Cercasi editore
La libertà di stampa e di espressione non coincide con l'arroganza maniacale di un Conduttore Unico delle Coscienze che si sente padrone del mezzo televisivo, brutalizza il proprio direttore di rete, si incorona star per ordine del magistrato e dell'audience, proclama un'intenzione politico-ideologica faziosa, stabilisce un'alleanza gossippara con un gruppo editoriale militante, manipola grossolanamente le opinioni avverse.
La libertà di stampa e di espressione non coincide con l'arroganza maniacale di un Conduttore Unico delle Coscienze che si sente padrone del mezzo televisivo, brutalizza il proprio direttore di rete, si incorona star per ordine del magistrato e dell'audience, proclama un'intenzione politico-ideologica faziosa, stabilisce un'alleanza gossippara con un gruppo editoriale militante, manipola grossolanamente le opinioni avverse. Per sistemare simili megalomanie e paranoie sottopolitiche basta un editore televisivo consapevole della propria responsabilità, che obietti in modo deciso e conclusivo a un certo format e decida di cambiarlo, che eserciti il potere derivante dal suo azionariato e, in termini di servizio pubblico, dai suoi doveri di imparzialità e correttezza scritti nel contratto di servizio con il governo e sotto vigilanza del Parlamento. In altre parole: è disdicevole, imbarazzante, risibile che in mancanza di un editore che sappia mettere a posto il banditismo dell'etere stabilendo regole di ordinario esercizio della libera professione giornalistica, si sia poi costretti a rivedere ogni volta il film della censura, del martirologio mediatico, della libertà conculcata.
E' in atto una sacrosanta protesta, orientata e canalizzata dai giornali della destra, che esprimono il sentimento di una buona metà di italiani, contro la tv che sequestra in un vortice di snobismo e di malainformazione la coscienza pubblica del paese. La simbolica disdetta del canone è da sempre il segnale della massima delegittimazione della tv pubblica, almento nei momenti di maggiore crisi del suo rapporto con la realtà italiana. In tutto questo non c'è scandalo, anzi. E' un bene che sia diradata l'opacità conformista, spinta fino al grottesco dell'omologazione generale degli spettatori nella categoria di pubblico militante e plaudente dei talk show de sinistra, il solito “otto milioni di baionette” delle grandi adunate di regime. Ma l'iniziativa sociale e civile deve darsi come obiettivo non la soppressione di un programma, bensì la correzione di una linea editoriale dei capi della Rai che sa di resa all'arroganza faziosa, la promozione di un'informazione robusta e seria, aperta e pluralista, che corrisponda ai doveri del servizio pubblico. Oppure, e sarebbe ora, la privatizzazione o la gestione privatistica di quella assurda società per azioni posseduta dal governo e controllata dal Parlamento. Muoversi è cosa buona e giusta, ma in nome della libertà di stampa e del pluralisimo dell'informazione, non contro.
Il Foglio sportivo - in corpore sano