Il nemico ci lusinga, stiamo per tradire (ma non subito)
Visto che Eugenio Scalfari apprezza cortesemente il “gustoso Marcenaro”, Ezio Mauro mi chiama gentilmente in correità per la battaglia sulla “libertà di stampa” e Carlo De Benedetti ci ha inviato un gradito e richiesto articolo su Barack Obama, vorrei precisare che il Foglio non è passato al nemico, non ancora, c'è tempo, e anzi resta saldamente, ironicamente e liberamente berlusconiano.
Visto che Eugenio Scalfari apprezza cortesemente il “gustoso Marcenaro”, Ezio Mauro mi chiama gentilmente in correità per la battaglia sulla “libertà di stampa” e Carlo De Benedetti ci ha inviato un gradito e richiesto articolo su Barack Obama, vorrei precisare che il Foglio non è passato al nemico, non ancora, c'è tempo, e anzi resta saldamente, ironicamente e liberamente berlusconiano (Per non creare complicazioni non aggiungo “tendenza Veronica”, come feci tanto tempo fa quando il nemico ci sparava addosso imputandoci con fare sprezzante e delegittimante, cosa che oggi non si sognerebbero di ripetere, che eravamo “il quotidiano della moglie di Berlusconi”).
Segue dimostrazione. Mi auguro che il lodo Alfano, cioè la sanzione legale che il capo dell'esecutivo è inviolabile giudiziariamente in relazione alla sua carica e per il tempo in cui la ricopre (fatti salvi i termini della prescrizione, che vengono sospesi) venga confermato dalla Corte costituzionale. Come capo dell'esecutivo nella sorella Francia, patria del diritto almeno come lo siamo noi, Jacques Chirac fu dichiarato dal Consiglio costituzionale “giudiziariamente inviolabile” fino alla fine del mandato. Fino all'orrendo anno 1993, giro di boa di una vergognosa ondata forcaiola che travolse la Repubblica e inaugurò una transizione incostante e ambigua, ma non infeconda, la Carta fondamentale dello stato italiano prevedeva al suo articolo 68 l'impossibilità di procedere contro i parlamentari, gli eletti del popolo, senza l'autorizzazione delle Camere. Quel lodo era stato concepito e sottoscritto da tutti i grandi costituzionalisti e leader democratici dell'Italia nascente, ed è durato dal gennaio del 1948, data di promulgazione della Costituzione, fino al 1993 (quando fu travolto dalla demagogia e dalla pressione irresistibile del partito dei giudici), la bellezza di quarantacinque anni.
Tra la politica e la magistratura deve esserci un filtro che in modo aperto, trasparente, attraverso una decisione del legislativo, consenta alla politica di rispondere in prima istanza al popolo, che la giudica e la emenda esercitando la sovranità. Se questo filtro non c'è, ecco che la sovranità passa alle procure e alle diverse magistrature requirenti e giudicanti. Si determina cioè un abominio: non già il dominio della legalità bensì il predominio sulla sovranità popolare, nei suoi modi di esercizio i più diversi, di una corporazione o di un ordine che è politicamente irresponsabile e che non può esercitare una illegittima funzione politica attraverso i suoi mezzi legittimi di controllo della legalità.
Con il tempo, se lo strumento dell'improcedibilità temporanea verso le alte cariche dello stato non piaccia, si può sempre ripristinare l'articolo 68 della Costituzione, che fu concepito dai Togliatti, Moro, Dossetti, Calamandrei, Terracini, La Pira, La Malfa e compagnia bella con lo scopo di impedire che tribuni legali alla Antonio Di Pietro conducessero vittoriosamente inchieste giudiziarie di sfondamento politico al culmine delle quali liberarsi dell'impaccio della toga, fondare un partito e mettersi al posto dei politici devastati con gli strumenti del più storto dei diritti (fino a insultare, come sta avvenendo, il capo dello stato e chiunque altro si pari dinnanzi alla più spietata demagogia qualunquista).
Tradire, tradiremo, come dimostrano le lusinghe nemiche al fogliuzzo. Per intanto ci auguriamo che la garanzia democratica e liberale detta lodo Alfano abbia migliore fortuna del lodo Maccanico o del lodo Schifani, per consentire al nostro amatissimo capo dell'esecutivo di tornare presto al lavoro e di smetterla di alimentare la campagna stessa di cui è vittima.
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