Nobel a chi?

Mariarosa Mancuso

Nessuno mai azzecca le previsioni, tranne il blog The Literary Saloon. Ieri annunciava il nome di Herta Müller come vincitrice del Nobel, oggi incassa i complimenti e tante visite alla pagina prontamente approntata sulla scrittrice tedesca nata nel 1953 in Romania.

    Nessuno mai azzecca le previsioni, tranne il blog The Literary Saloon. Ieri annunciava il nome di Herta Müller come vincitrice del Nobel, oggi incassa i complimenti e tante visite alla pagina prontamente approntata sulla scrittrice tedesca nata nel 1953 in Romania. Fiuto letterario, studio accurato della lista dei premiati dal 1901 (quando vinse il poeta parnassiano Sully Proudhomme, gettando il primo sospetto di inutilità sul riconoscimento appena istituito), oppure talpa tra i membri dell'Accademia di Svezia? Niente affatto, la dritta viene da Ladbrokes, sito di scommesse on line. Mentre Amos Oz rimaneva fisso a 4 contro 1, Herta Müller passava rapidamente da 50 contro 1 (quotazione da outsider) a 7 contro 1 (quotazione da quasi favorita). Comparsa la notizia, il sito ha registrato un'impennata di visite da indirizzi che dopo la chiocciola avevano Svenkskaakademien.se: come se i signori dell'Accademia volessero controllare da vicino, stizziti, chi aveva scoperto i loro segreti. The Literary Saloon avanza anche il sospetto di insider trading, immaginando che qualcuno dei giurati abbia incassato una discreta sommetta scommettendo sul nome fino all'altroieri sconosciuto ai più. Noi non siamo tanto maligni.

    Vince un'altra volta la vecchia Europa.
    A giudicare da “Il paese delle prugne verdi” – ultimo libro di Herta Müller tradotto in italiano, dall'editore Keller di Rovereto, dopo che Marsilio nel 1992 aveva pubblicato “In viaggio con una gamba sola” – vince la prosa poetica tanto cara all'Accademia svedese. Non è la dittatura di Ceausescu descritta da Cristian Mungiu, che nel film “I racconti dell'età dell'oro” punta sul grottesco delle leggende metropolitane. “Schiacciavamo tante cose con le parole in bocca quante con i piedi nel prato. E anche con il silenzio”: sono le righe d'apertura del libro, dove chi scrive dovrebbe dare il meglio di sé, per distrarsi c'è tempo. Vince una scrittrice che rappresenta una minoranza. Anzi due, perché è solo la dodicesima donna nella storia del premio. Vince una scrittrice che di premi ne ha già vinti parecchi, intitolati a Kleist e a Kafka, o da centomila euro come il dublinese Impac Literary Award (il Nobel vale dieci volte tanto). Vince una scrittrice che ha lasciato la Romania nel 1987, appena due anni prima che crollasse il Muro di Berlino. E che, come fece Timothy Garton Ash spiato dalla Stasi, ha letto per intero il dossier compilato su di lei dalla Securitate, nome in codice “Cristina”.

    Perde la letteratura come noi la conosciamo, e come dovrebbe continuare a essere se non vuole fare la fine dei panda. Qualcosa che, oltre a essere materia per gli specialisti che si accostano ai romanzi muniti di bisturi per la dissezione, procuri quei piaceri che gli scrittori davvero grandi non si sono mai vergognati di procurare ai lettori. Non deve essere per forza Philip Roth. Anche Joyce Carol Oates sta tra i meritevoli. Amos Oz, o magari Aharon Appelfeld, sarebbero state altre ottime scelte. Ma i signori del Nobel o non leggono abbastanza o mancano di coraggio.