Giornalisti irrituali e mediaregime
Silvio Berlusconi, che rispetto agli editori di Minzolini appartiene a un'altra razza, ne è stato sedotto e lo ha sedotto. E lo ha fatto direttore del maggiore telegiornale italiano. Risultato: il Tg1 è spesso reticente, continua ad essere ingessato e filtrato nella scelta delle notizie da impaginare alle mitiche ore 20 della sera, ed è un peccato, ma il suo direttore di tanto in tanto si toglie lo sfizio di dire come la pensa, e lo fa con notevole efficacia.
Augusto Minzolini è uno strepitoso stringer, un cacciatore di notizie come ce n'è pochi. In quanto tale è un giornalista vero, di quelli disposti alle peggio cose pur di centrare l'obiettivo, e non un militante politico civile o ideologico. Massimo D'Alema, che aveva stabilito con lui un ironico sodalizio quando dieci anni or sono dirigeva il governo, lo provocava amabilmente: “I tuoi editori non ti faranno mai direttore, vi usano ma non vi apprezzano”. E in effetti così è andata. Ma alla fine Silvio Berlusconi, che rispetto agli editori di Minzolini appartiene a un'altra razza, ne è stato sedotto e lo ha sedotto. E lo ha fatto direttore del maggiore telegiornale italiano.
Risultato: il Tg1 è spesso reticente, continua ad essere ingessato e filtrato nella scelta delle notizie da impaginare alle mitiche ore 20 della sera, ed è un peccato, ma il suo direttore di tanto in tanto si toglie lo sfizio di dire come la pensa, e lo fa con notevole efficacia, con una simpatica spavalderia, con una pratica “irrituale” del giornalismo (l'espressione un po' bollita è del garante Rai Paolo Garimberti). L'irritualità di Minzolini fa a pugni con l'odiosa e “rituale” retorica della schiena dritta e del contropotere. Il cidierre Rai, abituato a praticare con orgoglio un linguaggio in cui lessico e concetti vengono sminuzzati e spartiti a beneficio del padrone collettivo della Rai, la politica, vorrebbe un telegiornale compiutamente conformista, senza eccezioni, sotto le spoglie dell'equilibrio e dell'asetticità istituzionale (e appunto rituale). Il popolo dei fax e delle mail, insomma il partito delle manette e di Beppe Grillo, invade il campo per protestare tutta intera la propria petulante intolleranza verso un pensiero diverso da quello medio e dominante. Si annunciano convocazioni, processi, e si fanno avanti personalità censorie che esercitano, a diversi gradi di cottura, il potere egemonico del banale e del precostituito.
Eppure Minzolini insiste, e si mette tranquillamente a rischio di essere considerato il lustrascarpe dell'uomo che domina da molti anni la politica italiana ma resta pur sempre il simbolo grottesco contro il quale la società civile scaglia la sua indignazione.
Bisogna dire, e lo si può fare senza remore, che l'editoriale del direttore del Tg1 sulla manifestazione di sabato scorso era impeccabile, tanto più in quanto gesto inedito, senza precedenti. Non che il Tg1 non avesse mai espresso una preferenza o un'opzione politica, in passato; ma lo faceva en cachette, di nascosto, ridendosela sotto i cospicui baffi dell'imparzialità, selezionando le notizie, stabilendone la gerarchia a piacere ma senza mai compromettere una falsa affidabilità valida per tutti, servendo la committenza con i metodi felpati e mandarini di un linguaggio giornalistico dall'orientamento chiaro ma dal passo subdolo e insensibile, e in certi casi immergendosi in una faziosità mascherata, sempre ben corazzata e ben difesa.
Minzolini ha invece preso personalmente la parola, lacerando una tradizione di ipocrisia molto bene addobbata, e ha messo la sua firma e la sua faccia dietro una rispettabile, controversa opinione editoriale. La libertà di stampa non è a rischio in Italia, ha detto. Manifestare contro due querele di Berlusconi, per quanto inopportune, è sospetto, se non ridicolo. Minzolini ha ricordato che le chiamate in giudizio sono una specialità dei leader di sinistra (68 per cento del totale), e avrebbe potuto menzionare anche i magistrati che aprono dossier intitolati “risarcimenti per una serena vecchiaia” nel momento in cui chiedono a loro pari di giudicare serialmente “cosa propria”, cioè l'onore della corporazione togata e il suo prezzo, in causa propria. Combattono contro un regime che non c'è per instaurare un “regime mediatico”, ha concluso con formula appuntita questo outsider del mondo Rai e delle sue vecchie e nuove manie delicatamente collusive.Non lo avrei nominato al Tg1 e al suo posto non farei il suo Tg1, che è uno dei vettori attraverso i quali l'anomalia berlusconiana si conferma invece di sanarsi, ma è impossibile non apprezzare la sfrontatezza bonaria, e formalmente corretta, con cui il vecchio stringer della Stampa, catapultato alla guida della testata più ipocrita del mondo, ha cambiato in una serata le regole del gioco.
Guarda l'editoriale di Minzolini di sabato 3 ottobre:
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