Il Pd da Berlino
Walter Veltroni sul Sole 24 Ore martedì 29 ha svolto alcune considerazioni ragionevoli sul fatto che il voto tedesco conferma una tendenza ormai inarrestabile nelle democrazie occidentali a far emergere a sinistra forze sempre meno ideologizzate e maggiormente articolate rispetto a quelle rappresentate dalla cultura politica socialista.
Walter Veltroni sul Sole 24 Ore martedì 29 ha svolto alcune considerazioni ragionevoli sul fatto che il voto tedesco conferma una tendenza ormai inarrestabile nelle democrazie occidentali a far emergere a sinistra forze sempre meno ideologizzate e maggiormente articolate rispetto a quelle rappresentate dalla cultura politica socialista. Questa ultima grande e gloriosa tradizione è ormai in via di esaurimento. Lo è da quando ha perso centralità la produzione industriale di massa di tipo manchesteriano, perfezionata poi dal modello tayloristico. Un tipo di produzione che finiva per configurare anche un soggetto sociale omogeneo, naturalmente portato all'antagonismo rispetto a un capitale che cercava di sfruttare al massimo le prestazioni d'opera.
E mentre è declinato questo tipo di produzione, contemporaneamente la classe operaia ha teso a letteralmente iniziato a deproletarizzarsi: ben lungi dal poter contare solo sulla propria forza lavoro e sulla propria nuda prole, gli operai o almeno larghi settori di lavoro dipendente sono diventati proprietari di case, mandano i figli all'università, accumulano e investono in risparmio. Se mi pare, in questo senso, giusto parlare di fine del modello socialista, non mi convincono invece le considerazioni veltroniane sulla superiorità della sinistra italiana, cioè del Partito democratico, rispetto in generale a quella europea. E questo perché, in particolare, mi sembra sbagliato assimilare il voto del nord Europa a quello della parte meridionale del vecchio continente: mentre il veltroniano 33,7 per cento alle politiche del 2008 è un veramente ottimo risultato per la sinistra del nord (francesi, tedeschi e inglesi), è pessimo per la sinistra del sud (portoghesi, spagnoli, greci) dove i suffragi superano normalmente il 35 per cento e per lo più si collocano intorno al 40.
E questo avviene, peraltro, senza massacrare l'estrema sinistra come è successo nel nostro paese (dove d'altra parte se uno come Paolo Ferrero fa il ministro di un governo si merita questo e altro ancora). La tendenza al consolidamento della sinistra nell'area mediterranea non nasce per caso: deriva direttamente da un misto di familismo, blocchi urbani e neopatrimonialismo. Tanto per capirsi immaginatevi come funzionano in Grecia, Spagna e Portogallo tutti i fratellini gemelli di Antonio Bassolino e della sua Campania, Massimo D'Alema e della sua Puglia, Marco Minniti-Agazio Loiero e della loro Calabria, o pensate al piano regolatore per Roma di Veltroni, così amico dei fratelli Toti e così irritante per Francesco Caltagirone (e dunque decisivo per la vittoria di Gianni Alemanno). E' questa struttura della società, e della sinistra che le corrisponde, che blocca l'elettorato euromeridionale e prevede alternanze grazie a variazioni minori del voto. Si dirà che però, poi, Dario Franceschini è riuscito alle europee ad avere un suffragio quasi “settentrionale” anche in un paese mediterraneo. E, in effetti, un partito guidato prima da Veltroni e poi da Franceschini è in grado di contrastare qualsiasi tendenza consolidata. Anche se un po' familisti, un po' organizzati dai blocchi urbani e un po' conditi con neopatrimonialismi vari, gli elettori non sono mai stupidi e finiscono per capire quando una forza politica è allo sbando.
Ma al di là delle evidenti incapacità concrete di Walter & Dario, c'è anche una questione politica più precisa. Tutti i partiti socialisti del sud Europa che sono stati citati, tutti collocati piuttosto intorno al 40 per cento che al 33,7 veltroniano, hanno acquisito questi risultati, innanzi tutto rispetto a partiti cominternisti molto forti che operavano nelle loro società perché sono stati partiti di sinistra capaci di pacificare le loro società. Mario Soares e Felipe Gonzàlez, in particolare, sono stati grandi pacificatori. E sì che avevano a che fare con la dittatura franchista e quella salazarista altro che con il berlusconismo. Il 33,7 per cento veltroniano era un dato mediocre rispetto ai risultati della sinistra mediterranea, ma costituiva un piccolo incoraggiamento su cui si poteva lavorare – su questo Veltroni ha ragione – ma derivava innanzi tutto da una scelta: la decisione del Pd in campagna elettorale di non demonizzare Silvio Berlusconi, di attrezzarsi a una pacificazione della società italiana.
Poi, chiuse le urne, Giuseppe D'Avanzo ha iniziato la sua campagna sulle presunte sexytelefonate berlusconiane (la prova generale delle campagne Noemi e D'Addario) gentilmente fatte intravedere in qualche modo da ambienti delle procure di Napoli e Milano. Invece di resistere alla tentazione giustizialista, il vigliacchetto Veltroni, terrorizzato dalla Repubblica e lasciato senza istruzioni dal Corriere, si è messo a flirtarci, perdendo poi elezione dopo elezione, dall'Abruzzo dove è stato buttato nella pattumiera Ottaviano Del Turco alla Sardegna dove si è corso dietro a quel presuntuoso di Soru. Mentre in Campania non si sapeva se vezzeggiare o spengere Bassolino e i suoi rifiuti. Insomma anche un elettorato di sinistra sudeuropea portato a dare una base di appoggio più alta di un nord dove pesano maggiormente i flussi di opinione, se invece che un Gonzàlez o un Soares si trova di fronte un reggimoccolo di Di Pietro, se ne sta a casa e non va a votare.
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