Rinviato l'incontro con Bossi

Fini non vuole cedere il Veneto alla Lega ma sul resto apre al dialogo

Salvatore Merlo

Tra la Lega e la presidenza del Veneto si frappone Gianfranco Fini. Il presidente della Camera, in accordo con Silvio Berlusconi, e in qualità di cofondatore del Pdl, si incontrerà con Umberto Bossi per mettere in chiaro che il suo partito non ha intenzione di cedere. I due leader si sarebbero dovuti vedere oggi, ma all'ultimo momento, ieri, Bossi ha fatto sapere di voler rinviare (“per impegni pregressi”) alla possima settimana.

    Tra la Lega e la presidenza del Veneto si frappone Gianfranco Fini. Il presidente della Camera, in accordo con Silvio Berlusconi, e in qualità di cofondatore del Pdl, si incontrerà con Umberto Bossi per mettere in chiaro che il suo partito non ha intenzione di cedere. I due leader si sarebbero dovuti vedere oggi, ma all'ultimo momento, ieri, Bossi ha fatto sapere di voler rinviare (“per impegni pregressi”) alla possima settimana. Berlusconi, martedì notte, ha detto ad alcuni amici che “Fini si è impuntato. E non è escluso che Pdl e Lega corrano separati”. E' la linea del presidente della Camera, il quale si è incaricato di fare ciò che al premier, per ragioni cogenti, viene difficilissimo: dire con parole inequivocabili a Bossi che il Pdl è il primo partito del Veneto e deve poter dettare strategicamente la linea al proprio alleato di minoranza. “La decisione sulle candidature non può avvenire con un patto personale tra Bossi e Berlusconi. Si deve tener conto del Pdl in quanto struttura viva sul territorio”, spiegano alcuni finiani.
    L'idea rientra nella strategia della “co-gestione del Pdl” che il Cav. ha già (parzialmente) accettato dopo aver ricevuto da Fini, a casa di Gianni Letta, decise assicurazioni sulla sua lealtà e la sua totale estraneità a ogni ipotesi complottarda.

    D'altra parte soltanto Fini, che non ha un rapporto personale con Bossi, è in questo momento in grado di mostrare la faccia dura al leader padano formulando una proposta estrema e rischiosa: quella di indire delle primarie del centrodestra o in alternativa proporre ai padani una corsa separata ma con programmi elettorali identici. Questa seconda ipotesi prevederebbe un patto secondo cui, sia nel caso di una vittoria leghista sia nel caso di una vittoria del Pdl, a prescindere da chi dovesse diventare governatore, gli equilibri della giunta regionale resterebbero invariati. Si tratterebbe di trasformare il voto in un referendum Lega-Pdl con il rischio, tuttavia, che il Pd, trovato un candidato forte, riesca nell'impresa oggi forse impossibile di vincere. Difatti resta una minaccia che il cofondatore del Pdl si riserva di utilizzare soltanto per ribaltare “gli eventuali ricattucci” dell'alleato. Tuttavia ieri i leghisti, dal ministro Roberto Maroni in giù, parlavano all'unisono: “Decidono Bossi e Berlusconi”. Interrogati dal Foglio sull'ipotesi di una mediazione di Fini, la risposta è risultata persino più precisa: “Il leader del Pdl è Berlusconi”. Se Bossi dirà la stessa cosa, vorrà dire che l'incontro con Fini è andato male.

    Fini non intende però irritare Bossi. Anzi. Il presidente della Camera non vede affatto male la candidatura del leghista Roberto Cota in Piemonte e se vuole far passare il messaggio che sul Veneto il Pdl non arretra, contemporaneamente desidera anche lanciare segnali distensivi alla Lega. “Bisogna costruire con Bossi un rapporto dialettico – spiegano i finiani – che non trascenda mai i limiti fisiologici di un dibattito civile”. Al leader padano, Fini vorrebbe spiegare che il senso delle recenti polemiche sulle ronde, sulla cittadinanza, sul reato di immigrazione, sulla questione nazionale e così via, non sono mai stati segni di belligeranza gratuita quanto piuttosto una reazione ai toni spesso eccessivi dei vertici leghisti. Insomma, se lentamente all'interno del Pdl si sta confermando l'idea che Fini non rappresenti una pericolosa quinta colonna, adesso questa idea deve arrivare anche a Bossi e compagni.

    Così si prefigurano ipotesi di mediazione, per esempio attorno alla legge sulla cittadinanza, contestatissima dalla Lega. Scenario descritto, in sostanza, ieri, dal direttore scientifico di FareFuturo, Alessandro Campi, che sul Riformista ha definito la legge Sarubbi-Granata come “il miglior antidoto contro le derive del multiculturalismo, contro il rischio che si creino enclaves etnico-religiose che rappresenterebbero un pericolo per la nostra democrazia”. Parole che suonano bene alle orecchie leghiste. E se i padani criticano l'ipotesi che la legge dimezzi i tempi di concessione della cittadinanza, il finiano Granata, che ha scritto la la proposta, dice che “non è un aspetto su cui ci impunteremo”. Come dire, se ne può discutere. Pare che la mediazione la offrirà a breve il presidente del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, nella prossima riunione del gruppo. Obiettivo: ricondurre la proposta di legge nell'alveo di una meccanica di partito che smentisca anche i retroscena che vorrebbero Fini, Pier Ferdinando Casini e Massimo D'Alema sulla medesima sponda. Lo ha ammesso anche Campi: “Il centrosinistra ha pensato di poter utilizzare la legge come un cuneo per dividere l'attuale maggioranza”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.