Finezze

Lodovico Festa

La campagna estiva di Gianfranco Fini ha raggiunto più di un risultato soddisfacente. E, peraltro, non pare affatto esaurita. Il presidente della Camera voleva, innanzi tutto, moderare lo stile con cui si esprime lo schieramento governativo, attenuarne certe caratteristiche provocatorie-populistiche che spesso finiscono per diminuire prestigio e incisività delle istituzioni.

    La campagna estiva di Gianfranco Fini ha raggiunto più di un risultato soddisfacente. E, peraltro, non pare affatto esaurita. Il presidente della Camera voleva, innanzi tutto, moderare lo stile con cui si esprime lo schieramento governativo, attenuarne certe caratteristiche provocatorie-populistiche che spesso finiscono per diminuire prestigio e incisività delle istituzioni. Dopo le sue prese di posizione ci sono state ancora polemiche, a partire da quelle pacifiste bossiane e da qualche espressione colorita brunettiana, però alla fine sta prevalendo una maggiore compostezza persino nell'argomentare, talvolta un po' dadaista, di Silvio Berlusconi. Fini, voleva, poi, che nel centrodestra ci fosse un confronto più libero delle idee e anche su questo fronte ha ottenuto importanti riconoscimenti. E intendeva anche disegnare un ruolo meno passivo per il Parlamento: e su questo sta lavorando con qualche iniziativa di cui si vedrà se darà buoni frutti. Inoltre mirava a  ribadire il suo ruolo di cofondatore che, nella lunga fase di transizione del Popolo della libertà verso una nuova, vera formazione politica, ha anche un ruolo di garanzia per i “suoi” che non vengano discriminati.

    Su più di uno di questi fronti ha portato a casa risultati. Per esempio nella sua veste di cofondatore garante ha incamerato una probabile candidatura di un ex An nella regione Lazio, punto di forza del partito erede dell'Msi. Non credo che il presidente della Camera abbia chiesto la testa di Vittorio Feltri (d'altra parte un direttore che in pochi giorni porta parecchie decine di migliaia di lettori, diventa immediatamente molto ma molto forte), però senza dubbio ha ottenuto l'impegno a consigliare una linea meno aggressiva del Giornale verso gli ex di An. In cambio l'ex delfino di Giorgio Almirante pare avere assicurato che eviterà, pur nel fuoco della polemica politica, la tentazione all'insulto: killer, mafioso, razzista, clericale, a cui non si era sottratto. Il quadro che esce da queste settimane di tensione appare in generale avere portato a una certa maggiore autorevolezza dell'ex leader di An.

    Certo alcune “conquiste” di spazio politico vanno tutte gestite  e con una cura particolare: la discussione delle idee per un politico non è mai un affare neutro, pura espressione di princìpi. Chiedere una riflessione aperta e liberale sui diritti di cittadinanza degli immigrati che vogliono diventare italiani significa fare i conti con le diffuse preoccupazioni popolari su enclave di extracomunitari ben lontani da qualsiasi desiderio di integrazione. Un politico come Nicolas Sarkozy, uomo aperto al confronto e che ha cooptato nella sua squadra più allargata anche uomini di fede socialista, è stato molto fermo nella lotta alla “racaille”. D'altra parte era quello l'unico mezzo per svuotare il carniere di voti lepeniano. In Italia bisogna convincersi bene che il problema dei rapporti con la Lega non è solo di Berlusconi: senza o ancora peggio contro i voti di Umberto Bossi il centrodestra non vince in nessuna regione del Nord. Poi, se invece di ridurre lo spazio di un certo populismo – per qualche vezzo di eccessivo bipartitismo, coltivato non in modo autonomo ma secondo logiche di correttezza politica – lo aumenti, alla fine più che a Sarkozy finisci per assomigliare a quel trombone di Jacques Chirac.

    Anche il dibattito sul “fine vita” pone qualche problema delicato, come si è visto dai toni molto più saggi usati da Fini, rispetto a posizioni precedenti, nel convegno dell'Udc di Chianciano Terme. Certo la scelta di ragionevoli soluzioni di buon senso (più spazio a famiglie e deontologia dei medici e meno a leggi rigide) probabilmente pone problemi non tanto a Fini, non alieno dall'accettare una correttezza politica ultrasecolarizzata, quanto a chi ha partecipato a una battaglia morale contro “il senso comune” alla Umberto Veronesi e ora può sentirsi emarginato, magari immaginandosi abbandonato per qualche giochetto politico. In questo senso, il nobile intento finiano di alimentare un vero confronto di idee deve evitare a ogni costo che la sfida tra posizioni diverse finisca per precipitare in questi giochetti. Tutto sommato, però, si può dire che sui fronti citati, Fini si è assunto rischi politici ma ha fissato punti fermi in modo più che dignitoso.
    Su altre questioni, invece, c'è ancora lavoro da fare. Sulla democrazia nel Pdl, la riflessione finiana non ha ancora obiettivi chiarissimi: finora si è espressa solo l'esigenza di una diarchia (il che in qualche modo è positivo perché spinge Berlusconi a ragionare più politicamente) ma nessuna istanza democratica tipo quelle indicate da Gianni Alemanno con la sua richiesta di una diffusione del metodo delle primarie nelle scelte dei candidati Pdl per le istituzioni.

    Ancora più incerti sono i risultati raggiunti sul fronte dell'azione di governo, obiettivi che non appaiono perfettamente definiti ma forse possono riassumersi in un invito a ridimensionare il ruolo centrale di Giulio Tremonti.  E' bene porsi l'interrogativo di come discutere meglio della linea economica del governo, è opportuno definire meglio il ruolo del Parlamento, senza tornare a farlo diventare quel suk assemblearistico che è stato in certe stagioni. E' evidente che nessuno è mai insostituibile ed è legittimo porsi il problema di cambiare Tremonti e la sua linea. Però va preservata la conquista di una linea di governo unitario dell'economia che risponde a una visione generale degli interessi del paese e non si subordina ai singoli gruppi portatori di esigenze di potere.