, se è in lista, se ha scelto le suore (“ma solo perché sono vicine a casa”), se ha già litigato con la tata, se è mediamente o ottimamente disperata, se si è licenziata e passa le giornate al parco parlando di pannolini lavabili con una strana luce negli occhi. Il nido è offerto culturalmente e politicamente come la salvezza, la sicurezza, la modernità e soprattutto come garanzia della non diminuita produttività di una madre, camuffata anche da realizzazione personale. Come nella Germania dell'est pre 1989: fitta rete di asili nido aperti dodici ore al giorno e anche il sabato, se serve, così la signora lavoratrice con figlio di tre mesi può fare programmi di formazione nel fine settimana.
Quella non era democrazia, ma questo, secondo Paola Liberace, giornalista e manager, mamma con bimbo al nido e blogger ( “Calamity Jane”), autrice di “Contro gli asili nido” (Rubbettino), è pensiero unico: fare i figli e mollarli in fasce per chiuderci dieci ore in ufficio e dimostrare quanto siamo libere e disponibili e capaci e disinvolte. Non ci sono alternative, non mancano tanto gli asili nido quanto la libertà di scelta: telelavoro, part time, job sharing, banca del tempo, cose fattibili ma culturalmente lontane.
Siamo sommersi di blackberry, iPhone, computer, modem, chat, webcam, qualunque tipo di nuova geniale stronzata: possibile che dobbiamo ancora andare in ufficio come il ragionier Fantozzi, incolonnate nel traffico dopo aver svegliato all'alba il bambino per depositarlo al nido, raffreddato, pieno di catarro e incapace di spiegarci che la socializzazione a sette mesi non gli interessa, che lui vuole stare in casa a rotolarsi, che vuole la mamma?
A quindici anni vorrà ucciderci, ma adesso per lui siamo Madonna, Michael Jackson, i Beatles e Bruce Springsteen in una persona sola, degli idoli assoluti, non ricapiterà più. Paola Liberace ha studiato tutto nel dettaglio, presenta cifre, percentuali, leggi (e purtroppo anche studi sulla sofferenza dei bambini allontanati troppo presto e troppo a lungo dai genitori – soprattutto dalla madre, tanto per non sentirci in colpa): cambiare si può, offrire alternative aziendali è possibile e non costa nemmeno molto di più che riempire ogni palazzo di asili nido aperti ventiquattr'ore al giorno. Dare alle madri la possibilità di scegliere come crescere i propri figli, magari offrire un'alternativa all'affaticata signorina del nido o alla tata colf vice madre ricattatrice. Il telelavoro è la svolta, anche perché trasforma l'ufficio di Fantozzi in un meraviglioso sogno di libertà.
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