Bucato da Nobel
Carol Greider stava piegando la biancheria alle cinque del mattino perché la sera prima non aveva avuto tempo. Complimenti, ha vinto il Nobel per la medicina, le hanno detto al telefono, allora lei ha scritto una mail alla sua maestra e covincitrice, poi ha finito di sistemare il bucato e si è messa a fare ginnastica. Contentissima, quarantotto anni, ne aveva ventitré quando scoprì, il giorno di Natale, la telomerasi (roba forte, cose che potrebbero salvarci la vita e allungarla mostruosamente).
Carol Greider stava piegando la biancheria alle cinque del mattino perché la sera prima non aveva avuto tempo. Complimenti, ha vinto il Nobel per la medicina, le hanno detto al telefono, allora lei ha scritto una mail alla sua maestra e covincitrice, poi ha finito di sistemare il bucato e si è messa a fare ginnastica. Contentissima, quarantotto anni, ne aveva ventitré quando scoprì, il giorno di Natale, la telomerasi (roba forte, cose che potrebbero salvarci la vita e allungarla mostruosamente): fosse stata un uomo si sarebbe messa in posa già allora, a forma di mezzobusto di marmo dorato, in attesa della telefonata da Stoccolma. Invece è andata alla conferenza stampa dei vincitori e si è messa per gioco occhiali baffi e naso da professorone senza smettere di sorridere, poi è tornata al lavoro, alla vita, alle faccende e alla lavatrice.
Un uomo avrebbe provato tutto il giorno davanti allo specchio lo sguardo intenso e corrucciato da Nobel insonne, con i pugni sulle tempie magari, come da rubrica di Umberto Galimberti su D (la Repubblica delle donne), un'espressione che facesse immaginare lo sforzo cerebrale, morale ed etico e insieme la sofferenza di essere così geniale, anche un po' di indignazione per avere dovuto attendere fino a quel momento perché il proprio imprescindibile lavoro venisse riconosciuto. Doris Lessing non sapeva di avere vinto il Nobel per la letteratura, non riuscivano a raggiungerla al telefono: scesa dal taxi, davanti a casa, con le buste della spesa, si trovò davanti una folla di giornalisti e commentò così: “Oh Cristo, ho vinto un altro dannato premio”. Non è chiaro se, oltre a intervistarla sull'uscio per chiederle cosa provava, le abbiano tolto di mano le buste e l'abbiano aiutata, a ottantaquattro anni, a vuotarle sul tavolo della cucina.
Carol Greider è un premio Nobel che fa lavatrici. Una docente universitaria scienziata scopritrice di enzimi casalinga, abituata a fare duecento cose insieme e a non prendersi molto sul serio. Almeno il giorno del Nobel avrebbe potuto esagerare, le avremmo creduto tutti: ho scoperto l'immortalità, la vita artificiale, la cura di ogni malattia, lasciatemi fare e vedrete, tempo cinque anni e vivremo per sempre, ho bisogno di altri fondi e non si invecchierà, vi prometto la faccia dei vostri vent'anni anche a novanta, purtroppo so che è in atto un complotto per destituirmi. Invece: “Non credo che i telomeri risolveranno tutto”, ha detto, “ma in certi casi potrebbero rivelarsi un'ottima cura”. Poi è andata a spegnere il sugo sul fuoco: senza appelli per le quote rosa nei laboratori, senza nemmeno lamentarsi del maschilismo nella ricerca scientifica.
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