Il ninfettismo spiegato da una mamma (troppo) moderna
“Effetto Lolita”, ovvero come sembrare prostitute cambogiane a cinque anni
Brooke Shields, ora madre quarantenne, ha definito “raccapricciante” il ritratto esposto alla Tate Modern che la ritrae, a dieci anni, nuda e in piedi nella vasca da bagno, spalmata di olio dorato, anche se nel 1977 la mamma di lei fu felicissima di far scattare quella foto per 450 dollari. Lo scorso Halloween una giornalista inglese, Gigi Durham, ha aperto la porta della stanza e si è trovata davanti una bimbetta di cinque anni in top, minigonna, zeppe, brillantini sugli occhi che le urlava felice: “Sono una Bratz!”
Brooke Shields (nella foto), ora madre quarantenne, ha definito “raccapricciante” il ritratto esposto alla Tate Modern che la ritrae, a dieci anni, nuda e in piedi nella vasca da bagno, spalmata di olio dorato (è stato tolto dalla mostra per oscenità), anche se nel 1977 la mamma di lei fu felicissima di far scattare quella foto per 450 dollari. Lo scorso Halloween una giornalista inglese, Gigi Durham, ha aperto la porta della stanza e si è trovata davanti una bimbetta di cinque anni in top, minigonna, zeppe, brillantini sugli occhi che le urlava felice: “Sono una Bratz!” (Bratz è la bambola con le labbrone e gli zigomacci, gli occhi larghissimi e le gambe troppo lunghe). Sembrava una piccola prostituta cambogiana e invece era sua figlia.
Si chiama effetto Lolita e comincia molto presto, prima di quanto Nabokov potesse sperare, più o meno all'età che faceva impazzire Lewis Carroll. “L'effetto Lolita” è il titolo del libro di Gigi Durham, che racconta i reggiseni imbottiti per preadolescenti, i piccoli tanga lucidi, magliette glitterate con scritto “hotties” per bambine delle elementari, e un vero palo di plastica rosa attorno a cui danzare in vendita da Tesco (il kit “Peekaboo Pole Dancing” comprende anche una giarrettiera in cui il fidanzato o gli amici possono infilare finte banconote, simili a quelle del Monopoli, durante l'esibizione). Poi giornaletti che insegnano alle dodicenni come si lusinga un immaginario “lui”, in generale la certezza che a otto anni una ragazzina comincia a guardarsi con gli occhi di un maschio e molto velocemente impara a considerarsi “un oggetto sessuale”.
Secondo Gigi Durham il problema è ancora questo: essere oggetti anziché soggetti. C'è bisogno, scrive, di un nuovo “manifesto femminista”, una cultura che non riduca le ragazze a gattini, a ninfette impegnate a lanciare messaggi erotici, a sollazzare i maschi senza preoccuparsi invece dei propri, sani desideri. “Penso che il sesso sia una normale e sana parte della vita, anche delle vite dei bambini. Voglio che le mie due giovani figlie crescano senza paura e bene informate sui loro corpi, sicure di sé nel trovare ed esprimere piacere sessuale”. Cioè si deve incoraggiare ancora di più il discorso pubblico sul sesso, aumentare l'informazione (che cosa è rimasto di non detto?), bisogna spiegare che un orgasmo al giorno toglie il medico di torno (“dobbiamo dire ai bambini che fare cattivo sesso è uncool”). Però il discorso pubblico sugli orgasmi, tutta l'informazione del mondo, tutte le pillole possibili e comodamente acquistabili non hanno, storicamente, migliorato le cose, e anzi il ninfettismo è esploso dappertutto, non riguarda soltanto la letteratura, Hollywood, Roman Polanski, “Pretty baby”, Brooke Shields, e quell'ambiziosa di sua madre: le quindicenni di oggi sono terrorizzate o addirittura ammirate dalla precocità erotica delle nuove dodicenni, che si spogliano davanti alla videocamera del telefonino e a loro volta guardano con sospetto le bambine di dieci anni, prontissime almeno al push-up in classe.
Anche le amiche di Trilly, la fatina di Walt Disney, sembrano adesso un po' più zoccole e ammiccanti. Gigi Durham, che si definisce una femminista pro-sex, sostiene che sì, qualcosa è andato storto dopo il 1970: dalla libertà femminile, anche di espressione sessuale, si è andati a finire nel consumismo sessuale, che di nuovo rende le ragazze sottomesse agli uomini. “Dobbiamo considerare la sessualità come un impulso umano che riguarda le relazioni tra le persone e non come qualcosa che crea profitto”. L'effetto Lolita è quindi solo una faccenda di mercificazione, e ancora una volta di non sufficiente consapevolezza. Queste ragazzine sembra sappiano tutto, e invece non basta, bisogna informare ancora e ancora, bisogna parlare di sesso in continuazione, incitarle ad ammettere “che hanno impulsi sessuali”, costringerle ad ascoltare sanissime lezioni di anatomia. Imbottirle di sesso equo e solidale, sperando che, in nome della disobbedienza filiale, decidano di non ascoltare.
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