(Non) impariamo dall'Inghilterra

Diana Zuncheddu

Piegare la legge a occuparsi della fine della vita, assistita e non, è come ridurla a una caricatura macabra di se stessa. Lo si vede chiaramente in Inghilterra, dove si discute molto delle linee guida sul suicidio assistito rese pubbliche da qualche giorno. Lo scopo delle “guidelines”, come le chiamano, era quello di dare un orientamento di legge a un giudice che si trovi a decidere se abbia davanti un caso di suicidio assistito o di omicidio.

Leggi Le regole del suicidio assistito - Leggi Il testo dell'appello dei deputati Pdl per la "zona grigia"

    Piegare la legge a occuparsi della fine della vita, assistita e non, è come ridurla a una caricatura macabra di se stessa. Lo si vede chiaramente in Inghilterra, dove si discute molto delle linee guida sul suicidio assistito rese pubbliche da qualche giorno. Lo scopo delle “guidelines”, come le chiamano, era quello di dare un orientamento di legge a un giudice che si trovi a decidere se abbia davanti un caso di suicidio assistito o di omicidio. Così si stabilisce che, affinché non si proceda, il sospettato deve aver avuto un'esplicita richiesta di aiuto. Chi ha chiesto aiuto a morire deve avere una malattia incurabile o gravemente degenerativa, ma al tempo stesso l'indubbia capacità di formarsi una chiara, esplicita e informata volontà di suicidarsi. Un'altra importante regola è altrettanto difficile da misurare.

    Se si dimostra che “il sospettato ha agito mosso interamente da compassione”, allora non si procederà contro di lui. Ma quale avvocato o quale giudice potrà stabilire che la motivazione dietro quel gesto era piena e unica compassione? E nel caso di una nonnina molto ricca, quanta era compassione e quanta convenienza? Le regole aspettano un intervento ulteriore del Parlamento inglese e non modificano la legge vigente: l'eutanasia resta un omicidio. Eppure i parenti di chi ha chiesto (o già ottenuto) un aiuto al suicidio, anche con un viaggio verso la clinica Dignitas di Zurigo, sono sollevati. Prima tra tutti la signora Debbie Purdy, malata di sclerosi, che ha chiesto al marito di aiutarla a morire, ma non vuole che dopo il suicidio assistito lui finisca in carcere. Lei ha detto al New York Times, una volta lette le indicazioni, che “ha vinto il buon senso”. Quale buon senso possa esserci nel demandare a un tribunale l'onere di stabilire se ci fosse o no compassione, e quanta, è macabro da scoprire. E infatti è meglio non indagare. Per questo, ben venga la riflessione sulla legge italiana sul biotestamento. Fermiamoci e guardiamo oltremanica. E poi lasciamo tutto com'è.

     

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